Il “supporto formazione e lavoro” è ancora meno trasparente del reddito di cittadinanza

Il sussidio è in vigore da un anno, ma mancano i numeri per capire se e quanto sta funzionando
ANSA
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Il prossimo 1° settembre sarà passato un anno esatto dall’entrata in vigore del cosiddetto “supporto per la formazione e il lavoro”, il sussidio introdotto dal governo Meloni per incentivare l’occupazione di una parte degli ex percettori del reddito di cittadinanza. A dodici mesi dall’introduzione di questa misura, però, sappiamo ancora poco – e in alcuni casi proprio nulla – su come stia funzionando. Non ci sono infatti informazioni complete, pubblicamente disponibili, sui risultati raggiunti finora dal supporto per la formazione e il lavoro, un problema che in passato ha riguardato anche lo stesso reddito di cittadinanza. 

Di che cosa stiamo parlando

Il decreto “Lavoro”, convertito in legge dal Parlamento a luglio 2023, ha creato le due misure che hanno sostituito il reddito di cittadinanza, cancellato definitivamente dal 1° gennaio 2024. La prima misura si chiama “assegno di inclusione” e dall’inizio di quest’anno può essere richiesta dalle famiglie che al loro interno hanno almeno un minorenne, o una persona con almeno 60 anni di età, oppure una persona con disabilità. Per accedere al nuovo sussidio bisogna rispettare una serie di requisiti, tra cui essere residente in Italia da almeno cinque anni e un ISEE non superiore ai 9.360 euro.

La seconda misura che ha preso il posto del reddito di cittadinanza è il supporto per la formazione e il lavoro. Mentre l’assegno di inclusione è stato pensato come «misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale», il supporto per la formazione e il lavoro ha l’obiettivo di «favorire l’attivazione nel mondo del lavoro delle persone a rischio di esclusione sociale e lavorativa». Questa misura è diventata operativa il 1° settembre 2023 e ne possono farne richiesta i componenti delle famiglie con un’età tra i 18 e i 59 anni, il cui ISEE non supera i 6.000 euro annui e che non hanno i requisiti per ottenere l’assegno di inclusione. 

Secondo il governo Meloni, in questa categoria rientrano gli ex percettori del reddito di cittadinanza che sono “occupabili”, ossia che possono cercare e trovare un lavoro. Le caratteristiche delle persone che rientrano in questa categoria sono molto varie: per esempio, oltre il 70 per cento degli ex percettori del reddito di cittadinanza che non possono accedere all’assegno di inclusione hanno la terza media come titolo di studio. 

In concreto, il supporto per la formazione e il lavoro consiste in un assegno mensile di 350 euro, erogato dall’Inps, che può essere incassato al massimo per 12 mesi. Chi vuole ricevere questo sussidio deve farne richiesta sulla piattaforma del Sistema informativo per l’inclusione sociale lavorativa (Siisl), impegnandosi a presentarsi alla convocazione del servizio per il lavoro competente. Qui il richiedente deve sottoscrivere il cosiddetto “patto di servizio personalizzato”, dove sono indicati almeno tre agenzie per il lavoro che dovranno aiutarlo a trovare lavoro, e i percorsi di formazione da seguire. Nelle intenzioni del governo, la piattaforma Siisl è stata pensata per presentare offerte di lavoro e servizi di orientamento e accompagnamento al lavoro ai beneficiari del nuovo sussidio. Una volta trovato lavoro, cessa l’erogazione dell’assegno mensile.

La poca trasparenza

Quanti sono a oggi i beneficiari del supporto per la formazione e il lavoro? Gli unici dati pubblicamente disponibili sono stati pubblicati per la prima volta da Inps lo scorso 9 luglio, oltre dieci mesi dopo l’introduzione del sussidio. In totale, dal 1° settembre 2023 al 30 giugno 2024 i beneficiari del supporto per la formazione e il lavoro sono stati 96.161 (Tav. 2.1), e in media ogni beneficiario ha ricevuto 3,7 assegni mensili. La maggiore concentrazione di beneficiari è nelle regioni meridionali (78 per cento), seguite dalle regioni settentrionali (13 per cento) e quelle del Centro Italia (9 per cento). La Campania è la regione dove si concentra la fetta più grossa dei beneficiari del sussidio, il 28 per cento sul totale. Seguono la Sicilia (18 per cento), la Puglia (12 per cento) e la Calabria (11 per cento). Nel periodo considerato, quasi il 57 per cento dei beneficiari era composto (Tav. 2.2) da donne, mentre il 43 per cento da uomini.
Gli unici dati disponibili sulle classi di età dei beneficiari e sulla loro cittadinanza, invece, riguardano solo maggio 2024, mentre non sono disponibili né i dati cumulativi dell’intero periodo considerato lungo dieci mesi né i dati sui singoli mesi precedenti. A maggio i cittadini italiani erano la stragrande maggioranza (il 93 per cento), mentre la metà esatta dei beneficiari aveva tra i 50 e i 59 anni di età (Tav. 2.3 e 2.4).

