Le commissioni parlamentari non se la passano bene

Tra il taglio dei parlamentari e l’abuso di decreti-legge le commissioni di Camera e Senato sono alle prese con una serie di problemi
Ansa
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La pausa estiva in Parlamento si avvicina e le commissioni parlamentari di Camera e Senato non se la passano bene. A oggi i progetti di legge all’esame delle 24 commissioni dei due rami del Parlamento (14 alla Camera e dieci al Senato) sono in totale 211: una media di quasi nove provvedimenti per commissione. Le commissioni svolgono un ruolo centrale nei lavori del Parlamento perché esaminano per prime i disegni e le proposte di legge. Ciascuna commissione si occupa dei testi che riguardano la materia di cui è competente, programma audizioni di esperti per aiutare i parlamentari nel loro lavoro, ed esamina e modifica i testi prima che vengano discussi in assemblea. Dal lavoro delle commissioni dipende quindi quello delle aule di Camera e Senato. 

Al momento la commissione che sta esaminando il maggior numero di progetti di legge è la Commissione Affari costituzionali del Senato (27 testi), seguita dalla Commissione Agricoltura della Camera (23), dalla Commissione Giustizia e dalla Commissione Affari sociali del Senato (21). Tra i vari progetti di legge, 189 sono stati presentati dai parlamentari, 12 dal governo, nove dai consigli regionali e uno dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel).
Le commissioni non esaminano tutti i progetti di legge in contemporanea, ma stabiliscono a quali dare la precedenza in base alla programmazione dei lavori di Camera e Senato, decisa ogni tre mesi dalla conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari. In ogni caso più il numero di testi da esaminare è alto, più è difficile esaminarli in tempi rapidi. Ma come mai le commissioni hanno così tanto lavoro da svolgere? I motivi hanno a che fare sia con il taglio dei parlamentari sia con l’abuso di decreti-legge da parte del governo

Gli effetti del taglio dei parlamentari alla Camera

La riforma costituzionale del taglio dei parlamentari, approvata con un referendum costituzionale nel 2020, ha ridotto di circa un terzo il numero dei deputati e dei senatori, passati da 945 a 600 per la prima volta in questa legislatura. Tra le varie cose il taglio dei parlamentari ha comportato una riduzione dei membri delle singole commissioni. Questo si è verificato soprattutto alla Camera dove al momento il regolamento interno è stato modificato e adeguato alla riduzione dei deputati solo nella parte riguardante le soglie minime per le votazioni, ma non in quella riguardante la composizione delle commissioni. Alle Camera dunque le commissioni sono rimaste 14, sebbene i deputati siano passati da 630 a 400. Con la nuova legislatura questo ha avuto un effetto significativo sulla composizione delle commissioni stesse. Per esempio tra la scorsa legislatura e quella attuale il numero dei componenti della Commissione Affari costituzionali è passato da 48 a 30, mentre la Commissione Giustizia ha perso 18 membri, passando da 49 a 31. 

Una commissione più piccola può comportare alcuni problemi interni. «Essendo in meno, oggi è ancora più difficile seguire in maniera completa l’esame dei provvedimenti, soprattutto in commissioni come quella per gli Affari costituzionali, tra le più cariche di lavoro», ha spiegato a Pagella Politica il segretario di Più Europa Riccardo Magi, deputato e membro della Commissione Affari costituzionali sia nella precedente legislatura sia in quella attuale. Un altro aspetto sollevato da Magi, che era contrario alla riforma del taglio dei parlamentari, riguarda i rapporti tra maggioranza e opposizioni: «Essendo diminuito il numero di componenti nelle commissioni, il margine tra maggioranza e opposizione si è a sua volta assottigliato. Adesso basta che uno o due membri della maggioranza non si presentino alle votazioni per non avere più i numeri per far passare i provvedimenti. E questa è una difficoltà maggiore, che si paga se non si è ben organizzati». 

Il presidente della Commissione Affari sociali della Camera Ugo Cappellacci (Forza Italia) è della stessa idea, ma secondo lui la mole di lavoro è nella norma. «Siamo qui per fare il nostro dovere: se abbiamo tanto lavoro significa che c’è un’attività parlamentare viva e costante», ha detto a Pagella Politica Cappellacci, il cui partito era contrario alla riduzione dei parlamentari. Per il deputato di Forza Italia il problema principale alla Camera riguarda il mancato adeguamento della composizione delle commissioni al taglio dei deputati. «Essendo in meno e avendo molta attività, spesso succede che nell’arco di un mese gli stessi deputati si trovino a fare i relatori di progetti di legge anche due o tre volte». I relatori sono i deputati o i senatori che seguono l’esame di un progetto di legge dall’inizio alla fine, e ciò richiede un’elevata preparazione e uno studio approfondito di ciascun provvedimento. «Auspichiamo che la Camera completi al più presto la riforma del regolamento, almeno per una questione di uniformità con il Senato. Oggi ci sono meccanismi diversi tra le due aule del Parlamento e non ha molto senso», ha detto Cappellacci. Riforma del regolamento che, a oggi, sembra ancora parecchio lontana.

