Agganciare gli stipendi all’inflazione sembra ragionevole ma rischia di costare caro

Una nuova proposta di Alleanza Verdi-Sinistra ha riaperto il dibattito sulla “scala mobile”: chi ci guadagnerebbe, chi ci perderebbe e quali rischi ci sono per l’economia
Pagella Politica
Alleanza Verdi-Sinistra dice di aver trovato una soluzione al problema dei salari che da troppo tempo non crescono in Italia, colpiti negli ultimi anni anche dall’aumento dell’inflazione. 

Il 24 luglio, i leader dei due partiti che formano l’alleanza – Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana e Angelo Bonelli di Europa Verde – hanno presentato alla Camera una proposta di legge, chiamata “Sblocca stipendi”. In estrema sintesi, la proposta è aumentare automaticamente gli stipendi dei lavoratori in base all’aumento dei prezzi. «È semplice: se il costo della vita sale, lo stipendio deve aumentare di pari passo. Perché non è più tollerabile che per milioni di italiani sia faticoso mangiare la pizza fuori con la famiglia nel fine settimana», ha scritto Alleanza Verdi-Sinistra.

Il testo della proposta chiarisce che, oltre a questo meccanismo di adeguamento automatico degli stipendi, in Italia andrebbe introdotto un salario minimo orario e rafforzata la contrattazione collettiva con i sindacati. 

Ma concentriamoci sullo “Sblocca stipendi”. Davvero aumentare i salari di pari passo con l’inflazione può funzionare, visto che a prima vista sembra un’idea piuttosto ragionevole? Oppure rischia di avere effetti indesiderati? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su un tema complesso, che periodicamente ritorna nel dibattito politico.

L’adeguamento automatico

Partiamo dal contenuto della proposta di Alleanza Verdi-Sinistra – intitolata “Introduzione di un meccanismo di salvaguardia delle retribuzioni da lavoro” – che è composta da due articoli. 

Il primo articolo stabilisce che tutti i lavoratori dipendenti, parasubordinati (per esempio collaboratori a progetto) ed eterorganizzati (cioè formalmente autonomi, ma di fatto organizzati dal committente) hanno diritto a un aumento automatico dello stipendio a fine anno per recuperare interamente l’inflazione. In pratica, entro il 30 settembre di ogni anno, il presidente del Consiglio – dopo aver consultato i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro – stabilisce con un decreto qual è la differenza tra l’inflazione programmata (cioè quella prevista dal governo nel Documento di finanza pubblica per l’anno in corso) e l’inflazione reale (cioè l’aumento effettivo dei prezzi misurato dall’ISTAT attraverso l’indice IPCA). 

A partire da gennaio dell’anno successivo, i datori di lavoro pubblici e privati devono corrispondere ai lavoratori una somma aggiuntiva, pagata in dodici rate mensili insieme allo stipendio. Questa somma è calcolata applicando la percentuale di differenza tra inflazione programmata e inflazione reale alla retribuzione annua percepita.

Il primo articolo dello “Sblocca stipendi” stabilisce anche che, se la proposta fosse approvata, il Ministero dell’Economia e delle Finanze avrebbe 60 giorni di tempo dalla sua entrata in vigore per decidere come trattare fiscalmente la somma aggiuntiva riconosciuta ai lavoratori per recuperare l’inflazione, in modo da evitare il cosiddetto “drenaggio fiscale” (in inglese fiscal drag). Questo fenomeno si verifica quando, a causa dell’inflazione, gli stipendi aumentano nominalmente ma le soglie e le aliquote delle tasse restano le stesse: in questo modo i lavoratori finiscono per pagare più imposte, anche se il loro potere d’acquisto non è realmente cresciuto.
Il secondo articolo della proposta di legge affronta poi il tema delle coperture economiche, ossia chi deve mettere i soldi per adeguare l’aumento dei salari con l’inflazione. 

