Il 17 novembre, ospite a Piazzapulita su La7, il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte ha criticato (min. 26:30) alcuni provvedimenti economici che il governo guidato da Giorgia Meloni ha annunciato saranno inseriti nella prossima legge di Bilancio. Tra questi, c’è la cosiddetta “tregua fiscale”, un condono annunciato dal viceministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo (Fratelli d’Italia) per cancellare le cartelle esattoriali, inviate fino al 2015, con un valore fino a mille euro e far pagare il 50 per cento delle cartelle con valori fino a 3 mila euro.

Secondo Conte, il messaggio che viene dato con provvedimenti di questo tipo è: «Evasori e corrotti state tranquilli. Tra condono fiscale e innalzamento della soglia del contante, farete la pacchia». Lo stesso Conte però, quando è stato presidente del Consiglio, ha approvato anche lui un condono fiscale per provare a recuperare una parte delle risorse non incassate dal fisco dai contribuenti non in regola.

Le misure in questione sono contenute nel decreto “Fiscale”, approvato dal Consiglio dei ministri il 15 ottobre 2018, poi pubblicato in Gazzetta ufficiale il 23 ottobre (non senza polemiche all’interno del Movimento 5 stelle) e convertito definitivamente in legge dalla Camera. I provvedimenti erano stati definiti dal primo governo Conte «disposizioni in materia di pace fiscale», una promessa contenuta nel Contratto di governo siglato a maggio 2018 dalla Lega e dal Movimento 5 stelle. Dietro al termine “pace fiscale”, e alla “tregua fiscale”, così come la chiama oggi il governo Meloni, ci sono di fatto condoni, come ammesso in passato anche dal leader della Lega Matteo Salvini.

Tra le altre cose, il decreto “Fiscale” del primo governo Conte ha stabilito la cancellazione automatica (il cosiddetto “stralcio”) dei debiti per le cartelle esattoriali relative al periodo tra il 2000 e il 2010, con un importo fino ai mille euro. All’epoca, durante una conferenza stampa, Conte aveva giustificato questo provvedimento dicendo che, secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze, i costi di riscossione sarebbero stati eccessivi. La stessa giustificazione è stata utilizzata di recente dal viceministro Leo proprio per giustificare la proposta del governo Meloni di cancellare le cartelle fino a mille euro inviate fino al 2015. 

Il decreto aveva introdotto anche varie «definizioni agevolate» per risolvere le controversie tra i contribuenti e il fisco a condizioni, come suggerisce il nome del provvedimento, più favorevoli rispetto a quelle precedenti. Per esempio, pagando solo l’imposta dovuta e non ancora versata, senza le sanzioni e gli interessi, o con interessi ridotti. 

Inoltre, nel decreto “Fiscale” c’erano «disposizioni in materia di dichiarazione integrativa speciale». Detta in parole semplici, il governo dava la possibilità ai contribuenti che avevano commesso «errori od omissioni» con il fisco di sistemare la loro posizione, pagando una percentuale fissa, senza sanzioni e interessi, per le cifre con un tetto fino a 100 mila euro. «Possiamo chiamarlo condono?», aveva chiesto un giornalista a Conte, durante la conferenza stampa di presentazione del decreto, ricevendo questa risposta dall’allora presidente del Consiglio: «Lei lo chiami come vuole: noi lo chiamiamo definizione agevolata, pacificazione, eccetera. Poi siccome il lessico è nelle sue facoltà, lei domani scriva quello che vuole».

Tra gli altri politici di primo piano, in passato anche l’attuale segretario Enrico Letta e il leader di Italia viva Matteo Renzi hanno criticato i condoni fiscali, pur avendone approvati pure loro quando sono stati presidenti del Consiglio.