Gli effetti al Senato

A differenza della Camera la situazione al Senato è un po’ diversa. Dopo la riforma del taglio dei parlamentari il Senato ha riformato tutto il suo regolamento, riducendo tra le altre cose il numero di commissioni permanenti, che sono passate da 14 a dieci. Ma anche nelle commissioni del Senato i problemi non mancano. «Nonostante la riforma del regolamento rimane il fatto che al Senato siamo sempre meno persone a dover occuparci delle stesse cose che si facevano prima: bisognerebbe ragionare se tagliare i parlamentari abbia davvero giovato alla qualità della legislazione, e io credo di no», ha detto a Pagella Politica il senatore di Azione-Italia Viva Marco Lombardo, segretario della Commissione Politiche dell’Unione europea del Senato. Azione, il partito di cui fa parte Lombardo, era contrario al taglio dei parlamentari.

Tra l’altro, a differenza della Camera, il regolamento del Senato prevede che i gruppi parlamentari composti da un numero di senatori inferiore a quello delle commissioni possano designare uno stesso senatore in tre commissioni diverse, per essere meglio rappresentati. Questo si traduce però in carichi di lavoro aggiuntivi, con senatori che devono alternarsi tra una commissione e l’altra. In certi casi alcuni senatori dei partiti di maggioranza ricoprono incarichi in più commissioni per sostituire i colleghi che hanno assunto incarichi nel governo Meloni. È questo il caso del senatore e presidente della squadra di calcio della Lazio Claudio Lotito (Forza Italia). Lotito è vicepresidente della Commissione Bilancio del Senato e, allo stesso tempo, membro della Commissione Finanze e tesoro, in sostituzione della collega di partito Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della Ricerca. 

Come Magi per la Camera, Lombardo ha messo in evidenza che pure al Senato esiste un problema di rapporti di forza tra maggioranza e opposizioni nelle commissioni. «Complice il taglio dei parlamentari, bastano pochi voti mancanti e la maggioranza rischia di non avere i numeri per far approvare i provvedimenti. Così si è deciso che nelle commissioni i testi si votano per prassi il mercoledì, in modo tale da favorire la presenza di tutti».

L’abuso di decreti-legge

Non tutti però sono d’accordo nell’attribuire al taglio dei parlamentari la causa dei problemi delle commissioni. Secondo la deputata del Movimento 5 Stelle Vittoria Baldino «più che il taglio dei parlamentari direi che abbia influito il taglio del Parlamento, che non tocca più palla se non per ratificare le scelte del governo». Segretaria della Commissione Difesa alla Camera, Baldino ha detto a Pagella Politica che a suo parere il sovraccarico delle commissioni «è dovuto all’incontinenza di provvedimenti di urgenza che stanno avendo il sopravvento su ogni altro tipo di atto parlamentare, che viene puntualmente stralciato dalla maggioranza». 

Il Movimento 5 Stelle è stato il partito che più di tutti ha promosso la riforma costituzionale del taglio dei parlamentari, ma al di là delle legittime posizioni politiche è vero che l’uso dei decreti-legge da parte del governo sta incidendo sul lavoro delle commissioni di Camera e Senato. I decreti-legge sono provvedimenti che hanno forza di legge ed entrano subito in vigore dopo essere stati approvati dal Consiglio dei ministri. Dato che di fatto questo strumento permette al potere esecutivo (il governo) di esercitare anche il potere legislativo (che spetta al Parlamento), in teoria un governo potrebbe adottarli solo in casi di «necessità e urgenza». Una volta approvati i decreti entrano subito in vigore, ma devono essere convertiti in legge, anche con modifiche, dalla Camera e dal Senato entro 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Il Parlamento, e quindi le commissioni, hanno dunque tempi stretti per l’esame di questi provvedimenti, che se non vengono convertiti in legge decadono. 

Negli ultimi anni l’uso dei decreti-legge è aumentato e a maggio scorso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha invitato il governo Meloni a un uso più cauto di questo strumento, evitando soprattutto i cosiddetti decreti “omnibus”, ossia i decreti che intervengono su più tematiche diverse tra loro. 

L’abuso dei decreti-legge da parte del governo ha un riflesso significativo nel lavoro delle commissioni parlamentari. «Ogni volta che il governo approva un decreto-legge, come Parlamento e come commissioni siamo costretti a rivedere la tabella di marcia dei nostri lavori, perché ovviamente i decreti hanno la precedenza sulle proposte di legge dei parlamentari», ha spiegato Lombardo. «Il meccanismo che si crea è semplice: più il governo emana decreti, più siamo costretti a velocizzare i tempi della discussione e più si rimanda l’esame di altri testi, che vengono accantonati e vanno ad accumularsi». L’idea è condivisa da Cappellacci: «Certamente i decreti-legge complicano un po’ i lavori, perché noi abbiamo una programmazione su base trimestrale, ma poi questa programmazione viene un po’ sfasata dagli atti che devono essere inseriti subito perché hanno scadenze nel breve periodo».

Un altro effetto dell’abuso di decreti-legge è il cosiddetto “monocameralismo alternato”. Questa è la tendenza a concentrare l’esame e la modifica dei progetti di legge in una sola delle due camere, con l’altra che si limita ad approvarli. «Questo – ha spiegato Lombardo – si riflette nel lavoro delle commissioni: se un decreto-legge viene esaminato prima dal Senato, tutte le principali modifiche vengono apportate nelle commissioni di quest’aula, mentre le commissioni della Camera si limiteranno ad approvarlo, e viceversa».

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