Secondo Alleanza Verdi-Sinistra, l’adeguamento deve essere pagato dallo Stato per i dipendenti pubblici, e dalle imprese per i dipendenti privati. Per quanto riguarda i primi, la proposta è raccogliere due miliardi di euro aumentando dal 26 al 30 per cento l’imposta sostitutiva sui redditi finanziari (per esempio su dividendi, interessi e plusvalenze).

A che cosa serve l’inflazione

Per capire i potenziali vantaggi e svantaggi della proposta di Alleanza Verdi-Sinistra, bisogna avere chiaro che cos’è e come funziona l’inflazione, ossia l’aumento nel tempo del livello medio dei prezzi.

L’inflazione serve a dare il giusto valore alle cose nel corso del tempo. In un sistema perfetto di prezzi efficienti, il costo di un oggetto o di un servizio mette in gioco la nostra disponibilità a pagare per ottenerlo: sono disposto a sacrificare una parte della mia ricchezza, o del mio tempo, a patto che il beneficio che ricaverò sia percepito come più alto rispetto al costo. 

Il problema è che spesso non si riesce a dare un valore preciso a un oggetto, ma dipende dal contesto: per esempio, una bottiglietta d’acqua nel deserto avrà un prezzo diverso da quella venduta di fianco a una fonte. Questa variabilità non esiste solo nello spazio, ma anche nel tempo: se produrre un litro di latte costava un euro fino allo scorso anno e oggi costa 1,50 euro, il prezzo di vendita cambierà. E chi ha deciso che cambia il costo? Spesso sono le dinamiche di mercato.

In un’economia sana, i prezzi crescono leggermente nel tempo. Per questo motivo la Banca centrale europea ha l’obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi, ma non con inflazione zero, bensì intorno al 2 per cento annuo. In un contesto di crescita, la capacità di spesa delle persone cresce e, di conseguenza, aumenta la domanda di beni e servizi. Il problema è che spesso l’aumento dei prezzi non è accompagnato da una crescita dei salari che possa compensarlo.

Non tutti i lavoratori però ci perdono allo stesso modo. Di solito, i lavoratori autonomi e gli imprenditori tendono a beneficiare almeno in parte dell’inflazione, dato che possono modificare in modo più semplice i loro prezzi, cioè la fonte di reddito: gli basterà aumentare il compenso richiesto per i loro servizi. 

I lavoratori dipendenti, invece, hanno meno potere, visto che percepiscono uno stipendio definito da un contratto e, di solito, in periodi di alta inflazione non possono adeguare in fretta i propri stipendi al nuovo costo della vita. L’unico modo per loro è quello di rinnovare i contratti collettivi nazionali  di lavoro (CCLN) attraverso i sindacati, ma spesso i datori di lavoro si oppongono alla rivalutazione degli stipendi in base all’inflazione e infatti oggi milioni di lavoratori nel nostro Paese aspettano il rinnovo del contratto collettivo.

L’inflazione tende poi a penalizzare di più chi guadagna meno: chi ha un reddito alto può limitarsi a consumare di meno, perché spende già ben oltre la soglia di sussistenza, mentre chi ha un reddito più basso non può rinunciare alle spese fondamentali.

Insomma, se moderata, l’inflazione può essere un segnale positivo per l’economia, ma i suoi effetti rischiano di ridurre il potere d’acquisto delle famiglie e, soprattutto, di aumentare le disuguaglianze.

Il rischio di una spirale negativa

Una risposta a questo problema può essere l’introduzione di un meccanismo che aumenti i salari dello stesso valore con cui aumenta l’inflazione, come suggerito dallo “Sblocca stipendi” di Alleanza Verdi-Sinistra. Se è naturale che i prezzi crescono, perché non introdurre un meccanismo che adegui gli stipendi all’inflazione? Per esempio, se l’anno scorso i prezzi sono aumentati in media del 2 per cento, tutti gli stipendi quest’anno saranno alzati del 2 per cento per recuperare questo potere d’acquisto.

