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L’autonomia differenziata era nel programma dei due governi Conte

| 24 giugno 2024
La dichiarazione
«Conte nel Contratto di governo con la Lega l’aveva nel programma. Nel Conte II il Movimento 5 Stelle mise l’autonomia differenziata tra i 20 punti irrinunciabili per governare col PD. E Boccia confermò che era un impegno prioritario di quel governo. E non solo. L’hanno messa anche nella Nadef. Come lo stesso governo Draghi»
Fonte: Corriere della Sera | 22 giugno 2024
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
Verdetto sintetico
Il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera ha ragione.
In breve
  • Il Contratto di governo tra Lega e Movimento 5 Stelle conteneva l’impegno di portare avanti il percorso per l’attuazione dell’autonomia differenziata. TWEET
  • Lo stesso impegno era stato preso dal secondo governo Conte e dal governo Draghi. TWEET
  • Questo non significa però che i partiti oggi all’opposizione, tra cui il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico, non possano essere contrari ad alcuni aspetti specifici con cui l’attuale governo intende proseguire il percorso per dare più autonomia alle regioni. TWEET
Il 22 giugno, in un’intervista con il Corriere della Sera, il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Tommaso Foti ha respinto le critiche dei partiti all’opposizione contro il disegno di legge sull’autonomia differenziata, approvato in via definitiva dalla Camera tre giorni prima. Secondo Foti, il Movimento 5 Stelle aveva inserito l’autonomia differenziata sia nel Contratto di governo con la Lega sia nel programma del secondo governo di Giuseppe Conte, supportato dal Partito Democratico. «L’hanno messa anche nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), come lo stesso governo Draghi», ha aggiunto Foti. 

Abbiamo verificato se il parlamentare di Fratelli d’Italia dice la verità oppure no.

Gli esordi dell’autonomia differenziata

Quando nel dibattito politico si parla di “autonomia differenziata”, chiamata anche “regionalismo differenziato”, si fa riferimento alla possibilità concessa alle regioni che ne fanno richiesta di avere più autonomia dal governo centrale. L’articolo 116 della Costituzione, infatti, stabilisce al terzo comma che le regioni possono chiedere maggiore autonomia allo Stato nell’amministrazione di 23 materie: tre di queste appartengono a quelle su cui, al momento, solo lo Stato ha il potere di fare le leggi, mentre sulle altre venti possono legiferare sia lo Stato sia le regioni. Tra le materie che possono essere oggetto dell’autonomia differenziata ci sono, per esempio, la gestione della sicurezza sul lavoro, delle infrastrutture di trasporto e della tutela della salute.

L’autonomia differenziata è stata inserita in Costituzione a marzo 2001, con una riforma costituzionale approvata dal Parlamento durante il secondo governo di Giuliano Amato, supportato da una maggioranza di centrosinistra. La riforma è stata poi confermata a ottobre 2001 con un referendum costituzionale, dove i voti favorevoli alla riforma hanno vinto con il 64,1 per cento. Negli anni successivi varie regioni hanno provato ad avviare il percorso per ottenere una maggiore autonomia, senza successo. Nel 2003 la Toscana ha cercato un’intesa con lo Stato per ottenere più autonomia solo nella gestione dei beni culturali e successivamente altre delibere sono state approvate da altri consigli regionali, per esempio della Lombardia, del Veneto e del Piemonte.

Uno dei primi risultati concreti sull’autonomia differenziata è stato raggiunto alla fine di febbraio 2018, pochi giorni prima delle elezioni politiche del 4 marzo, quando il governo di Paolo Gentiloni (Partito Democratico) ha siglato gli accordi preliminari con Lombardia e Veneto, amministrate dal centrodestra, ed Emilia-Romagna, amministrata dal centrosinistra, per concedere loro maggiore autonomia su alcune materie. La richiesta di maggiore autonomia da parte di Lombardia e Veneto era stata supportata anche da due referendum consultivi, tenutisi a ottobre 2017, che all’epoca avevano ricevuto l’appoggio del capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio prima di andare al governo. «Noi stiamo sostenendo i due referendum in Lombardia e in Veneto», aveva dichiarato Di Maio a settembre 2017, durante un evento a Rimini. «È un referendum semplicissimo, che dice: le risorse che incassiamo in Lombardia e in Veneto, e che dobbiamo mandare a Roma ma che poi le stesse dovranno tornare qui, ce le teniamo qui direttamente ed evitiamo le lungaggini burocratiche». 

Il 1° giugno 2018 si è insediato poi il primo governo guidato da Giuseppe Conte, supportato da Movimento 5 Stelle e Lega.

L’autonomia nel Contratto di governo

Alla base del primo governo Conte c’era il Contratto di governo, una sorta di programma firmato a maggio 2018 da Di Maio e dal segretario della Lega Matteo Salvini, che poi sono stati nominati vicepresidenti del Consiglio. 

