Perché i 4.500 emendamenti alla legge di Bilancio non devono stupire

Sono stati presentati in commissione alla Camera, che sta esaminando per prima il testo. Ma questo numero non è un record
Ansa
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Il disegno di legge di Bilancio per il 2025 ha iniziato il suo esame nella Commissione Bilancio della Camera, dove i partiti al governo e quelli all’opposizione hanno depositato in totale 4.511 emendamenti per modificarlo. Il testo, che stabilisce quanti soldi potrà spendere lo Stato il prossimo anno e per quali misure, è stato presentato dal governo Meloni in Parlamento: qui potrà cambiare attraverso gli emendamenti dei partiti, prima in Commissione Bilancio, poi eventualmente in aula. Il provvedimento diventerà legge a tutti gli effetti solo una volta che sarà approvato dalla Camera e dal Senato (entro la fine dell’anno, altrimenti si rischia l’esercizio provvisorio).

L’elevato numero di emendamenti non deve stupire: secondo i nostri calcoli, dal 2014 a oggi sono stati presentati [1] in totale più di 52 mila emendamenti nella commissione parlamentare che per prima ha esaminato la legge di Bilancio (ogni anno Camera e Senato si alternano nell’esaminare per primi la legge di Bilancio). Dunque, in media sono stati presentati più di 4.700 emendamenti per ognuna delle ultime 11 leggi di Bilancio.
Quella per il prossimo anno, con i suoi oltre 4.500 emendamenti, si posiziona al settimo posto tra i disegni di legge con più richieste di modifica negli ultimi dieci anni. La legge di Bilancio per il 2022, approvata durante il governo Draghi, è stata quella con più emendamenti: in Commissione Bilancio del Senato, infatti, ne erano stati presentati quasi 7.500. Con poco più di 3 mila emendamenti, invece, la legge di Bilancio per il 2023 è stata quella che ne ha ricevuti di meno.

Come si può notare dal grafico, negli ultimi anni il numero di emendamenti alla legge di Bilancio non è cambiato, nonostante a partire da questa legislatura i parlamentari siano diminuiti da 945 a 600 per effetto della riforma del taglio dei parlamentari confermata da un referendum costituzionale nel 2020. Ma se al Senato il numero delle commissioni parlamentari è diminuito dopo il taglio, alla Camera è rimasto lo stesso, e il numero di deputati per commissione è sceso. Prima del taglio, la Commissione Bilancio della Camera era composta da 50 deputati, ora ne conta 31. Nonostante questo calo, il numero degli emendamenti presentati in Commissione Bilancio alla Camera quest’anno è più alto di quello del 2018, ossia prima del taglio dei parlamentari.

Una prima scrematura

Quest’anno, per velocizzare i lavori, la Commissione Bilancio ha già stabilito che più di 1.500 emendamenti al disegno di legge di Bilancio per il 2025 sono inammissibili: per questo motivo non saranno esaminati. Come ha spiegato il presidente della commissione Giuseppe Mangialavori (Forza Italia), gli emendamenti scartati riguardano ambiti troppo specifici per rientrare nella legge di Bilancio, oppure chiedono di modificare le previsioni di entrate e di spesa dello Stato senza aver prima ricevuto un parere positivo del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Successivamente, viene fatta una seconda scrematura, per così dire: i partiti dovranno scegliere tra gli emendamenti presentati quelli “segnalati”, che saranno esaminati dalla Commissione Bilancio.

Come detto, i partiti non presentano gli emendamenti alla legge di Bilancio solo in commissione, ma anche in aula, sebbene qui il loro numero sia inferiore. Per esempio, lo scorso anno erano stati presentati quasi 3.300 emendamenti in Commissione Bilancio al Senato per cambiare il disegno di legge di Bilancio per il 2024. Successivamente, in aula erano stati presentati altri 1.200 emendamenti per cambiare il testo approvato in commissione. 

Negli anni si è consolidata la prassi che vede il governo raccogliere in un unico e lungo emendamento (chiamato per l’appunto “maxi-emendamento”) tutti gli emendamenti a cui è favorevole. Il governo ricorre al maxi-emendamento proprio per evitare che tutti gli emendamenti ammissibili presentati dai parlamentari siano votati uno per uno, cosa che implicherebbe inevitabilmente un allungamento dei lavori in commissione.

Le ragioni

Ma come mai i parlamentari presentano così tanti emendamenti, sebbene il più delle volte sono bocciati o non considerati? «La legge di Bilancio è diventata man mano un provvedimento che contiene le norme più svariate, e quindi i parlamentari cercano di inserire misure a loro care che altrimenti non riuscirebbero a far approvare attraverso una semplice proposta di legge», ha spiegato a Pagella Politica Giuditta Pini, ex deputata del Partito Democratico dal 2013 al 2018. 

Il numero di emendamenti presentati varia tra i partiti che sostengono il governo di turno e i partiti all’opposizione, ma non c’è una regola fissa: molto dipende dai rapporti di forza che ci sono tra i partiti in Parlamento. Vediamo due esempi. Lo scorso anno, solo 61 dei quasi 3.300 emendamenti presentati in Commissione Bilancio del Senato sul disegno di legge per il 2024 sono arrivati dai partiti che sostengono il governo Meloni (Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Noi Moderati). I restanti quasi 2.900 provenivano dai partiti all’opposizione. Questo dimostra che la coesione dei partiti della maggioranza ha fatto sì che i loro emendamenti fossero pochi. 

