Da Gaza ai salari: il fact-checking di Meloni a Porta a Porta

Abbiamo analizzato otto dichiarazioni della presidente del Consiglio, fatti e numeri alla mano 
ANSA/GIUSEPPE LAMI
ANSA/GIUSEPPE LAMI
Il 7 ottobre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è tornata ospite di Porta a Porta su Rai 1. Intervistata da Bruno Vespa, la leader di Fratelli d’Italia ha parlato di molti temi, dal conflitto israelo-palestinese all’economia, passando per le elezioni regionali e il Superbonus.

Abbiamo verificato otto dichiarazioni di Meloni per vedere quante corrispondono alla realtà e quante no.

La denuncia alla Corte penale internazionale

«Io, il ministro Crosetto, il ministro Tajani e credo l’amministratore delegato di Leonardo Roberto Cingolani, siamo stati denunciati alla Corte penale internazionale per “concorso in genocidio”. Ora io credo che non esista un altro caso al mondo e nella storia di una denuncia del genere»

Con tutta probabilità Meloni fa riferimento alla denuncia annunciata nei giorni scorsi dal gruppo “Giuristi e avvocati per la Palestina”, sottoscritta da oltre cinquanta tra avvocati, attori, docenti universitari e politici, e da oltre trentamila cittadini. Il gruppo intende presentarla al procuratore generale della Corte penale internazionale, la figura incaricata di condurre indagini e chiedere eventuali incriminazioni per crimini di guerra e contro l’umanità. 

In sintesi, nella denuncia si afferma che il governo Meloni sarebbe «complice» del genocidio di cui Israele è accusato nei confronti del popolo palestinese nella Striscia di Gaza. Secondo i firmatari, la complicità del governo italiano deriverebbe da forniture e assistenza militare a Israele, da cooperazioni industriali e tecnologiche, e da scelte politiche e finanziarie che, pur nella consapevolezza del rischio, avrebbero agevolato e non impedito i crimini contestati al governo israeliano.

All’agenzia stampa ANSA un portavoce della Corte penale internazionale ha precisato che «associazioni o singoli individui possono presentare denunce» alla Corte, «ma solo le decisioni del procuratore hanno valore ufficiale». Al momento, ha aggiunto, «non esiste alcuna decisione» relativa ad accuse di concorso in genocidio nei confronti di Meloni, del ministro della Difesa Guido Crosetto, del ministro degli Esteri Antonio Tajani e dell’amministratore delegato di Leonardo Roberto Cingolani.

In ogni caso, contrariamente a quanto sostiene la presidente del Consiglio, l’iniziativa contro il suo governo non è un caso isolato. Negli ultimi mesi denunce simili sono state presentate anche in Francia, contro il presidente Emmanuel Macron e altri membri del governo, e in Australia, contro l’esecutivo guidato dal primo ministro Anthony Albanese. Entrambi sono accusati di «complicità» nel genocidio di cui è accusato Israele, e su cui dovrà esprimersi la Corte penale internazionale.

La vendita di armi a Israele

«Noi saremo complici di genocidio per le armi a Israele? Questa è una falsità. Questa è una falsità perché chiunque conosca la storia sa che l’Italia non ha autorizzato nuove forniture di armi a Israele dopo il 7 ottobre»

Al di là del giudizio sulla complicità nel genocidio, è vero che il governo italiano ha sospeso la concessione di nuove autorizzazioni per esportare armamenti in Israele dopo il 7 ottobre. Ma come abbiamo spiegato in un altro fact-checking, questo non significa che il commercio di armi con Israele si sia interrotto.

Le licenze di esportazione concesse prima dell’attacco di Hamas contro Israele sono state riesaminate una per una: alcune sono state sospese, altre confermate. I dati ISTAT mostrano che le esportazioni di armi dall’Italia a Israele sono proseguite, per un valore di 5,8 milioni di euro nel 2024 e oltre 200 mila euro nei primi mesi del 2025, oltre a forniture di altri materiali che, secondo alcuni, sarebbero utilizzabili sia in ambito civile sia militare.

I risultati delle elezioni regionali

«Da quando si è votato per le elezioni politiche, se noi calcolassimo anche la Sicilia che votava contestualmente, si è votato 16 volte in tre anni […]. Tra regioni e province autonome e centrodestra si è affermato 12 volte su 16, centrosinistra tre volte. E poi c’è il caso della Valle d’Aosta che è un caso particolare perché non ha l’elezione diretta, diciamo, del presidente»

Meloni ha ragione. Dal 22 settembre 2022 – giorno delle elezioni politiche – a oggi, si sono tenute le elezioni regionali in 16 regioni. In Sicilia, Lazio, Lombardia, Molise, Provincia autonoma di Trento, Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo, Basilicata, Molise, Liguria, Marche e Calabria hanno vinto i candidati di centrodestra, sostenuti dai partiti della maggioranza. I candidati di centrosinistra hanno vinto in Sardegna, Umbria ed Emilia-Romagna.

Alle elezioni regionali in Valle d’Aosta, tenutesi lo scorso 28 settembre, il partito più votato è stato l’Union Valdôtaine, che per governare la regione dovrà allearsi con altri partiti. Qui il presidente di regione non è eletto direttamente dai cittadini, ma dai consiglieri regionali.

