Quanto costa di più la vita in Italia rispetto a vent’anni fa

Come sono cambiati i prezzi, settore per settore, e perché non tornano a scendere
ANSA/MOURAD BALTI TOUATI
ANSA/MOURAD BALTI TOUATI
Negli ultimi vent’anni i prezzi in Italia sono aumentati in media del 49 per cento. In pratica, un bene o un servizio che nel 2004 costava 100 euro oggi ne costa quasi 150. Questo fenomeno si chiama inflazione: è l’aumento medio del costo dei beni e dei servizi che acquistiamo ogni giorno, dalla spesa al supermercato alla benzina, fino al caffè al bar. In altre parole, con la stessa somma di denaro di vent’anni fa oggi si possono comprare meno cose: il cosiddetto “costo della vita” è aumentato.

Un po’ di inflazione non è necessariamente negativa: in un’economia sana, prezzi e salari tendono a crescere insieme, sostenendo consumi e investimenti. Il livello considerato “ottimale” è intorno al 2 per cento, ed è anche l’obiettivo fissato dalla Banca centrale europea. Il problema si presenta quando i prezzi aumentano troppo velocemente o più dei redditi, riducendo il potere d’acquisto delle persone.

Per capire in quali settori i rincari siano stati più significativi, abbiamo analizzato i dati Eurostat sull’indice armonizzato dei prezzi al consumo (abbreviato con la sigla IPCA) per l’Italia, calcolando per ciascun anno la variazione rispetto al 2004.

Vent’anni di rincari

Dal 2004 al 2021 i prezzi sono cresciuti lentamente: in 17 anni l’aumento complessivo è stato del 28 per cento, con una crescita media di circa 1,5 punti percentuali all’anno. In questo periodo, i picchi annuali sono stati contenuti: il maggior incremento in un solo anno, prima della pandemia di COVID-19, risale al 2008, con un +3,8 per cento legato alla crisi internazionale del petrolio. La fase di bassa inflazione è proseguita fino al 2021.

Dal 2022 la tendenza si è invertita: in quell’anno, l’indice generale è salito dell’11 per cento, il valore più alto dell’intera serie, seguito da un +8 per cento nel 2023 e da un +2 per cento nel 2024. Poco meno della metà dell’incremento accumulato in vent’anni si è quindi concentrato in soli tre anni.
L’aumento record del 2022 è stato trainato soprattutto dal comparto energetico, a causa dell’invasione russa dell’Ucraina. I prezzi della voce “abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili”, che include le bollette di luce e gas, sono cresciuti del 53 per cento in un solo anno, portando l’aumento complessivo rispetto al 2004 a un +99 per cento, cioè il doppio. Nello stesso anno, i “trasporti” sono saliti del 14 per cento, raggiungendo nel 2024 un incremento totale del 64 per cento.

“Alimentari e bevande analcoliche” hanno registrato la crescita più marcata nel 2023: +14 per cento in 12 mesi, per un aumento complessivo del 60 per cento rispetto a vent’anni prima. Un andamento simile ha interessato ristoranti e alberghi, oggi più cari del 54 per cento rispetto al 2004, con rincari concentrati soprattutto nel biennio post-pandemia, quando la ripresa dei flussi turistici e della domanda interna ha spinto i prezzi verso l’alto. I prezzi nel settore della “salute”, invece, sono aumentati del 37 per cento.

Ci sono comparti in cui gli aumenti sono stati più contenuti. I prezzi di “abbigliamento e calzature”, così come quelli delle “attività ricreative”, sono cresciuti del 20 per cento, mentre i prezzi del settore “istruzione” del 9 per cento. Il capitolo delle “comunicazioni” è l’unico ad aver registrato una diminuzione strutturale: una riduzione del 50 per cento in vent’anni, grazie al calo delle tariffe di telefonia e dati e alla maggiore concorrenza tra operatori. Questo calo ha contribuito a contenere l’incremento dell’indice complessivo dell’inflazione, ma ha inciso poco sulla cosiddetta “inflazione percepita”, perché riguarda spese effettuate con minore frequenza.

Prezzi reali e prezzi “sentiti”

L’inflazione percepita è la sensazione soggettiva dell’aumento del costo della vita e spesso non coincide con quella misurata dagli indici ufficiali. Questa differenza dipende da come ciascuno distribuisce le proprie spese: chi destina una parte consistente del bilancio familiare a beni e servizi con rincari elevati, come energia e carburanti, può aver sperimentato aumenti ben superiori alla media. Al contrario, chi spende di più in settori dove i prezzi sono diminuiti tende a percepire un’inflazione più bassa.

Le ricerche degli economisti mostrano che questa divergenza si è accentuata negli ultimi anni, con le percezioni che in alcuni casi hanno continuato a salire anche quando l’inflazione reale stava già rallentando, come rilevato anche dalla Federal Reserve (la banca centrale statunitense) durante la fase post-pandemia.

Secondo gli economisti, il divario nasce da diversi meccanismi: la maggiore visibilità dei beni acquistati più spesso, la memoria selettiva dei rincari e la tendenza a ignorare i ribassi su beni comprati con minore frequenza.

La Banca centrale europea, in uno studio, ha rilevato che due terzi dei consumatori europei attribuiscono l’impennata dei prezzi soprattutto a energia e materie prime, confermando il peso delle voci di spesa più immediatamente percepibili. Altri studi indicano che, superata una soglia psicologica di inflazione intorno al 4 per cento, l’attenzione verso i prezzi tende a raddoppiare, prolungando la sensazione di carovita anche dopo il picco.

Perché non si torna indietro

Anche quando l’inflazione rallenta o torna vicina allo zero, questo non significa che i prezzi diminuiscono: significa soltanto che continuano a crescere, ma a un ritmo più lento. L’inflazione, infatti, misura la variazione dei prezzi, non il loro livello assoluto. Per assistere a un calo generalizzato sarebbe necessaria un’inflazione negativa, la cosiddetta “deflazione”, che è rara e di solito legata a crisi economiche profonde, quando la domanda si riduce e le imprese sono costrette a tagliare i prezzi. Nella maggior parte dei casi, una volta saliti, i prezzi non tornano ai livelli precedenti perché i costi di produzione, i salari e le aspettative di imprese e consumatori si sono già adattati al nuovo equilibrio.

Solo in alcuni comparti più esposti alla concorrenza o alle oscillazioni delle materie prime, come energia, elettronica, trasporti o comunicazioni, si possono osservare riduzioni anche prolungate, che però non compensano i rincari accumulati in altri settori. Ma se l’economia cresce e i salari reali aumentano, il potere d’acquisto può migliorare anche in presenza di prezzi più alti, perché il reddito disponibile cresce più velocemente dell’inflazione. Dal 2024, in Italia i salari sono tornati a recuperare il potere d’acquisto perso dopo la pandemia, ma non abbastanza per colmare il divario.

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