Come ha sottolineato correttamente Foti, è vero che l’autonomia differenziata era contenuta nel Contratto di governo. «Sotto il profilo del regionalismo, l’impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell’agenda di governo l’attribuzione, per tutte le regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra governo e regioni attualmente aperte», si legge nel Contratto di governo, che faceva riferimento appunto alle intese preliminari siglate tra il governo Gentiloni e Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. 

«Il riconoscimento delle ulteriori competenze dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse. Alla maggiore autonomia dovrà infatti accompagnarsi una maggiore responsabilità sul territorio, in termini di equo soddisfacimento dei servizi a garanzia dei propri cittadini e in termini di efficienza ed efficacia dell’azione svolta», proseguiva il Contratto di governo. «Questo percorso di rinnovamento dell’assetto istituzionale dovrà dare sempre più forza al regionalismo applicando, regione per regione, la logica della geometria variabile che tenga conto sia delle peculiarità e delle specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale, dando spazio alle energie positive ed alle spinte propulsive espresse dalle collettività locali». 

Durante il primo governo Conte, il compito di portare avanti le trattative sull’autonomia differenziata con le regioni è stato affidato alla ministra per gli Affari regionali e le Autonomia Erika Stefani (Lega). Dopo sei mesi di governo, in un’intervista con L’aria che tira su La7, a dicembre 2018 Stefani ha spiegato di aver chiesto a Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna di chiarire la loro richiesta di maggiore autonomia in varie materie, su cui confrontarsi con il governo. La ministra ha inoltre aggiunto di aver sottoposto all’allora presidente del Consiglio Conte le «bozze di intesa» con le regioni, aggiornate rispetto a quelle siglate dal precedente governo. Queste bozze sono state pubblicate a febbraio 2019, quando però le posizioni della Lega e del Movimento 5 Stelle hanno iniziate a farsi più distanti su alcuni aspetti. In breve, il partito oggi guidato da Conte all’epoca mostrava alcune perplessità su come dovessero essere assegnate le risorse economiche alle regioni che chiedevano maggiore autonomia.

L’autonomia nel secondo governo Conte

Durante l’estate del 2019 si è consumata la crisi di governo che a settembre di quell’anno ha portato all’insediamento del secondo governo Conte, questa volta supportato dal Movimento 5 Stelle con il Partito Democratico e Liberi e Uguali, a cui pochi giorni dopo si è aggiunta la neonata Italia Viva di Matteo Renzi. Anche alla base del secondo governo Conte c’era una sorta di programma di governo, sebbene meno dettagliato del Contratto di governo firmato con la Lega. Il Movimento 5 Stelle e il PD si sono infatti accordati su 29 «linee programmatiche» e una di queste riguardava proprio l’autonomia differenziata. 

«È necessario completare il processo di autonomia differenziata giusta e cooperativa, che salvaguardi il principio di coesione nazionale e di solidarietà, la tutela dell’unità giuridica e economica; definisca i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, i fabbisogni standard; attui compiutamente l’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che prevede l’istituzione di un fondo di perequazione volto a garantire a tutti i cittadini la medesima qualità dei servizi», si legge nel programma del secondo governo Conte. «Ciò eviterà che questo legittimo processo riformatore possa contribuire ad aggravare il divario tra il Nord e il Sud del Paese. Nella ricognizione ponderata delle materie e delle competenze da trasferire e delle conseguenti ricadute – di natura politica, giuridica, economica e sociale – che questo trasferimento determina, occorre procedere con la massima attenzione. In questa prospettiva, decisivo e centrale sarà il ruolo del Parlamento, che andrà coinvolto anche preventivamente, non solo nella fase legislativa finale di approvazione».

Il citato quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione stabilisce che «per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni».

Dunque, anche in questo caso Foti dice una cosa supportata dai fatti: la volontà di proseguire nel percorso dell’autonomia differenziata era supportata dai partiti della maggioranza del secondo governo Conte, di cui il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie era Francesco Boccia (Partito Democratico). Oltre al riferimento all’articolo 119 della Costituzione, il secondo governo Conte ha introdotto con Boccia ministro un altro elemento di novità nel dibattito sull’autonomia differenziata. L’esponente del PD ha infatti deciso non di trattare le intese con le singole regioni, ma di far approvare prima dal Parlamento una legge che chiarisse i principi e il percorso per assegnare maggiore autonomia alle regioni che ne avevano fatto richiesta. 

