Anche quest’anno, i nostri lettori hanno votato per scegliere la dichiarazione politica più sbagliata del 2016. Dopo il primo posto di Matteo Renzi dello scorso anno, il trofeo va questa volta a Beppe Grillo, per la sua dichiarazione sulla proprietà dei Musei vaticani.



I nostri lettori hanno partecipato al sondaggio – statisticamente non rappresentativo – nel corso delle ultime settimane di dicembre: potete vedere i risultati del 2015 qui e del 2014 qui. Ed ecco la classifica:





1° posto



L’11 novembre scorso, durante un’intervista con Euronews, Beppe Grillo dichiarò che i Musei Vaticani sono del Comune di Roma, anche se il Campidoglio non percepiva alcuna somma. Aggiunse che ne avrebbe parlato presto con il pontefice. In realtà, i Musei Vaticani sono entro le mura della Città del Vaticano e, da quando questa esiste, ne hanno sempre fatto parte. Qualche giorno dopo, invece di un colloquio con papa Francesco, l’ex comico ha annunciato una correzione sul suo profilo Facebook: “I musei vaticani sono del Vaticano e nessuno mette in dubbio questo”. Ma ormai la dichiarazione era fatta – e i nostri lettori l’hanno premiata. L’analisi completa è qui.



2° posto





Ai primi di febbraio, il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio disse che, per non aver accettato i rimborsi elettorali, il Movimento Cinque Stelle avrebbe dovuto pagare una multa di 200 mila euro. In realtà, la questione riguardava la mancata presentazione di documentazione economica: più precisamente i rendiconti di esercizio e la relazione di controllo dei rendiconti da parte di una delle società di revisione accreditate. Un emendamento presentato alla Camera prevedeva una multa di 200 mila euro a chi non avesse rispettato le scadenze. Insomma, i rimborsi elettorali non c’entravano nulla e la multa non era stata comminata. L’analisi completa è qui.



3° posto





Al terzo posto, un cavallo di battaglia dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi: “La disoccupazione che continua a scendere […] è dimostrazione che ‪#‎jobsact‬ funziona”. Ma le modifiche alla legislazione sul lavoro non erano state l’unica modifica fatta dal governo Renzi: c’erano state anche le decontribuzioni, e bisogna tener conto anche della congiuntura economica. Quanto pesi ciascun elemento non è facile da dire e non ci sono ancora studi autorevoli che colleghino aumento degli occupati con le misure del Jobs Act. Insomma, Renzi citava un dato che in realtà non “dimostrava” quello che diceva dimostrasse. L’analisi completa è qui.



Seguono, in ordine di votazione: Salvini e il tempo di approvazione delle leggi economiche un po’ troppo ottimista; Di Maio che accusa Renzi di inaugurare ponti vecchi di quarant’anni e già in funzione; Brunetta che nega del tutto il fatto che ci siano stati nuovi posti di lavoro.



Dal sesto posto in giù, Salvini e l’inesistente successo economico del 1996 (l’anno scorso il leader della Lega Nord era finito nella top ten con quello del 1993); Matteo Renzi e il Parlamento che abolisce sé stesso, un primato storico inesistente; ancora l’ex presidente del Consiglio sulla composizione del Senato secondo la riforma; e infine Maria Elena Boschi, secondo cui il nostro Parlamento è il più numeroso e il più caro dell’Occidente.