Meloni non la racconta giusta sui benefici della tassa sugli “extraprofitti” delle banche

Secondo la presidente del Consiglio, la modifica voluta dal governo è stata vincente per lo Stato e per le banche, facendo aumentare i prestiti. Ma i numeri dicono altro
ANSA
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Il 22 gennaio, ospite a Quarta Repubblica su Rete 4, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha difeso la scelta del governo di modificare, ormai quattro mesi fa, la tassa sui cosiddetti “extraprofitti” delle banche. Nel difendere l’operato del suo governo però la leader di Fratelli d’Italia ha fornito una giustificazione che al momento non sembra essere supportata dai numeri. 

A inizio agosto il governo ha introdotto con un decreto-legge una nuova imposta che le banche avrebbero dovuto versare su una parte dei maggiori profitti fatti nei mesi precedenti, dopo l’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Banca centrale europea (Bce). L’obiettivo dichiarato del governo era raccogliere circa 2 miliardi di euro da destinare a misure contro i rincari dei mutui e contro l’inflazione. Durante l’esame in Parlamento, il governo ha poi fatto marcia indietro, consentendo alle banche di non pagare la nuova imposta se avessero rafforzato il proprio patrimonio con l’accantonamento di una somma pari a due volte e mezzo quello dell’imposta. Tutte le principali banche hanno scelto di non versare l’imposta, rafforzando invece il proprio capitale. In questo modo è stato di fatto azzerato il gettito che il governo sperava inizialmente di incassare.

A Quarta Repubblica Meloni ha detto che questa operazione è stata comunque un «win-win», ossia ha portato vantaggi sia per lo Stato sia per le banche. Secondo la presidente del Consiglio, infatti, più una banca aumenta il suo patrimonio, «più crediti può concedere», e «più crediti concede, più aiuta l’economia», e più prestiti fa, più aumenta i propri profitti, versando più tasse allo Stato. Meloni ha anche aggiunto che si sono già visti gli effetti positivi di questa operazione: i tassi di interesse riconosciuti sui depositi di imprese e famiglie «sono aumentati», così come i prestiti fatti dalle banche. 

Punto per punto, vediamo che cosa non torna in questa ricostruzione fatta da Meloni.

L’impatto sui prestiti

Le dichiarazioni della presidente del Consiglio sembrano una giustificazione per spiegare il dietrofront del governo dopo l’annuncio sulla tassa sugli “extraprofitti” piuttosto che una vera e propria situazione win-win per banche e cittadini.

La nuova tassa annunciata ad agosto, infatti, puntava a ridurre gli “extraprofitti” delle banche, generati dal forte aumento del loro margine di interesse, ossia la differenza tra le entrate dai prestiti erogati dalle banche e le uscite dagli interessi che le banche riconoscono ai propri clienti (per esempio, quelli sui conti corrente). L’obiettivo della nuova tassa era costringere le banche ad aumentare i tassi di interesse riconosciuti sui conti, con maggiori entrate per i clienti, in modo da bilanciare almeno in parte il maggiore costo dei mutui.

Dopo le critiche arrivate dal settore bancario e da alcuni partiti, la via d’uscita adottata dal governo è stata dare alle banche due opzioni: versare la tassa oppure aumentare le proprie riserve di capitale di un importo pari ad almeno due volte e mezzo il valore della tassa stessa. Il fatto che nessuna delle banche interessate dalla tassa sugli “extraprofitti” abbia optato per la prima alternativa fa immaginare quanto fosse più conveniente la seconda.

La riserva di capitale fa parte di una delle numerose regole e precauzioni che le banche devono seguire per mantenere la propria stabilità. Il denaro dedicato a questa attività resta in mano alla banca e, quando si superano i limiti minimi imposti dalla legge e dalle autorità di sorveglianza, la banca può decidere di ridurre questa riserva e ottenere nuovamente il denaro. Al contrario, con la tassa sugli “extraprofitti” le banche avrebbero versato quanto dovuto, che sarebbe definitivamente finito nelle casse pubbliche.

È vero, come dice Meloni, che obbligare le banche ad aumentare le proprie riserve ne ha migliorato la stabilità. Ma va sottolineato che quando è stata introdotta questa possibilità, non sembravano esserci eventi esterni che suggerivano di dover aumentare le precauzioni sul capitale delle banche: nessuna di queste sembrava infatti in gravi difficoltà, e non lo sembra tutt’oggi.

È vero che una banca più stabile è anche più propensa a erogare mutui, sia per la maggiore fiducia sia per questioni di regolamentazione (le attività di una banca – semplificando, i prestiti che eroga – non possono valere più di un certo ammontare rispetto alle sue riserve di capitale). Ma a differenza di quanto sostiene la presidente del Consiglio, la misura alternativa alla tassa sugli “extraprofitti” non ha portato a un aumento dei prestiti erogati dalle banche.

Come ha fatto notare l’analista economico Mario Seminerio, secondo i dati più aggiornati dell’Associazione bancaria italiana (Abi), nei quattro mesi trascorsi dall’annuncio della tassa sugli “extraprofitti” – tra settembre e dicembre 2023 – il totale degli impieghi delle banche, ossia il totale del denaro prestato e investito, è calato da 1.675 miliardi di euro a 1.669 miliardi. I soli prestiti al settore privato sono scesi di 3 miliardi di euro [1]. 

Per un’analisi economica più precisa occorrerebbe calcolare il cosiddetto “controfattuale”, ossia stimare che cosa sarebbe successo se non ci fosse stato l’annuncio dell’introduzione della tassa sugli “extraprofitti” e poi la modifica in Parlamento. Senza la novità decisa dal governo, la quantità di denaro prestato dalle banche sarebbe calata ancora di più? È difficile dirlo, ma di certo non ci sono prove che l’aumento delle riserve abbia fatto crescere la quantità di prestiti erogati alle famiglie e alle imprese.

L’impatto sul margine di interesse

La novità introdotta dal governo non ha nemmeno ridotto gli “extraprofitti” delle banche. In questo caso con “extraprofitto” si fa riferimento a un aumento del margine di interesse, ossia alla differenza tra le entrate da interessi attivi per la banca (per esempio quelli sui prestiti) e le uscite da interessi passivi (tra cui quelli riconosciuti sui conti corrente o sui conti deposito). Secondo i dati più aggiornati di Abi, gli interessi passivi per la banca sui conti correnti sono aumentati dallo 0,41 per cento di agosto 2023 allo 0,53 per cento di dicembre 2023 [2]. Nello stesso periodo i tassi sui prestiti sono aumentati dal 4,49 per cento di agosto al 4,76 di dicembre. Ad agosto, quindi, il margine di interesse medio per le banche era pari a 4,08 per cento (il risultato di 4,49 meno 0,41), mentre a dicembre era del 4,23 per cento (il risultato di 4,76 meno 0,53).

Anche in questo caso si potrebbe obiettare che manca lo scenario controfattuale. Ma non ci sono comunque prove di una riduzione del margine di interesse e, quindi, degli extraprofitti delle banche grazie alla misura del governo.

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[1] Monthly outlook di gennaio 2024, pagina 18.

[2] Monthly outlook di gennaio 2024, Tabelle 7 e 9.

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