Il reddito di cittadinanza disincentiva il lavoro? Che cosa dicono i numeri

I dati mettono in crisi la teoria secondo cui molti beneficiari preferiscono non lavorare per non perdere il sussidio
ANSA/CIRO FUSCO
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L’avvicinarsi dell’estate ha riportato d’attualità una delle critiche più diffuse da tempo contro il reddito di cittadinanza: quella secondo cui il sussidio disincentiverebbe la ricerca di lavoro, in particolare tra i più giovani. Secondo i critici, i beneficiari del reddito di cittadinanza preferirebbero non lavorare, o lavorare in nero, piuttosto che perdere il sussidio. A sostegno di questa tesi, politici e mezzi di informazione riportano spesso casi aneddotici di imprenditori che accusano il reddito di cittadinanza di impedire loro di trovare nuova manodopera, soprattutto stagionale. 

Ma che cosa dicono davvero i numeri? Al momento, i dati suggeriscono che l’argomentazione dei detrattori del reddito di cittadinanza non è così solida come viene presentata, anzi. Una netta minoranza dei beneficiari percepisce ogni mese più di 800 euro, una cifra comunque lontana dagli stipendi comunemente considerati come accettabili. E la maggior parte dei beneficiari è difficilmente collocabile nel mercato del lavoro.

Sebbene gli studi sul tema siano ancora molto scarsi, resta comunque vero che secondo alcuni esperti, finora inascoltati dal governo, il reddito di cittadinanza può essere migliorato proprio per evitare potenziali effetti negativi sul mercato del lavoro.

Importi e beneficiari

Per avere un po’ di contesto, partiamo dai dati Inps più aggiornati sui beneficiari del reddito di cittadinanza. Ad aprile le famiglie che percepivano il sussidio erano circa 1,1 milioni, per un importo medio pari a 588 euro mensili. Dal 2019, anno in cui è stato introdotto, ogni mese il reddito di cittadinanza è stato ricevuto da circa un milione di famiglie, per un importo medio pari a 566 euro.

I numeri cambiano tra le diverse aree del Paese, considerando oltre ai percettori del sussidio anche le altre persone coinvolte, ossia i vari membri dei nuclei familiari. Il reddito di cittadinanza coinvolge infatti l’8,9 per cento della popolazione del Mezzogiorno, il 2,8 per cento di quella del Centro e l’1,5 per cento di quella delle regioni settentrionali.

Sebbene il reddito di cittadinanza non sia in grado raggiungere tutte le persone in povertà nel nostro Paese, questi dati mostrano come la misura sia diffusa soprattutto nell’aree italiane dove la povertà è più diffusa.
Anche gli importi del sussidio, spesso al centro delle critiche perché ritenuti troppo elevati, variano da regione a regione: al Nord è in media pari a 528 euro al mese, al Centro a 547 euro e al Mezzogiorno a 614 euro. Cifre dunque lontane da quelli assicurati in media a un lavoratore dipendente: secondo i dati del Ministero dell’Economia, nel 2021 un lavoratore dipendente in Italia aveva infatti un reddito medio di circa 21 mila euro lordi, che si trasformano in circa 17 mila netti, ossia circa 1.400 euro mensili.

Si può obiettare che queste cifre sono medie e nascondono livelli diversi a seconda di come è composto il nucleo familiare. In realtà, anche tenendo conto di questi fattori, le cifre percepite dai beneficiari restano distanti da quelle di salari comunemente considerati come accettabili. 

I nuclei familiari composti da una sola persona beneficiaria del reddito di cittadinanza sono 522 mila, che in media ricevono 458 euro, quelli composti da due persone sono 242 mila e in media ricevono 545 euro. Ci sono poi 191 mila nuclei con tre persone, che prendono in media 653 euro, e 235 mila nuclei che prendono tra i 720 e i 740 euro al mese. 

Concentriamoci sui nuclei familiari formati da una sola persona, quelli spesso accusati di essere il problema per trovare nuovi lavoratori. Di questi nuclei, il 26 per cento prende meno di 400 euro, il 55 per cento tra i 400 e i 600 euro e il 20 per cento tra i 600 e gli 800 euro. Nei nuclei con due persone, il 31 per cento prende meno di 400 euro, il 21 per cento tra i 400 e i 600 euro, il 30 per cento tra i 600 e gli 800 euro e il 17 per cento più di 800 euro. Con l’aumentare dei membri dei nuclei familiari aumentano gli importi: la metà delle famiglie con più di cinque membri prende più di 800 euro.