Il problema è che anche gli stipendi sono prezzi: un salario non è altro che il prezzo che il datore di lavoro è disposto a pagare per acquistare il lavoro del dipendente. Un aumento dei salari è, per certi versi, come un aumento del costo della benzina: se per trasportare un container devo pagare 100 euro in più di benzina per il tir o 100 euro in più per un aumento all’autista, in ogni caso avrò un aumento di 100 euro sul prezzo finale dei prodotti che sto trasportando.

Il rischio tipico di un adeguamento automatico degli stipendi è quello di creare la cosiddetta “spirale prezzi-salari”: una situazione in cui la crescita dei prezzi viene compensata con aumenti degli stipendi, che però rappresentano a loro volta un ulteriore aumento dei prezzi, creando appunto un circolo vizioso. Questo è uno dei motivi per cui nella maggior parte delle economie avanzate si è deciso in passato di eliminare il meccanismo di adeguamento automatico degli stipendi all’inflazione, soprattutto dopo il forte aumento dei prezzi registrato negli anni Settanta e Ottanta.

Fino ai primi anni Novanta, anche in Italia è rimasto in vigore – con forme diverse – un sistema di adeguamento di questo tipo, chiamato “scala mobile”, perché faceva salire automaticamente i salari in base all’aumento del costo della vita. 

In un rapporto del 2021, la Banca centrale europea ha spiegato che attualmente solo una parte molto piccola dei lavoratori privati nell’Unione europea ha il proprio salario indicizzato all’inflazione (discorso analogo vale per i dipendenti pubblici). L’adeguamento automatico c’è infatti in Belgio, a Cipro, a Malta e in Lussemburgo. 

Questo ci suggerisce già qualcosa: in un’economia più piccola, con meno lavoratori e con una maggiore concentrazione su determinati settori come i servizi professionali, la “scala mobile” può funzionare piuttosto bene, mentre l’effetto “spirale prezzi-salari” è più comune se la dimensione e la complessità dell’economia crescono. 

Questo avviene perché più la struttura economica è semplice, più è probabile che i lavoratori sperimentino condizioni simili tra loro. Per esempio, se una buona parte degli occupati lavora nel settore bancario, è probabile che tutti registreranno più o meno la stessa perdita di potere d’acquisto, ma se tutti si occupano di settori diversi, è normale che l’andamento dei salari vari a seconda dell’industria di riferimento. Inoltre, l’inflazione colpisce in modo diseguale in base al tipo di spesa che si affronta: una “scala mobile” potrebbe avvantaggiare chi subisce meno l’effetto dell’inflazione, garantendo comunque un aumento, ma potrebbe non essere abbastanza per chi invece la subisce di più, andando ad aumentare ulteriormente le disuguaglianze.

La replica di Alleanza Verdi-Sinistra

Alleanza Verdi-Sinistra è consapevole dell’obiezione di chi pensa che l’adeguamento automatico degli stipendi con l’inflazione possa portare a una “spirale prezzi-salari”. In un post su Instagram, Sinistra Italiana ha difeso la sua proposta scrivendo che «tutte le ricerche economiche più recenti hanno stabilito che l’adeguamento degli stipendi all’inflazione non produce un ulteriore aumento dell’inflazione». Secondo il partito di Fratoianni, chi ripete che «non si possono adeguare gli stipendi all’inflazione e al costo della vita, perché l’inflazione aumenterebbe ancora», è vittima di «una narrazione tossica che è passato come veleno nelle vene del Paese negli anni Ottanta e Novanta, per convincere gli italiani ad abbandonare ogni possibilità di vedere crescere i propri stipendi insieme agli sforzi lavorativi».

Durante la presentazione della proposta alla Camera, Fratoianni ha risposto a chi solleva l’obiezione della “spirale prezzi-salari”, citando quanto detto a febbraio 2024 dal governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta. Secondo il segretario di Sinistra Italiana, Panetta ha detto che «è assai improbabile che un intervento in grado di far crescere gli stipendi produca una spirale inflazionistica».

