Perché la Corte dei conti ha bocciato il progetto del ponte sullo Stretto

Dalle norme ambientali agli appalti, fino ai pedaggi: che cosa non ha convinto i giudici e quali sono i prossimi passi
ANSA
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Il 27 novembre la Corte dei conti ha pubblicato le motivazioni della bocciatura, avvenuta un mese prima, della delibera con cui il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) aveva dato il via libera ad agosto al progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina. 

Il mancato via libera della Corte dei conti aveva fatto nascere un caso politico. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva accusato i giudici di aver invaso le scelte del governo e del Parlamento. La Corte, dal canto suo, si era difesa chiarendo di non aver espresso «alcun tipo di valutazione sull’opportunità e sul merito dell’opera». 

Per settimane erano circolate ipotesi e indiscrezioni sui motivi del giudizio negativo, ma la pubblicazione delle motivazioni consente ora di capire con precisione quali problemi, secondo la Corte, presenta il progetto.

Il ruolo della Corte

Per comprendere la decisione della Corte dei conti occorre partire dal quadro normativo entro cui è avvenuto il controllo dei giudici sul progetto del ponte.

L’esame svolto dalla Corte non riguarda la convenienza politica dell’opera, ma la conformità alla legge della delibera sul progetto definitivo dell’opera. Il cosiddetto “controllo preventivo di legittimità” sugli atti del governo – compito assegnato alla Corte dei conti dalla Costituzione – serve a garantire che l’azione del governo rispetti le norme vigenti, la corretta allocazione delle risorse pubbliche e gli equilibri di finanza pubblica. 

In questo caso, il controllo riguardava la delibera del CIPESS – l’organismo che decide sull’uso delle risorse pubbliche destinate agli investimenti – con cui era stato approvato il progetto definitivo del ponte e il piano dei finanziamenti dell’opera.

Il governo ha trasmesso la documentazione alla Corte dei conti il 10 settembre, dando avvio a un’istruttoria complessa. I giudici avevano segnalato alcune carenze significative nei documenti ricevuti, così il 23 settembre ha chiesto chiarimenti su numerosi aspetti. Le risposte fornite dal governo non sono state ritenute sufficienti e il 29 ottobre è arrivato l’annuncio della bocciatura della delibera, a cui è seguita la pubblicazione delle motivazioni di questa scelta.

La tutela dell’ambiente

Secondo la Corte dei conti, tre violazioni di «immediata e decisiva rilevanza» hanno reso impossibile l’approvazione della delibera del CIPESS. I giudici hanno spiegato che questi tre elementi costituiscono la struttura portante della bocciatura e non possono essere ricondotti a semplici errori formali o cavilli burocratici, come sostenuto da alcuni esponenti del governo nelle scorse settimane.

La prima violazione riguarda la tutela dell’ambiente. Il progetto del ponte coinvolge tre aree protette della Rete Natura 2000, cioè siti che godono del massimo livello di protezione previsto dal diritto europeo. Su questo punto, già una commissione del Ministero dell’Ambiente aveva espresso un parere negativo sull’impatto ambientale dell’infrastruttura. Per superare questo ostacolo, lo scorso aprile il governo aveva attivato una procedura eccezionale prevista dalla “Direttiva Habitat” – una direttiva europea che disciplina le deroghe ammissibili in caso di danni ai siti protetti – invocando i «motivi imperativi di rilevante interesse pubblico», che consentono in casi straordinari di procedere nonostante gli impatti ambientali. 

La Corte ha ritenuto illegittima questa scelta per gravi carenze formali e sostanziali: la relazione a supporto della deroga era priva di data e firma e non era possibile individuare il responsabile delle valutazioni. Sul merito, secondo i giudici non è stato dimostrato che non esistono alternative meno dannose del ponte. In più, le motivazioni economiche addotte dal governo sono state definite «inconferenti», ossia non pertinenti rispetto ai presupposti richiesti dalla procedura, poiché la direttiva consente deroghe solo per ragioni di salute o sicurezza pubblica.