Discorso analogo vale per la provincia autonoma di Bolzano, dove nel 2023 il partito più votato è stato il Südtiroler Volkspartei.

La crescita dei salari

«Quello che dicono tutti i numeri è che negli ultimi dieci anni prima di questo governo, il potere d’acquisto dei salari degli italiani era sceso di due punti, mentre in Europa cresceva di due e mezzo. E con questo governo il trend si è invertito e i salari sono tornati a crescere più dell’inflazione»

Questa è una delle dichiarazioni che da mesi la presidente del Consiglio ama ripetere più spesso: ce ne siamo già occupati in vari fact-checking. 

Quando dice che nei dieci anni precedenti all’attuale governo «il potere d’acquisto dei salari degli italiani era sceso di due punti, mentre in Europa cresceva di due e mezzo», Meloni fa riferimento alle “retribuzioni lorde annue per dipendente”, un indicatore che include tutto ciò che il lavoratore ha ricevuto durante l’anno, sia in denaro sia sotto forma di altri benefici. Nel 2022 questo indicatore era più basso del 2 per cento rispetto al 2013, mentre in media nell’Ue era più alto del 2,5 per cento.

Questo non significa però – come lascia intendere la presidente del Consiglio – che il calo sia stato continuo lungo i dieci anni tra il 2013 e il 2022: in alcuni anni le “retribuzioni lorde annue per dipendente” sono aumentate in termini reali, cioè considerando l’impatto dell’inflazione.

Quando Meloni sostiene poi che con il suo governo «il trend si è invertito e i salari sono tornati a crescere più dell’inflazione», fa riferimento a un altro indicatore, le “retribuzioni contrattuali orarie”, che rappresentano il salario stabilito dai contratti collettivi nazionali per un’ora di lavoro.

È vero che dalla fine del 2023 in poi queste retribuzioni sono cresciute, grazie al rallentamento dell’inflazione e al rinnovo di alcuni contratti. Ma secondo ISTAT, a giugno di quest’anno le retribuzioni contrattuali in termini reali erano ancora al di sotto di circa il 9 per cento dei livelli di gennaio 2021. In altre parole, l’aumento delle retribuzioni non è ancora stato sufficiente per compensare l’aumento dell’inflazione, e di conseguenza la perdita del potere d’acquisto.

La guerra in Ucraina

«Negli ultimi mille giorni di guerra la Russia ha conquistato meno dell’1 per cento del territorio ucraino»

La percentuale citata da Meloni non è il territorio ucraino conquistato dall’esercito russo negli ultimi mille giorni di guerra, ma nel corso del 2024, secondo i dati del centro studi statunitense Institute for the Study of War.

I prestiti per le spese militari

«Il fondo SAFE sono risorse aggiuntive, sono prestiti a lunghissimo termine a condizioni vantaggiose»

Meloni ha ragione. SAFE è un acronimo per Security Action for Europe. È un nuovo strumento con cui l’Unione europea offre fino a 150 miliardi di euro in prestiti di lunga durata ai Paesi Ue, a condizioni competitive. Il governo italiano ha chiesto di potere accedere a circa 15 miliardi di euro di prestiti, che potranno essere usati per finanziare investimenti legati alla difesa, alla sicurezza e al sostegno dell’industria europea degli armamenti, come l’acquisto congiunto di equipaggiamenti militari, l’ammodernamento delle capacità produttive e la ricerca nel settore della sicurezza.

L’economia del Mezzogiorno

«Al Sud l’occupazione cresce più della media nazionale, il PIL cresce più della media nazionale»

La parte sull’occupazione è corretta, meno quella sul Prodotto interno lordo (PIL).

Secondo ISTAT, nel 2023 – primo anno di governo Meloni – il PIL delle regioni del Mezzogiorno è cresciuto dell’1,5 per cento rispetto al 2022, una percentuale più alta della media nazionale, ferma al +0,7 per cento. Sulla crescita del Mezzogiorno hanno inciso soprattutto gli investimenti pubblici, in particolare nel settore delle costruzioni, mentre il settore industriale si è contratto. Nello stesso periodo, il numero di occupati nelle regioni meridionali è salito del 2,6 per cento, contro il +1,9 per cento della media nazionale.

Nel 2024 la crescita del PIL del Mezzogiorno ha rallentato rispetto all’anno prima. È stata infatti dello 0,9 per cento, la stessa percentuale registrata dalle regioni del Nord-Ovest e del Centro. La crescita nazionale è stata dello 0,7 per cento, a causa della bassa crescita delle regioni del Nord-Est (+0,2 per cento). L’aumento del numero degli occupati è stato del 2,2 per cento, a fronte di un +1,6 per cento nazionale.

Superbonus ed extraprofitti

«Le banche hanno fatto gli extraprofitti con il Superbonus»

È vero che nel 2023 le banche hanno aumentato i loro profitti anche grazie alla cessione dei crediti del Superbonus. Ma i loro extraprofitti del 2023 derivano quasi interamente dall’aumento dei tassi d’interesse, come abbiamo spiegato in un altro fact-checking.
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