Trent’anni di elezioni regionali in quattro grafici

Chi ha governato più regioni e popolazione tra centrosinistra e centrodestra? Quali sono le regioni “roccaforte”? E quali quelle con più alternanza?
ANSA/CESARE ABBATE
ANSA/CESARE ABBATE
Salvo sorprese, nel 2026 in Italia non ci sarà nessuna elezione regionale: una circostanza che non si verificava da circa dieci anni, visto che l’ultimo anno senza alcuna consultazione regionale era stato il 2016. 

Se non si considera il caso particolare della Valle d’Aosta, le sei regioni che hanno votato quest’anno hanno tutte confermato la coalizione che già era al governo prima del voto, senza cambiamenti negli equilibri politici alla guida delle giunte regionali. Il centrodestra ha vinto in Veneto, Marche e Calabria, il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle in Toscana, Puglia e Campania

Questa totale assenza di alternanza sembra rafforzare ciò che i sondaggi segnalano da almeno tre anni: la politica italiana attraversa una fase di marcata stabilità.

Ed è proprio osservando come sono cambiati – o non sono cambiati – i rapporti di forza nelle regioni negli ultimi trent’anni che si capisce quanto questo equilibrio attuale sia anche il risultato di una lunga tendenza, fatta di aree rimaste fedeli allo stesso schieramento e di poche vere inversioni di rotta.

Una sfida quasi in pareggio

L’elezione diretta dei presidenti di regione è iniziata nel 1995 per le regioni a statuto ordinario. Nel corso degli anni si sono aggiunte la Sardegna nel 1999, la Sicilia nel 2001 e il Friuli-Venezia Giulia nel 2003. Per capire come si siano distribuiti i rapporti di forza da allora, abbiamo raccolto tutti i presidenti eletti dal 1995 in poi (escludendo Valle d’Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano), e li abbiamo classificati per schieramento, così da ricostruire l’evoluzione complessiva dei governi regionali.

Considerando l’intero trentennio, il centrosinistra ha guidato un numero leggermente maggiore di regioni e per periodi complessivamente più lunghi. Il centrodestra, però, ha amministrato un volume di popolazione più ampio, soprattutto grazie alla guida continuativa della Lombardia, la regione più popolosa del Paese.

In termini di regioni amministrate contemporaneamente, il centrosinistra ha raggiunto il suo massimo tra il 2015 e il 2017 con 15 regioni, mentre il centrodestra ha toccato il picco di 14 nel 2023, dopo essersi fermato a 11 sia nel 2003 sia nel 2011. Nei momenti di massimo squilibrio, durante l’apice del centrodestra, al centrosinistra restavano soltanto Emilia-Romagna, Campania, Puglia e Toscana; nel periodo di massima espansione del centrosinistra, il centrodestra controllava soltanto Liguria, Lombardia e Veneto.
Guardare però solo alla distribuzione numerica può essere fuorviante, perché le regioni hanno dimensioni molto diverse. Se si considera la popolazione amministrata, il quadro si riequilibra e in parte si rovescia.

Per la maggior parte del tempo il centrodestra ha governato oltre la metà della popolazione italiana e oggi ne amministra circa il 65 per cento. Il centrosinistra, nel suo momento migliore, è arrivato al 72 per cento, mentre il centrodestra ha toccato un massimo del 71 per cento. Vale la pena ricordare che sono serviti dieci anni dalle prime elezioni dirette prima che il centrosinistra superasse per la prima volta la soglia del 50 per cento di popolazione amministrata, nel 2005.

Le regioni “roccaforti” e contendibili

Quattro regioni non hanno mai cambiato maggioranza: Emilia-Romagna e Toscana sono sempre rimaste al centrosinistra, Veneto e Lombardia al centrodestra. Se si somma la durata effettiva dei mandati, si vede che il centrodestra ha governato per la maggior parte del tempo in Sicilia, Piemonte, Molise e Calabria, mentre il centrosinistra ha prevalso in Basilicata, Campania, Lazio, Marche, Puglia e Umbria. Abruzzo, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Liguria mostrano invece un equilibrio maggiore, alternando più spesso il controllo tra i due schieramenti.
Negli ultimi trent’anni, dunque, quattro regioni non hanno mai cambiato colore politico, cinque hanno registrato una forte alternanza e le restanti si collocano a metà strada. Il grado di alternanza non è un dato puramente statistico, ma può incidere sulla qualità della competizione politica. In teoria, dove la vittoria non è mai scontata, gli amministratori hanno maggiori incentivi a mantenere le promesse e a rispondere alle richieste dei cittadini. Al contrario, nelle aree dominate stabilmente dallo stesso schieramento, può esserci il rischio di un progressivo distacco tra chi governa e chi è governato, con amministrazioni meno esposte alla pressione dell’elettorato e quindi potenzialmente meno reattive ai suoi bisogni.

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