Il 29 settembre il sottosegretario al Ministero dell’Interno Carlo Sibilia (M5s) ha elogiato su Facebook il reddito di cittadinanza, scrivendo che sta aiutando «3 milioni di cittadini in difficoltà».

Secondo Sibilia, poi, fino ad oggi grazie al reddito di cittadinanza hanno firmato un contratto di lavoro circa «200 mila percettori».

I numeri riportati dal sottosegretario del M5s sono corretti o no? Abbiamo verificato: da un lato il dato sui beneficiari è sostanzialmente corretto; dall’altro lato, a oltre un anno e mezzo dall’entrata in vigore del reddito di cittadinanza, è impossibile sapere quante persone hanno trovato lavoro proprio grazie a questa misura.

Quanti sono i beneficiari del reddito di cittadinanza

Secondo i dati Inps più aggiornati, all’8 settembre 2020 i cittadini – sia italiani che stranieri – che beneficiavano del reddito di cittadinanza erano quasi 3 milioni e 165 mila, un numero leggermente superiore a quello indicato da Sibilia. In totale, stiamo parlando di un milione e 250 mila famiglie – ricordiamo che il reddito di cittadinanza viene erogato ai nuclei familiari – per un importo medio del sussidio di circa 570 euro.

La cifra complessiva dei beneficiari sale a circa 3 milioni e 330 mila, se si contano anche i quasi 165 mila beneficiari della pensione di cittadinanza, che ha un importo medio di poco più di 245 euro.

Ricordiamo che in base ai dati Istat più aggiornati, nel 2019 in Italia le persone che vivevano in povertà assoluta erano circa 4 milioni e 593 mila; quelle in povertà relativa circa 8,8 milioni.

Come abbiamo spiegato in passato, non è possibile sovrapporre la platea dei beneficiari del reddito di cittadinanza con quello dei poveri assoluti o relativi. I requisiti per prendere il sussidio sono infatti diversi da quelli con cui sono calcolate le soglie di povertà.

Dunque, tra gli oltre 3 milioni di beneficiari del reddito di cittadinanza è possibile che ci siano delle persone che non sono considerate “povere” secondo i parametri statistici, e viceversa che non siano tra i beneficiari persone davvero «in difficoltà» (per usare le parole di Sibilia). Si pensi per esempio a tutti quei poveri che non possono accedere al reddito di cittadinanza perché non soddisfano il requisito di avere almeno 10 anni di residenza nel nostro Paese.

Veniamo adesso alla questione dell’occupazione.

Il travaglio delle politiche attive

Per prendere il reddito di cittadinanza – spiega il sito ufficiale del provvedimento – non bisogna soltanto rispettare alcuni requisiti di reddito e di patrimonio, ma «è necessario rispettare alcune “condizionalità” che riguardano l’immediata disponibilità al lavoro, l’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale». Come vedremo tra poco, questo paletto vale solo per una parte dei beneficiari del reddito di cittadinanza.

Questa è dunque la parte delle “politiche attive” del reddito di cittadinanza che, insieme all’obiettivo del contrasto alla povertà, ha anche quello di aiutare chi è disoccupato a trovare lavoro.

Come abbiamo scritto già in passato, però, l’entrata in vigore delle “politiche attive” – seguita a tutto il dibattito relativo ai centri per l’impiego e ai navigator – ha avuto forti ritardi. Basti pensare che se le prime erogazioni del reddito di cittadinanza sono arrivate ad aprile 2019, ad ottobre dello scorso anno le attività occupazionali non erano ancora pienamente in funzione.

Non dimentichiamo poi che a causa dell’emergenza coronavirus, nei mesi del lockdown il governo ha deciso di sospendere momentaneamente le attività dei centri per l’impiego relative appunto ai beneficiari del reddito di cittadinanza.

Insomma, fino ad oggi il percorso “attivo” del provvedimento è stato parecchio travagliato. Ma i numeri ufficiali che cosa dicono a riguardo? È vero, come sostiene Sibilia, che in ogni caso 200 mila persone hanno trovato lavoro «con questa misura» tanto voluta dal Movimento 5 stelle? La risposta è: dopo oltre un anno e mezzo dall’entrata in vigore del reddito di cittadinanza, è impossibile saperlo.

Che cosa dicono i numeri di Anpal

Secondo i dati più aggiornati di Anpal Servizi – che si occupa della gestione delle politiche attive del reddito di cittadinanza – al 1° settembre 2020 «le attività complessive» del sussidio «hanno contribuito a far sì che 196.046 beneficiari abbiano sottoscritto un rapporto di lavoro».