Preoccupazioni erano state sollevate anche dalla Commissione europea, che il 15 settembre aveva chiesto chiarimenti urgenti sull’iter della realizzazione del ponte. 

Per questo motivo, la Corte ha concluso che la delibera vìola la “Direttiva Habitat” (nello specifico, i paragrafi 3 e 4 dell’articolo 6).

Le regole sugli appalti

Il secondo problema riguarda le regole sugli appalti. La Corte dei conti ha ritenuto illegittima la scelta del governo di riattivare senza una nuova gara il contratto originario per la costruzione del ponte, stipulato quasi vent’anni fa con il consorzio Eurolink. Quest’ultimo è guidato da Webuild, e comprende altre società italiane e internazionali attive nel settore delle infrastrutture. 

Secondo i giudici, in questo caso sarebbe stata violata la direttiva europea sugli appalti pubblici, in base alla quale – semplificando un po’ – non si possono cambiare le “regole del gioco” a partita in corso. Se un contratto pubblico subisce un «modifica sostanziale», infatti, la direttiva stabilisce che è necessario attivare una nuova gara. Una modifica di un contratto è considerata «sostanziale» quando ne altera l’equilibrio economico o quando introduce condizioni talmente vantaggiose che, se fossero state valide nella gara iniziale, avrebbero incentivato la partecipazione di più aziende concorrenti.

La Corte dei conti ha stabilito che il contratto originario è cambiato in modo sostanziale: l’accordo del 2006, per esempio, prevedeva che il 60 per cento dei finanziamenti per costruire il ponte fosse reperito da investitori privati, mentre oggi l’intero costo dell’opera ricadrebbe sulle finanze pubbliche.

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha provato a difendersi sostenendo che, anche se ci sono state modifiche al contratto, l’aumento dei costi è rimasto sotto la soglia del 50 per cento, un limite che – a determinate condizioni – permette di evitare una nuova gara. 

Secondo la Corte, questa tesi non è supportata da documenti ufficiali. I giudici hanno aggiunto che è impossibile verificare se sia stata superata la soglia del 50 per cento perché i costi totali dell’opera sono ancora incerti. La stima di 13,5 miliardi di euro – che riguarda sia il ponte sia le altre opere ferroviarie e stradali – sarebbe provvisoria.

Il ruolo dell’ART

Il terzo problema individuato dalla Corte dei conti riguarda la mancata partecipazione dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), un organismo che sulla correttezza delle tariffe e sull’accesso alle infrastrutture. Secondo i giudici, questa autorità avrebbe dovuto valutare il piano economico-finanziario per la realizzazione del ponte – cioè il documento che definisce costi, fonti di finanziamento e sostenibilità dell’opera – e i pedaggi. 

Il governo e la Società Stretto di Messina Spa (ossia la società responsabile della costruzione del ponte) avevano sostenuto che l’opera non sarebbe un’autostrada, ma una «strada extraurbana di categoria B», e che i pedaggi non servirebbero a coprire i costi, ma solo a regolare il traffico. Queste due osservazioni avrebbero reso inutile l’intervento dell’ART.

La Corte ha respinto questa tesi, definendola una «lettura parziale» e «non condivisibile» delle norme. I giudici hanno ricordato che la legge attribuisce all’ART competenza su tutte le infrastrutture soggette a pedaggio. Inoltre, la stessa classificazione adottata dal ministero sarebbe stata stabilita «per approssimazione», non esistendo una categoria specifica per un’opera simile al ponte sullo Stretto. La Corte ha sottolineato che già nel 1997 il Consiglio superiore dei lavori pubblici – il principale organo tecnico dello Stato in materia di infrastrutture – aveva qualificato l’opera come «autostrada» e che i costi di manutenzione sono calcolati usando come riferimento proprio le autostrade.

L’esclusione dell’ART ha comportato un ulteriore problema: il piano tariffario è stato redatto da una società privata (la TPlan Consulting)  scelta dalla società che dovrà realizzare l’opera, senza il controllo di un ente terzo e indipendente.

