Meloni esagera sugli extraprofitti delle banche fatti con il Superbonus

Nel 2023 gli utili degli istituti finanziari sono cresciuti non tanto per l’acquisto dei crediti legati ai bonus edilizi quanto per un altro fattore
ANSA
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Il 30 maggio, ospite a Dritto e Rovescio su Rete 4, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che nel 2023 le banche hanno aumentato di molto i loro profitti grazie ai bonus edilizi. «Giuseppe Conte ha permesso che le banche facessero gli extraprofitti con il Superbonus, prendendo quei soldi dallo Stato italiano», ha dichiarato Meloni, accusando il presidente del Movimento 5 Stelle. «Le banche hanno fatto gli extraprofitti comprandosi i crediti del Superbonus a un valore che viaggiava intorno all’80 per cento di quel credito».

È davvero così? I cosiddetti “extraprofitti” delle banche sono frutto degli incentivi nell’edilizia? In breve: è vero che l’acquisto dei crediti d’imposta è un’attività che le banche svolgono con profitto, ma non ci sono prove solide per dire che questa attività sia una parte rilevante del loro business. E non ci sono nemmeno prove solide che l’acquisto dei crediti d’imposta sia stata la voce principale nell’aumento dei profitti fatti l’anno scorso dalle banche.

Come funziona la cessione dei crediti

Semplificando un po’, chi ha beneficiato del Superbonus 110 per cento e di quasi tutti gli altri bonus edilizi nel periodo in cui è stata concessa la libera cessione del credito ha ottenuto il diritto a uno sconto sulle tasse da pagare negli anni successivi. La cessione dei crediti d’imposta è stata introdotta nella seconda metà del 2020 dal secondo governo Conte ed è stata limitata prima dal governo Draghi, poi dal governo Meloni, che l’ha bloccata definitivamente con un decreto convertito in legge dal Parlamento lo scorso maggio. 

Detta altrimenti, chi ha beneficiato del Superbonus e ha sostenuto una spesa per l’efficientamento energetico di un immobile, non ha ricevuto subito indietro una somma di denaro, ma ha avuto la possibilità di compensare il credito maturato nei confronti dello Stato pagando meno tasse. Questo meccanismo, come detto, va spalmato su più anni, sia perché così è previsto dal funzionamento del bonus, sia perché di solito un contribuente non paga abbastanza tasse in un anno per compensare una spesa ingente come quella di ristrutturazione di una facciata o di sostituzione di tutti gli infissi all’interno di un’abitazione. Questo significa che per accedere ai bonus edilizi occorre investire subito una somma grossa, che ritorna indietro nel corso di anni attraverso i crediti fiscali. 

La cessione del credito, introdotta insieme al Superbonus ed estesa a quasi tutti i bonus edilizi, risolveva almeno in parte questo problema: anziché sfruttare il credito sulle proprie tasse, il cittadino che accede al bonus può decidere di cedere a qualcun altro questo beneficio. Questo qualcun altro poteva essere o l’azienda che aveva fatto i lavori, attraverso il cosiddetto “sconto in fattura”, o a un istituto finanziario, come una banca.

Di solito, un credito d’imposta si vende scontato, ossia a un prezzo più basso del suo valore effettivo. La spiegazione è semplice: chi acquista un credito ha convenienza a dilazionare nel tempo lo sconto sulle tasse da pagare allo Stato solo se può comprare il credito a un prezzo più basso del beneficio che riceverà effettivamente negli anni. Per esempio, Intesa Sanpaolo – il principale gruppo bancario in Italia – ha acquistato i crediti d’imposta dei bonus edilizi pagandoli a un prezzo pari a una percentuale tra il 70 e l’85 per cento del loro valore effettivo, a seconda del tipo di intervento e della scadenza. In pratica se un cittadino aveva un credito d’imposta da 100 mila euro, che avrebbe impiegato molti anni a smaltire, poteva decidere di venderlo a Intesa Sanpaolo ricevendo in media tra i 70 mila e gli 85 mila euro subito.

Il meccanismo della cessione dei crediti ha incentivato parecchio il ricorso ai bonus edilizi, i cui costi hanno superato ampiamente le stime iniziali. Per questo motivo, si è cercato nel tempo di limitarlo, prima di interromperlo definitivamente.

L’esempio di Intesa Sanpaolo

Una volta capito come funziona il sistema della cessione dei crediti d’imposta, vediamo con un esempio concreto che cosa sono gli “extraprofitti” di cui ha parlato Meloni e che cosa c’entra il Superbonus.