La volontà di proseguire il percorso dell’autonomia differenziata è stato ribadito nella Nadef, citata da Foti e approvata alla fine di settembre 2019. «Si procederà lungo il processo di autonomia differenziata, salvaguardando il principio di coesione nazionale e di solidarietà. Saranno definiti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Ciò eviterà di aggravare il divario tra il Nord e il Sud del Paese», si legge nella prima Nadef approvata dal secondo governo Conte. Dalla sanità all’istruzione, passando per i trasporti, i cosiddetti “livelli essenziali di prestazioni” (LEP) comprendono tutti quei servizi che lo Stato deve ritenere indispensabili per tutti i cittadini, senza distinzioni sul territorio in cui vivono, dal Nord al Sud, dal Centro alle Isole (su questo punto torneremo più avanti).

Il passaggio al governo Draghi

Nei mesi successivi, l’inizio della pandemia di Covid-19 ha causato un inevitabile rallentamento del percorso dell’autonomia differenziata, che però è proseguito durante il successivo governo di Mario Draghi, insediatosi a febbraio 2021 e supportato da quasi tutti i principali partiti in Parlamento, eccetto Fratelli d’Italia e Sinistra Italiana. Anche il governo Draghi, nel Documento di economia e finanza (Def) approvato nella primavera del 2021, ha promesso di portare avanti il progetto dell’autonomia differenziata, sotto la responsabilità della nuova ministra per gli Affari regionali e le Autonomie Mariastella Gelmini (all’epoca in Forza Italia, poi passata ad Azione prima delle elezioni politiche del 2022). 

Nel corso del 2022 alcuni passi in avanti sono stati fatti, ma senza arrivare a nuove intese ufficiali tra il governo e le regioni. Per esempio a luglio 2022 la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha pubblicato i risultati di un’indagine conoscitiva sul «processo di attuazione» dell’autonomia differenziata.

L’autonomia nel governo Meloni

Si è così arrivati al governo di Giorgia Meloni, insediatosi a ottobre 2022, con Roberto Calderoli (Lega) ministro per gli Affari regionali e le Autonomie. A marzo 2023 Calderoli ha presentato in Senato il disegno di legge con i «principi generali» da seguire per assegnare maggiore autonomia alle regioni che ne fanno richiesta, nel rispetto del già citato articolo 116 della Costituzione. In più, il testo fissava la procedura con cui dovranno essere approvate le eventuali intese tra lo Stato e le regioni che vogliono più autonomia su alcune materie. Il disegno di legge ha iniziato un lungo percorso parlamentare ed è stato approvato, con modifiche, prima dal Senato lo scorso gennaio poi in via definitiva dalla Camera lo scorso 19 giugno.

Rimandiamo alla lettura di un altro approfondimento, qui disponibile, per chi volesse approfondire il contenuto del disegno di legge approvato dal Parlamento. Tra le altre cose, il testo stabilisce che il governo ha due anni di tempo per determinare i LEP, su cui alcuni passi avanti sono stati fatti con la pubblicazione di una relazione da parte del “Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (CLEP). I LEP sono centrali nel dibattito sull’autonomia differenziata perché la nuova legge approvata dal Parlamento stabilisce che alle regioni può essere concessa maggiore autonomia solo se non ci sono maggiori costi a carico dello Stato per finanziare i singoli LEP. Se invece questi costi ci sono, la concessione di maggiore autonomia può avvenire solo dopo l’entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le risorse economiche necessarie a far fronte ai maggiori costi. Per quanto riguarda l’autonomia relativa a materie che non sono collegate ai LEP, invece, questa può essere concessa solo nei limiti delle risorse economiche già a disposizione dello Stato.

Come dimostra questo esempio, essere favorevoli all’autonomia differenziata non significa necessariamente essere favorevoli al disegno di legge presentato dal governo e approvato dal Parlamento. Infatti, il disegno di legge regola alcuni aspetti su cui i partiti, pur favorevoli alla possibilità di concedere maggiore autonomia alle regioni, possono avere posizioni diverse. Un altro esempio riguarda il lungo percorso che governo e regioni dovranno seguire per portare a termine l’autonomia differenziata. Il governo Meloni e i partiti che lo sostengono hanno approvato nel disegno di legge un percorso che non necessariamente deve trovare concordi i partiti all’opposizione comunque favorevoli all’autonomia.

Il verdetto

Secondo Tommaso Foti, il primo governo Conte aveva nel suo programma l’autonomia differenziata, così come il secondo governo Conte e quello di Mario Draghi. È vero: il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera ha ragione.

Il Contratto di governo tra Lega e Movimento 5 Stelle conteneva l’impegno di portare avanti il percorso per l’attuazione dell’autonomia differenziata. Lo stesso impegno era stato preso dal secondo governo Conte e dal governo Draghi.

Questo non significa però che i partiti oggi all’opposizione, tra cui il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico, non possano legittimamente essere contrari ad alcuni aspetti specifici con cui l’attuale governo intende proseguire il percorso per dare più autonomia alle regioni.

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