A prendere 780 euro, il massimo mensile per un single, è quindi una minoranza. Ci sono 102 mila nuclei familiari, composti da una sola persona, che prendono tra i 600 e gli 800 euro, mentre negli altri casi o prendono di meno o l’importo è beneficiato da due o più persone. 

Inoltre, bisogna considerare che l’importo del reddito di cittadinanza non è liberamente spendibile: non può essere usato per acquisti online e in alcuni negozi, e al massimo si possono prelevare 100 euro al mese, che salgono all’aumentare del numero di persone del nucleo. L’importo mensile non speso viene poi sottratto il mese successivo.

Beneficiari poco occupabili

Quando si parla di reddito di cittadinanza e lavoro, è fondamentale poi tenere in considerazione il profilo occupazionale dei beneficiari soggetti al Patto per il lavoro, una serie di impegni da rispettare per evitare di vedersi togliere il sussidio. I dati più aggiornati dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), aggiornati a fine dicembre 2021, dicono che circa il 20 per cento dei percettori ha già un’occupazione

Nel restante 80 per cento circa disoccupato, più di un percettore su due non ha avuto un’esperienza lavorativa nei tre anni precedenti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro. Chi l’ha avuta, in oltre il 77 per cento dei casi ha svolto un’occupazione della durata inferiore a un anno. «I beneficiari interessati da esperienze brevissime per una durata complessiva fino ai 30 giorni sono stati il 14,8 per cento del complesso di coloro che hanno avuto una esperienza di lavoro nei tre anni», ha sottolineato Anpal.

Nella fascia di età fino ai 29 anni, quasi il 70 per cento dei beneficiari senza occupazione è considerato “lontano dal mercato del lavoro”, ossia non ha avuto un lavoro nei tre anni precedenti. Questa percentuale arriva a superare l’80 per cento nella fascia di età sopra i 60 anni, una dato che, secondo Anpal, «pone l’accento sulla formazione anche per contrastare eventuali processi di obsolescenza delle competenze e per favorire percorsi di aggiornamento o riqualificazione».

Per quanto riguarda il livello di istruzione, più di un beneficiario su tre ha al massimo il diploma di terza media. Solo il 2,6 per cento è laureato.

Mancano gli studi

Nonostante il reddito di cittadinanza esista dal 2019, gli studi scientifici condotti per quantificare gli effetti specifici del sussidio sul mercato del lavoro – positivi o negativi – sono ancora molto scarsi. Di recente, però, qualcosa sembra muoversi tra i ricercatori.

A maggio l’Istituto regionale per la programmazione economica (Irep) della Toscana, un ente pubblico di attività di ricerca in ambito economico, sociale e territoriale, ha pubblicato uno studio che, secondo i suoi autori, è il primo ad aver analizzato, numeri alla mano, l’impatto del reddito di cittadinanza sull’occupazione. In particolare, i ricercatori hanno analizzato nel dettaglio i dati sui beneficiari del reddito di cittadinanza e presi in carico dai centri per l’impiego della Toscana. «Esistono alcuni progetti che hanno l’obiettivo, insieme ad alcune istituzioni pubbliche, di valutare gli effetti del reddito di cittadinanza, che però sono più indietro del nostro progetto, che è comunque più piccolo», ha spiegato a Pagella Politica Marco Mariani, ricercatore di Irpet e uno degli autori della ricerca.