Per fare un confronto, sui beneficiari del reddito di cittadinanza c’era maggiore trasparenza: ogni mese, infatti, l’Inps pubblicava i nuovi dati dell’Osservatorio sul reddito e sulla pensione di cittadinanza. Gli unici numeri pubblicati dall’Inps finora sui beneficiari dell’assegno di inclusione – l’altra misura che ha sostituito il reddito di cittadinanza – sono usciti a inizio luglio, insieme a quelli del supporto per la formazione e il lavoro.

Un’altra lacuna nei dati su questa misura riguarda il numero di persone che hanno trovato un’occupazione o che hanno seguito un corso di lavoro, o che hanno perso il sussidio perché non hanno rispettato le condizioni fissate dalla legge. Nel report statistico pubblicato da Inps non c’è traccia di numeri per rispondere a queste domande, e questi dati non sono stati forniti nemmeno dalla ministra del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Elvira Calderone, che il 9 luglio ha tenuto una conferenza stampa per commentare il primo rapporto dell’Inps. Lo scorso gennaio la ministra aveva divulgato i primi dati sui risultati del supporto per la formazione e il lavoro, dicendo che erano stati assunti quasi 11 mila beneficiari del sussidio. Da quella data non ci sono più stati aggiornamenti.

Il 31 luglio, durante un question time alla Camera, la ministra Calderone ha detto che finora i beneficiari del supporto per la formazione e il lavoro sono stati «96 mila» (il numero che abbiamo visto sopra), senza però spiegare quanti di questi abbiano trovato lavoro e con quale tipologia contrattuale, per esempio se ha tempo determinato o indeterminato.

Va detto che anche per il reddito di cittadinanza c’era poca trasparenza su questo aspetto, seppure qualche dato in più ogni tanto veniva pubblicato dall’Agenzia nazionale politiche attive lavoro (Anpal), che dal 1° marzo di quest’anno è stata soppressa dall’attuale governo. A scadenze irregolari, Anpal pubblicava alcune statistiche sui profili lavorativi dei beneficiari del reddito di cittadinanza che avevano sottoscritto il “Patto per il lavoro”, che li obbligava a cercare attivamente un’occupazione. Da queste statistiche era però impossibile capire quanti beneficiari avessero trovato lavoro grazie ai centri per l’impiego e grazie ai navigator, le figure create per supportare i beneficiari del reddito di cittadinanza.

L’impatto sulla povertà

Intervenendo in Parlamento a fine luglio, Calderone ha aggiunto anche che secondo Istat la povertà è «in calo», dato che «il 2023 ha visto una riduzione del rischio di povertà monetaria di 1,2 punti». È vero che Istat ha stimato per il 2023 un calo dell’indicatore del rischio di povertà, il cui valore è sceso da 20 a 18,8 (il -1,2 citato da Calderone), ma il supporto per la formazione e per il lavoro non ha contribuito a questo calo. 

Istat ha valutato infatti l’impatto di tre misure sulla distribuzione dei redditi delle famiglie: l’assegno unico universale; il reddito di cittadinanza e l’introduzione del 1° settembre 2023 del supporto per la formazione e il lavoro; e il taglio del cuneo fiscale, ossia la riduzione della differenza tra lordo e netto in busta paga. Istat ha stimato che le sole modifiche introdotte lo scorso anno dal governo Meloni per il reddito di cittadinanza non hanno avuto impatto nel ridurre il rischio di povertà, mentre hanno fatto leggermente aumentare l’indice di Gini, un indicatore che valuta quando sono distribuiti in maniera diseguale i redditi.

La spesa

Nella conferenza stampa del 9 luglio, Calderone ha dichiarato che «le misure che hanno sostituito il reddito di cittadinanza con due percorsi differenti stanno funzionando anche bene». Come abbiamo visto, però, mancano i numeri per dire se sia davvero così. La ministra ha poi aggiunto che il supporto per la formazione e il lavoro «ha un tiraggio inferiore rispetto a quelle che erano le previsioni». Detta altrimenti, la spesa per la misura e i beneficiari sono meno di quanto previsto dal governo. 

Complessivamente, dal 1° settembre al 31 maggio 2024 sono stati erogati (Tav. 2.2) 107,6 milioni di euro per gli assegni del nuovo sussidio. Il decreto “Lavoro” ha imposto un limite di spesa di 122,5 milioni di euro per il 2023 e di quasi 1,5 miliardi di euro per il 2024. Per il momento, dunque, la cifra spesa finora è di gran lunga inferiore alle attese e con tutta probabilità il governo risparmierà rispetto agli stanziamenti iniziali.

Ricordiamo che il passaggio dal reddito di cittadinanza all’assegno di inclusione e al supporto per la formazione e il lavoro ha già comportato dei risparmi per le casse dello Stato. Dopo vari rifinanziamenti, il reddito di cittadinanza poteva contare su una spesa di quasi 9 miliardi di euro all’anno, ridotti a circa 7 miliardi con l’introduzione delle nuove misure.

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