Il taglio dei parlamentari non ha portato i risparmi sperati

I bilanci di Camera e Senato sono di fatto rimasti invariati rispetto al passato, nonostante il numero dei deputati e dei senatori sia passato da 945 a 600
ANSA / PAOLO SALMOIRAGO
ANSA / PAOLO SALMOIRAGO
Dopo le elezioni dello scorso 25 settembre, il numero dei deputati e senatori in Parlamento è sceso da 945 a 600. In passato, i favorevoli al taglio del numero dei parlamentari, confermato con un referendum costituzionale nel 2020, avevano dichiarato che con un Parlamento più ridotto si sarebbero risparmiati molti soldi. All’epoca le stime erano parecchio ottimiste (si parlava addirittura di 500 milioni di euro risparmiati in una legislatura) ma di recente è arrivata la conferma che, nonostante la riduzione dei membri delle camere, le spese non si ridurranno particolarmente, come dimostrano i bilanci pubblici della Camera e del Senato. L’aumento dei costi dell’elettricità e del gas e quelli delle pensioni degli ex parlamentari sono tra le cause indicate a Pagella Politica come responsabili dei mancati risparmi.  

I bilanci della Camera e del Senato

Ogni anno, l’Ufficio di presidenza della Camera e il Consiglio di presidenza del Senato approvano un bilancio che indica l’ammontare dei fondi a disposizione delle due istituzioni e come verranno spesi negli anni successivi. Alla Camera, il progetto di bilancio per il triennio 2022-2024 è stato approvato il 13 luglio 2022 dall’Ufficio di presidenza della scorsa legislatura, guidato come da prassi dall’allora presidente Roberto Fico (Movimento 5 stelle). Il documento indica una dotazione complessiva di 943,2 milioni di euro all’anno per il 2022, il 2023 e il 2024, importo uguale a quello stanziato tutti gli anni a partire dal 2013. Oltre alle entrate generali di cui potrà beneficiare la Camera, dal bilancio risulta anche che le entrate per i gruppi parlamentari rimarranno uguali: 30,9 milioni di euro all’anno. 

La stessa dinamica si ripete in Senato, dove il bilancio approvato il 2 agosto 2022 dal Consiglio di presidenza guidato da Maria Elisabetta Alberti Casellati (Forza Italia), prevede entrate per 505,3 milioni di euro all’anno tra il 2022 e il 2024, la stessa cifra stanziata nel 2021. Ai gruppi parlamentari andranno complessivamente 22,1 milioni di euro, importo uguale a quello dell’anno scorso. 

I fondi erogati ai gruppi parlamentari sono di fatto una forma di finanziamento indiretto ai partiti e, come spiega il regolamento della Camera, devono essere utilizzati esclusivamente per «scopi istituzionali riferiti all’attività parlamentare e alle funzioni di studio, editoria e comunicazione ad essa ricollegabili, nonché alle spese per il funzionamento degli organi e delle strutture dei gruppi». 

Altre voci di spesa sono invece state adattate tenendo conto della riduzione del numero di parlamentari, a partire dal 2023. Per esempio, il bilancio della Camera spiega che le “spese per i deputati” sono state ridotte di 40,2 milioni di euro per il 2023 e di 52 milioni di euro per il 2024. Questa voce di spesa comprende gli stanziamenti relativi all’indennità parlamentare e ai rimborsi che, a parità di ammontare individuale, verranno corrisposte a un minor numero di aventi diritto. 

Meno persone, stessi costi

Il deputato Filippo Scerra (Movimento 5 stelle), membro del Collegio dei questori e dell’Ufficio di presidenza alla Camera, ha spiegato a Pagella Politica che, nonostante la riduzione nel numero di parlamentari, «il funzionamento dei gruppi parlamentari è più o meno analogo a quello che succedeva negli scorsi anni», e il personale che si occupa dei vari processi legislativi «non diminuisce in maniera proporzionale al taglio dei parlamentari». 

Di conseguenza, «non c’è una corrispondenza diretta» tra la riduzione nel numero di deputati e senatori e l’ammontare dei contributi destinati ai gruppi, perché «il lavoro all’interno dei gruppi può leggermente diminuire, ma certamente non diminuisce di un terzo, come il numero dei parlamentari», ha detto Scerra. «Pretendere che ci sia un taglio di un terzo sarebbe deleterio per il processo legislativo e il lavoro del Parlamento». 

Sia alla Camera che al Senato, i regolamenti specificano che i contributi dovrebbero essere erogati ai gruppi parlamentari in modo «proporzionale alla loro consistenza numerica». Se quindi l’importo complessivo è rimasto lo stesso, Scerra ha spiegato che questo verrà diviso tra i vari gruppi in base alla quantità di membri. Fratelli d’Italia, per esempio, essendo cresciuto notevolmente rispetto alla precedente legislatura riceverà più fondi, mentre il Movimento 5 stelle ne riceverà molti meno. 

Di fatto, comunque, sembra che per ora il taglio del numero dei parlamentari non si sia tradotto in un risparmio effettivo nei costi della politica. Per quanto riguarda la Camera, nonostante la riduzione di circa 50 milioni di euro per le indennità dei deputati, l’ammontare della dotazione complessiva è rimasta uguale tra il 2021 e i successivi tre anni. Secondo Scerra, questo è dovuto a «una serie di spese aggiuntive», come «l’incremento del prezzo delle materie prime, dell’energia elettrica e del gas, che sta dilaniando il Paese e non esime la Camera», ma anche «contributi e pensioni dei parlamentari da pagare in più, perché molti stanno andando in pensione» e la decisione secondo cui i collaboratori dei deputati dovranno essere pagati direttamente da Montecitorio. «Purtroppo le contingenze hanno portato a questi aumenti di spesa, che non riguardano però i parlamentari», ha detto Scerra.

Tra Camera e Senato le indennità ai parlamentari, dopo il taglio di oltre un terzo degli eletti, sono diminuite di circa 61 milioni di euro l’anno, oltre 300 milioni di euro a legislatura. Tuttavia, nei bilanci di entrambe le aule sono presenti delle spese aggiuntive e non collegate direttamente ai parlamentari che, almeno per i prossimi anni, hanno annullato gli effetti di questo risparmio.

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