Gli altri problemi

Oltre ai tre motivi principali della bocciatura, la Corte dei conti ha evidenziato altri problemi che, pur non determinanti nella decisione finale, contribuiscono a delineare un quadro amministrativo caratterizzato da scarsa accuratezza e da procedure gestite in modo poco ordinato.

I giudici hanno criticato soprattutto il modo in cui il governo e la Società Stretto di Messina Spa hanno trasmesso la documentazione. Invece dei fascicoli ufficiali richiesti per il controllo, alla Corte è stato fornito un semplice link a un archivio digitale esterno, gestito da un soggetto privato. Nelle motivazioni si legge che inizialmente risultavano mancanti alcuni atti e che i documenti erano conservati su un «supporto informatico, nella disponibilità di un soggetto diverso dalle pubbliche amministrazioni», soluzione che non garantiva i livelli minimi di affidabilità richiesti per atti di questo tipo.

A complicare ulteriormente la situazione, nell’archivio digitale erano presenti più versioni dello stesso documento, tutte consultabili, senza che fosse chiaro quale dovesse essere considerata quella valida. Questo ha costretto la Corte a svolgere verifiche aggiuntive per accertare l’autenticità e l’integrità dei file, una necessità che i giudici collegano esplicitamente al rispetto dei principi di tracciabilità, leggibilità e immodificabilità dei documenti amministrativi.

Un altro problema riguarda il mancato coinvolgimento del Consiglio superiore dei lavori pubblici nel percorso della realizzazione del ponte. Secondo un parere risalente al 1997, il progetto del ponte sarebbe dovuto tornare al vaglio del Consiglio, ma questo passaggio non è avvenuto. 

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha motivato questa scelta sostenendo che il parere sarebbe stato omesso «in quanto ritenuto non necessario» per accelerare le procedure. La Corte ha contestato questa giustificazione, ricordando che nel corso degli anni sono intervenute modifiche rilevanti al progetto preliminare, dovute a richieste di enti terzi e a nuove prescrizioni normative, elementi che avrebbero reso opportuno un aggiornamento del parere tecnico per garantire «necessaria attualità e concretezza» alla documentazione.

In generale, la Corte ha sottolineato che la «esigenza di celerità più volte manifestata» dal governo ha finito per tradursi in forzature e in una certa superficialità nella gestione degli atti. I giudici hanno ricordato che la rapidità non può sostituirsi al rispetto delle procedure e che occorre garantire «effettività al principio di trasparenza dei processi decisionali», soprattutto per un’opera tanto costosa e complessa.

La risposta del governo

La decisione della Corte dei conti non blocca definitivamente la costruzione del ponte sullo Stretto. In base alla legge, il governo può superare il rifiuto dei giudici: il Consiglio dei ministri può stabilire che l’opera risponda a un interesse pubblico superiore e, quindi, che i cantieri debbano comunque procedere. 

In questo caso la Corte, anche se dovesse confermare i propri dubbi, sarebbe tenuta a registrare la delibera “con riserva”, consentendone l’efficacia ma segnalando al Parlamento la decisione. In pratica, il governo può far avanzare il progetto, assumendosene però la responsabilità politica.

Al momento, questa ipotesi è tutt’altro che la più probabile. Il 27 ottobre, infatti, il governo ha dichiarato in una nota ufficiale che «le motivazioni della deliberazione della Corte dei conti sul ponte sullo Stretto saranno oggetto di attento approfondimento». «Il governo è convinto che si tratti di profili con un ampio margine di chiarimento davanti alla stessa Corte, in un confronto che intende essere costruttivo e teso a garantire all’Italia un’infrastruttura strategica attesa da decenni», conclude la nota.

Resta da capire come il governo vorrà intervenire per rispondere alle osservazioni della Corte. Le motivazioni mostrano che i rilievi sollevati non si limitano a dettagli formali e richiederanno un lavoro specifico per essere superati, così da garantire che eventuali passi avanti sul progetto avvengano nel rispetto delle norme nazionali ed europee.
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