Davvero l’Italia non vende più armi a Israele?

Secondo Antonio Tajani è una «leggenda metropolitana». Abbiamo verificato se ha ragione: la sua ricostruzione non è completa
Ansa
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Il 5 settembre, a margine del Forum di Cernobbio, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha risposto a un giornalista che gli chiedeva se in caso di occupazione della Cisgiordania l’Italia sarebbe stata disposta a «non inviare più armi a Israele». «Ma noi non inviamo armi: questa è una leggenda metropolitana», ha aggiunto il leader di Forza Italia. «Noi, dal 7 di ottobre di due anni fa, abbiamo sospeso tutti i contratti. Quindi non c’è nessun invio di armi a Israele».

In realtà, i fatti raccontano una storia diversa. L’Italia ha sì bloccato le nuove autorizzazioni dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, ma vecchie licenze hanno continuato a produrre spedizioni. E non sono mancate accuse di traffici sospetti e inchieste giudiziarie.

Lo stop alle nuove licenze

La legge n. 185 del 1990 stabilisce che le esportazioni di armamenti dall’Italia verso l’estero devono essere autorizzate dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento (UAMA) del Ministero degli Esteri. La stessa legge pone vincoli al commercio di armi, che non possono essere vendute – salvo deroghe – a Paesi in guerra o che violano le convenzioni internazionali. Ogni anno, il governo è tenuto a inviare al Parlamento una relazione con dati e informazioni sulle esportazioni di armamenti autorizzate.

La relazione più recente, pubblicata a marzo 2025, spiega che tra i dati del 2024 «non appare Israele perché – come noto – le caratteristiche dell’intervento israeliano su Gaza in reazione al criminale assalto condotto da Hamas il 7 ottobre 2023 hanno indotto l’autorità nazionale UAMA a non concedere nuove autorizzazioni all’esportazione ai sensi della legge n. 185/1990». Anche la relazione dell’anno precedente aveva chiarito che, dopo l’inizio delle operazioni militari israeliane, in reazione all’attacco di Hamas, era stata sospesa la concessione di nuove autorizzazioni. Prima di quella data, nel corso del 2023, il valore delle esportazioni militari verso Israele aveva raggiunto 9,9 milioni di euro, in linea con il 2022.

Quanto detto finora riguarda le esportazioni italiane. Sul fronte opposto, nel 2024 l’Italia ha continuato a importare armi da Israele, che è passato dalla settima alla seconda posizione tra i Paesi di provenienza. Le 42 autorizzazioni di importazione dall’industria israeliana hanno avuto un valore di circa 155 milioni di euro.

I contratti ancora validi

Il blocco del rilascio di nuove autorizzazioni dal 7 ottobre 2023 non ha comportato automaticamente lo stop a tutte le esportazioni di armamenti verso Israele. Lo ha ammesso anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a ottobre 2024, durante le comunicazioni in Senato in vista di un Consiglio europeo. «Tutti i contratti firmati dopo il 7 ottobre non hanno trovato applicazione», ha dichiarato. «Le licenze di esportazione verso Israele che invece erano state autorizzate prima del 7 ottobre sono state tutte analizzate caso per caso dall’autorità competente», ossia l’UAMA, «applicando la normativa italiana, europea e internazionale».

Sulle licenze rilasciate prima del 7 ottobre, Meloni ha spiegato che il governo effettua una «valutazione caso per caso». «Laddove c’è il rischio che questo materiale sia impiegato nella crisi in atto, non procediamo, mentre lo facciamo quando siamo certi che il materiale non possa essere utilizzato», ha aggiunto. La presidente del Consiglio ha portato due esempi: da un lato, la sospensione della licenza per la vendita di «munizioni marittime dimostrative» a Israele, sebbene autorizzata in precedenza, perché «non potevamo essere sicuri» sul loro utilizzo; dall’altro, la conferma della licenza per componenti di aerei assemblati in Israele e destinati agli Stati Uniti, «perché non c’è il rischio che possano essere utilizzati» a Gaza.

I dati ISTAT sul commercio estero confermano che nel 2024 e nei primi mesi del 2025 sono state comunque esportate armi dall’Italia in Israele. Secondo il database COEWEB, nel 2024 le esportazioni italiane nella categoria “armi, munizioni e loro parti e accessori” hanno raggiunto un valore di 5,8 milioni di euro, mentre tra gennaio e maggio 2025 sono state pari a oltre 200 mila euro [1]. Esistono inoltre altre voci, come quelle relative a mezzi di trasporto e prodotti informatici, che non rientrano nella categoria delle armi in senso stretto ma possono comunque essere usate in contesti bellici.

La zona grigia del commercio

Negli scorsi mesi il governo è stato poi accusato di consentire esportazioni verso Israele non di armi in senso stretto, ma di sostanze e materiali che possono avere un impiego bellico. Un’inchiesta pubblicata a luglio da Altraeconomia ha documentato che, dall’inizio della guerra a Gaza fino a marzo 2025, l’Italia avrebbe esportato in Israele migliaia di tonnellate di nitrato di ammonio, sostanza che deve rispettare regole stringenti proprio perché utilizzabile anche per produrre esplosivi. Lo stesso discorso riguarda altre esportazioni, come quelle di trizio o micce.

L’inchiesta è stata ripresa dal co-portavoce di Alleanza Verdi-Sinistra Angelo Bonelli, che ha chiesto al governo «perché, di fronte al massacro in corso nella Striscia di Gaza, si è continuato a rifornire Israele con materiale che può essere impiegato a scopi bellici». Bonelli ha spiegato a Pagella Politica che finora il governo non ha risposto alla sua richiesta di chiarimenti.

I traffici sotto inchiesta

Oltre alle esportazioni autorizzate e a quelle più controverse, negli ultimi mesi la magistratura ha indagato su traffici sospetti. Tra marzo e aprile, la Procura di Ravenna ha bloccato al porto alcune spedizioni verso Israele che, secondo gli investigatori, contenevano materiali bellici prodotti da aziende lombarde, tra cui componenti per cannoni. Secondo la Procura, sarebbero stati aggirati i controlli doganali, in violazione delle norme sulle autorizzazioni.

Lo scorso giugno, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli ha ricordato che già a dicembre 2024 l’Agenzia delle dogane aveva sequestrato al porto di Ravenna un carico classificabile come materiale d’armamento, ribadendo l’impegno del governo «a contrastare il commercio illegale di armamenti».

Di recente, sempre a Ravenna, sono stati segnalati altri movimenti sospetti, come il passaggio di una nave carica di armi e munizioni partita dalla Repubblica Ceca e diretta a Haifa, in Israele, senza le necessarie autorizzazioni italiane. La vicenda ha spinto il sindaco Alessandro Barattoni a chiedere pubblicamente chiarimenti, sottolineando che la città non deve diventare complice del conflitto in corso a Gaza.
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