Discorso diverso vale per la legge di Bilancio per il 2022. Approvata alla fine del 2021, all’epoca il governo Draghi era sostenuto da quasi tutti i principali partiti in Parlamento, eccetto Fratelli d’Italia. Tra gli oltre 7 mila emendamenti presentati al disegno di legge di Bilancio in Commissione Bilancio del Senato, oltre 4.500 provenivano dai partiti che sostenevano il governo. «Quello guidato da Draghi era un governo tecnico: la sua maggioranza era variegata, e questo sicuramente è uno dei motivi per cui tutti i partiti hanno cercato all’epoca di ritagliarsi uno spazio nell’esame della manovra», ha sottolineato Pini.

I tempi stretti

Oltre a quella del maxi-emendamento, è diventata costante anche un’altra prassi. La prima camera che esamina il disegno di legge è diventata quella con più potere, perché ha più tempo per approvare gli emendamenti e modificare il testo, mentre la seconda camera si trova spesso obbligata ad approvare il testo approvata dalla prima. Questo fenomeno è chiamato “monocameralismo alternato”: l’ultima volta che un disegno di legge di Bilancio è stato modificato da entrambe le camere è stato nel 2018. «Siccome ormai solo la prima camera che esamina la legge di Bilancio la può modificare, spesso se l’esame inizia dal Senato i gruppi parlamentari della Camera inviano i loro emendamenti ai senatori chiedendo di presentarli al loro posto, perché sanno già che la seconda fase dell’esame sarà molto ridotta nei tempi e non ci sarà spazio per presentare richieste di modifica», ha raccontato a Pagella Politica il deputato del Gruppo Misto Luigi Marattin, ex esponente di Italia Viva, nella scorsa legislatura presidente della Commissione Finanze della Camera.
Immagine 1. Il deputato del Gruppo Misto Luigi Marattin durante una discussione alla Camera – Fonte: Ansa
Immagine 1. Il deputato del Gruppo Misto Luigi Marattin durante una discussione alla Camera – Fonte: Ansa
Secondo il presidente della Commissione Bilancio del Senato Nicola Calandrini (Fratelli d’Italia), il monocameralismo alternato non compromette comunque il dibattito parlamentare. «Non bisogna confondere quella che può apparire come una consuetudine da una sorta di legge di fatto a cui si è obbligati a sottostare: i gruppi parlamentari sono liberi di presentare emendamenti, sia che la legge di Bilancio sia in prima lettura sia che sia stata già votata dall’altro ramo del Parlamento», ha detto Calandrini a Pagella Politica. «Nella prassi, anche grazie a un dialogo costante tra gruppi parlamentari e al prezioso lavoro svolto dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, si cerca per quanto possibile di far conciliare il ruolo democratico e di partecipazione di Camera e Senato, con i tempi stretti di approvazione delle varie leggi, tra cui quella di Bilancio che ormai è incastonata tra una serie di altre incombenze burocratiche di carattere nazionale e sovranazionale». 

Secondo Calandrini, il secondo ramo del Parlamento che esamina la legge di Bilancio ha comunque un ruolo nell’approfondire i contenuti del provvedimento: «Lo dimostrano i confronti serrati che coinvolgono il governo, il Parlamento ma anche i corpi intermedi. Si vedano per esempio le tante audizioni che si susseguono nelle commissioni competenti».

In ogni caso, il margine per eventuali modifiche da parte della seconda camera che esamina la legge di Bilancio dipende anche da quanto tempo impiega la prima ad approvare il testo. Per esempio, secondo le verifiche di Pagella Politica, lo scorso anno il Senato ha impiegato 53 giorni per approvare la legge di Bilancio: il testo della manovra era stato depositato dal governo il 30 ottobre 2023, ed è stato approvato dall’aula il 22 dicembre. A quel punto, per evitare di andare oltre il 31 dicembre, la Camera ha dovuto velocizzare i lavori dando il via libera definitivo al testo dopo una settimana, il 29 dicembre. Il 23 dicembre i deputati della Commissione Bilancio della Camera hanno avuto meno di cinque ore per esaminare il testo e presentare eventuali richieste di modifica. 

In passato i tempi a disposizione della seconda camera che ha esaminato la legge di Bilancio sono stati maggiori. Per esempio nel 2017, durante il governo Gentiloni, dopo il via libera del Senato la Camera aveva impiegato 22 giorni per approvare la legge di Bilancio, modificandola e rinviandola al Senato, dove poi è stata approvata definitivamente il 23 dicembre.

***

[1] Come fonti dei dati, abbiamo consultato la banca dati di ricerca degli emendamenti del Senato, mentre per la Camera abbiamo fatto riferimento ai resoconti stenografici delle sedute della Commissione Bilancio sui disegni di legge di Bilancio passati. Anche la Camera ha una banca dati sugli emendamenti, ma fonti parlamentari ci hanno spiegato che non conteggia tutti gli emendamenti presentati ai vari disegno di legge.
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