Lo studio si basa sul confronto tra migliaia di persone che erano registrate nelle liste di disoccupazione, prima dell’introduzione del reddito di cittadinanza, e poi hanno iniziato a ricevere il sussidio, e chi invece non lo ha fatto. Secondo la ricerca, confrontando i due gruppi, emerge che il reddito di cittadinanza non sembra aver diminuito la partecipazione al mercato del lavoro, calcolata con il numero di giorni lavorati. Nei primi mesi successivi all’introduzione della misura, c’è stata una leggera riduzione dei giorni lavorati, ma dopo il rodaggio iniziale, l’effetto sull’occupazione è diventato positivo, seppure molto limitato, con un +3 per cento di giorni lavorati (ossia circa mezza giornata lavorativa). «Gli effetti di disincentivo dal lavoro, se ci sono, sono molto limitati, soprattutto in determinate fasce della popolazione, ma poco rilevanti da un punto di vista quantitativo», ha spiegato Mariani a Pagella Politica. «Ma anche gli effetti positivi sono piuttosto contenuti». A beneficiarne di più sarebbero stati i giovani con una precedente esperienza nella vendita al dettaglio e nel settore del turismo, quelli tra i più citati quando si parla di reddito di cittadinanza e lavoro. 

Gli stessi autori hanno evidenziato alcuni potenziali limiti del loro studio, che è stato sottoposto a una rivista scientifica per essere pubblicato. «Il limite principale è quello geografico: vista la difficoltà di reperire i dati, ci siamo concentrati solo sulla Toscana, che per alcuni aspetti ha caratteristiche istituzionali, di occupazione e di capitale sociale estendibili a livello nazionale, ma per altri aspetti no», ha sottolineato Mariani a Pagella Politica

Altre evidenze rafforzano la tesi secondo cui uno dei problemi principali nel dibattito sta nella scarsa qualità delle offerte lavorative. A febbraio l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) ha pubblicato i risultati di un’indagine, condotta su un campione di 45 mila intervistati tra marzo e luglio 2021.  Secondo la ricerca, il 50 per cento circa dei beneficiari del reddito di cittadinanza ha ricevuto una proposta di lavoro dai centri per l’impiego, rifiutata nel 56 per cento dei casi. Il 54 per cento di chi ha rifiutato la proposta l’ha fatto perché non in linea con le proprie competenze, il 25 per cento perché non in linea con il titolo di studio, il 12 per cento perché lo stipendio sarebbe stato troppo basso e il 10 per cento perché troppo distante o per motivi familiari. Come hanno spiegato gli stessi autori dell’indagine, il 78 per cento dei rifiuti riguarda la qualità delle proposte ricevute.

Gli esperti inascoltati

Ricapitolando: i dati fin qui raccolti mostrano che la tesi di chi sostiene che il reddito di cittadinanza sia un grosso disincentivo al lavoro sia poco solida. È vero però che secondo alcuni esperti, tra l’altro favorevoli al sussidio, è possibile introdurre miglioramenti per rendere meglio compatibile la percezione del reddito di cittadinanza con il mercato del lavoro. Lo scorso novembre, il Comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza – nominato a marzo scorso dal Ministero del Lavoro – ha presentato una relazione che, numeri alla mano, propone dieci modifiche per rendere il sussidio «più equo ed efficace».

«Oggi a un percettore del reddito di cittadinanza lavorare non conviene», si legge tra le proposte avanzate dal comitato. «In concreto, se il reddito da lavoro di un beneficiario di reddito di cittadinanza aumenta di 100 euro, l’ammontare della misura diminuisce di 80: il guadagno netto è solo di 20 euro. Di fatto, è come prevedere una tassazione dell’80 per cento sul nuovo reddito; entro un anno da quando si inizia a riceverlo, questa percentuale salirà al 100 per cento». Qui la proposta è quella di far sì che un percettore che trova occupazione – ma che mantiene comunque i requisiti necessari per continuare a ricevere il reddito di cittadinanza – possa conservare una parte più ampia del sussidio, uno schema chiamato in gergo tecnico in-work benefit

Nella legge di Bilancio per il 2022, approvata a fine dicembre 2021, il governo ha previsto l’introduzione di alcuni paletti per beneficiare del reddito di cittadinanza, senza però attuare le proposte avanzate dal comitato del Ministero del Lavoro. 

Di recente, il ministro del Turismo Massimo Garavaglia, della Lega, ha criticato in un’intervista a Il Messaggero il reddito di cittadinanza, dicendo che sta rallentando in «modo pesante» l’assunzione degli stagionali. Garavaglia ha però aperto anche alla possibilità di lasciare metà del reddito di cittadinanza ai beneficiari che accettano un lavoro stagionale. Per il momento, non è chiaro quanto appoggio potrà avere questa proposta all’interno del governo e del Parlamento.

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