Nel 2023 i conti delle banche italiane hanno registrato variazioni positive molto alte, che nel dibattito politico e giornalistico sono state ribattezzate “extraprofitti”. Per esempio, l’anno scorso l’utile di Intesa Sanpaolo – ossia i ricavi al netto dei costi e delle imposte – è cresciuto del 76 per cento rispetto al 2022. Per verificare se Meloni ha ragione oppure no, cerchiamo di capire quali fattori hanno causato questo aumento dell’utile.

Nel bilancio del 2023 si legge che tra la seconda metà del 2020 e la fine del 2023, Intesa Sanpaolo ha acquistato crediti d’imposta per un valore pari a 27,1 miliardi di euro. A questi vanno aggiunti altri 4,4 miliardi in contratti sottoscritti, ossia finalizzati ma non ancora eseguiti, e 5,7 miliardi in fase di acquisizione. In totale, alla fine dello scorso anno il giro d’affari della banca nell’acquisto di crediti d’imposta valeva poco più di 37 miliardi, accumulati in circa tre anni e mezzo. Analizzando anche i bilanci del 2021 e del 2022, risulta che nel 2023 il valore dei crediti fiscali acquisiti da Intesa sia stato pari a 11 miliardi. Dato che nel 2023 l’utile della banca è stato pari a 7 miliardi, sembra che l’acquisto dei crediti abbia avuto un peso notevole sul risultato economico della banca.

Se Intesa Sanpaolo ha acquistato crediti per 11 miliardi di euro, non significa però che questo abbia contribuito al suo utile per 11 miliardi di euro: va considerato che il guadagno della banca deriva dalla differenza tra il valore del credito e il prezzo pagato per acquistarlo. Assumendo un tasso di sconto medio del 20 per cento, ossia che Intesa Sanpaolo ha pagato in media i crediti l’80 per cento del loro valore, significa che la banca è riuscita a “guadagnare” 2,2 miliardi dalle cessioni del credito nel 2023.

Come abbiamo visto, però, questi crediti non si incassano tutti in una volta sola, ma vanno spalmati su più anni. Assumendo una scadenza media di cinque anni (ma ci sono crediti che maturano anche in dieci), il contributo della cessione del credito sul bilancio scenderebbe a 440 milioni l’anno. Vanno poi considerati i costi legati alla cessione (per esempio quelli amministrativi, legali e del personale), che riducono ancora il margine della banca sulla cessione del credito. A spanne, assumiamo che la cessione del credito abbia contribuito per 400 milioni all’utile di Intesa Sanpaolo nel 2023. Questa cifra corrisponde al 5 per cento dell’utile registrato nel 2023 e al 12 per cento circa dell’incremento dell’utile registrato tra il 2022 e il 2023. È una cifra significativa, ma non tale da essere considerata il principale fattore di crescita dell’utile.

Perché sono cresciuti gli utili delle banche

In realtà, la crescita dei risultati economici delle banche riguarda l’aumento del cosiddetto “margine di interesse”, ossia la differenza tra gli interessi attivi della banca e gli interessi passivi: i primi sono incassati dalla banca sui prestiti e sui mutui concessi a cittadini e aziende, mentre i secondi sono pagati dalla banca ai clienti che, per esempio, hanno un conto corrente e un conto deposito.

Dal 2022 l’aumento dei tassi d’interesse deciso dalla Banca Centrale Europea (BCE) ha fatto crescere velocemente i prezzi dei prestiti delle banche, che così hanno visto aumentare i loro profitti. Per esempio, nel 2023 il margine di interesse di Intesa Sanpaolo è cresciuto del 43 per cento rispetto al 2022, passando da 11 a 16 miliardi di euro. Anche considerando stime generose sul contributo della cessione del credito, l’impatto del solo margine di interesse vale oltre dieci volte tanto: 5 miliardi rispetto a 400 milioni.

Dati simili valgono anche per altre grandi banche italiane: per Banco Bpm la crescita del margine di interesse è stata di circa un miliardo (+42 per cento) a fronte di un utile cresciuto di 579 milioni (+85 per cento); per Monte dei Paschi di Siena la crescita del margine di interesse è stata di 750 milioni (+49 per cento), a fronte di un aumento dell’utile di circa 2 miliardi (da una perdita nel 2022); per Bper la variazione del margine di interesse è stata di 1,4 miliardi (+78 per cento), rispetto a un utile che è aumentato di 70 milioni (+5 per cento).

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