Per quanto riguarda i risultati della ricerca economica, Alleanza Verdi-Sinistra sembra troppo ottimista. Per esempio, in uno studio pubblicato nel 2024, alcuni ricercatori hanno costruito un database di episodi storici nei Paesi avanzati per verificare quanto spesso si siano innescate “spirali prezzi-salari” tra il 1960 e il 2021, e come sono evolute successivamente. Lo studio ha evidenziato che non esiste un automatismo tra l’aumento dei salari nominali e l’avvio di una “spirale prezzi-salari”: in alcuni casi, prezzi e salari si sono stabilizzati. Ma le spirali possono verificarsi, specialmente in presenza di meccanismi di indicizzazione automatica rigidi, che storicamente sono associati a episodi di maggiore persistenza inflazionistica.

È vero poi che a febbraio 2024 – durante un discorso pubblico citato da Alleanza Verdi-Sinistra nella loro proposta – Panetta ha dichiarato che «oggi la probabilità che un ipotetico rafforzamento della dinamica salariale dia il via a una tardiva rincorsa salari-prezzi è pertanto esigua». Ma quella dichiarazione va contestualizzata: il governatore della Banca d’Italia parlava della necessità di recuperare il potere d’acquisto perso con l’ultima crisi inflattiva, non di indicizzare permanentemente i salari all’inflazione.

La questione del finanziamento

Al di là del dibattito sulla “spirale prezzi-salari”, resta un nodo centrale: chi dovrebbe pagare l’adeguamento automatico dei salari all’inflazione. La misura, infatti, avrebbe un costo significativo sia per il settore pubblico sia per quello privato e la proposta di legge di Alleanza Verdi-Sinistra indica come reperire le risorse necessarie solo per il settore pubblico. 

Come abbiamo visto, la scelta politica di Alleanza Verdi-Sinistra è ridurre i guadagni di chi investe o possiede rendite finanziarie, a favore dei redditi da lavoro.

Un aumento dell’imposta sul capital gain – cioè quanto si paga sui guadagni dalla vendita di azioni, obbligazioni e altri strumenti finanziari – potrebbe danneggiare ulteriormente la possibilità di recuperare il potere d’acquisto. Gli investimenti, infatti, rappresentano uno dei modi migliori per proteggersi dall’inflazione, dato che i prezzi degli strumenti finanziari tendono ad adeguarsi agli aumenti piuttosto in fretta. Aumentare l’imposta sulle operazioni finanziarie colpirebbe sì il banchiere che guadagna da grandi operazioni, ma anche il lavoratore che ha deciso di investire i propri risparmi, magari per avere qualcosa in più da parte durante la pensione o per potervi attingere nei momenti di difficoltà. 

A patto che le risorse raccolte siano sufficienti, questa maggiore pressione fiscale, poi, non servirà a far crescere gli stipendi di tutti i dipendenti, ma solo di quelli pubblici. Un ulteriore sforzo economico sarebbe richiesto alle imprese private per aumentare le retribuzioni di tutti gli altri.

I contrari all’adeguamento automatico degli stipendi all’inflazione sostengono che per aumentare le retribuzioni bisognerebbe agire sulla produttività dei lavoratori, che di fatto in Italia non cresce da vent’anni.  Secondo Alleanza Verdi-Sinistra, invece, altri studi avrebbero mostrato che la relazione tra salari e produttività non è a senso unico, e che aumenti salariali sostenuti possono spingere le imprese a innovare, riorganizzarsi e migliorare l’efficienza, oltre a sostenere la domanda interna, con effetti positivi sulla produttività. In effetti, esistono alcuni dati a conferma di questa tesi, ma la dinamica non è automatica e dipende molto dal contesto economico e istituzionale. In altre parole, salari più alti possono contribuire a far crescere la produttività, ma non esiste la garanzia che ciò accada sempre e ovunque: servono condizioni favorevoli, come mercati competitivi, politiche che incentivino l’innovazione e un sistema di contrattazione efficace.

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