Dati molto simili erano però già stati forniti (min. 1:07:48) il 30 luglio scorso – quindi un mese prima di Anpal – in un’audizione alla Camera dal presidente di Anpal Domenico Parisi, che aveva definito questi numeri un «risultato enorme».

Dunque, quando Sibilia scrive che «ad oggi circa 200 mila percettori hanno firmato un contratto di lavoro» con il reddito di cittadinanza, sembra avere il supporto dei dati ufficiali di Anpal. Ma le cose non stanno così.

I dati su beneficiari e centri per l’impiego

Innanzitutto, come abbiamo già anticipato, bisogna chiarire che non tutti i percettori del reddito di cittadinanza sono tenuti ad avviare il percorso delle politiche attive, ossia a sottoscrivere il cosiddetto “Patto del lavoro”, una serie di regole da rispettare per continuare a prendere il sussidio mentre si cerca occupazione con i centri per l’impiego.

Secondo Anpal, al 1° settembre scorso erano quasi un milione e 50 mila i beneficiari del reddito di cittadinanza – una minoranza degli oltre 3 milioni di beneficiari, come abbiamo visto prima – che dovevano recarsi nei centri per l’impiego e sottoporsi alle politiche attive per il lavoro.

Dal 1° settembre 2019 al 31 luglio 2020, oltre 775 mila percettori hanno fatto i colloqui con i centri per l’impiego: quasi 173 mila sono stati esclusi o esonerati; oltre 388 mila avevano sottoscritto il “Patto del lavoro”; e circa 144.500 (il 13,7 per cento sul totale dei convocabili dai centri) erano stati seguiti dai navigatornei «piani personalizzati di accompagnamento al lavoro», che tengono conto delle competenze del beneficiario.

Un primo dubbio sul fatto che circa 200 mila persone abbiano davvero trovato lavoro grazie alle politiche attive del reddito di cittadinanza (o «con questa misura», come dice Sibilia) arriva però proprio dal dato sui piani personalizzati.

Non sappiamo come hanno trovato lavoro i beneficiari del reddito

Anche ipotizzando che tutti i 144.500 beneficiari del reddito di cittadinanza seguiti dai navigator abbiano portato a un’assunzione, siamo comunque davanti a un numero inferiore ai circa 200 mila contratti citati prima. Quindi è evidente che molte persone abbiano trovato lavoro al di fuori del percorso dei centri per l’impiego.

La mancanza di un legame causale (“il centro dell’impiego ha trovato il lavoro al beneficiario”) è confermata anche dall’ambiguità delle parole usate da Anpal, che come abbiamo visto dice che le attività dei centri per l’impiego «hanno contribuito» alla sottoscrizione dei circa 200 mila contratti di lavoro. Lo stesso Parisi, nell’audizione alla Camera del 30 luglio, aveva detto: «Posso dire con orgoglio che oggi ci sono 196 mila persone che hanno avuto un rapporto di lavoro da quando è partito il reddito di cittadinanza», sottolineando un nesso temporale, più che causale.

A inizio settembre, alcune fonti interne ad Anpal hanno confermato al Foglio questa incertezza di fondo, spiegando «che chi ha sottoscritto questi 196 mila contratti “può aver trovato lavoro perché gli è capitato, senza un ruolo diretto dei centri per l’impiego o dei navigator”», ma sottolineando comunque che è «il “lavoro dei navigator che aiuta a riattivarsi”».

Insomma, non è possibile sapere quanti dei circa 200 mila contratti firmati al 1° settembre da beneficiari del reddito di cittadinanza siano merito o meno delle politiche attive del sussidio.

Non sappiamo con precisione quali sono i tipi di contratto

C’è poi un secondo problema dei dati indicati da Sibilia, presi da Anpal: non dicono nulla sulla tipologia dei contratti di lavoro sottoscritti.

Il 1° settembre, Linkiesta ha pubblicato un articolo in cui spiegava che Anpal e Ministero del Lavoro si stanno “rimpallando” le responsabilità sulla trasparenza dei dati.

«Dal Ministero del Lavoro spiegano che dei 196.046 contratti attivati dopo la presentazione della domanda, 135.540 sono a tempo determinato. Ma non si conosce la durata», ha scritto Linkiesta. «Poi ci sono 34.659 a tempo indeterminato, 4.807 contratti di collaborazione, 8.139 di apprendistato e 12.901 con un generico “altro”. Che lascia pensare a stage e tirocini». Non si conoscono però dati più precisi, per esempio sulla retribuzione o sull’età dei lavoratori.

Sempre a Linkiesta il Ministero del Lavoro aveva detto che a inizio luglio erano ancora attivi poco più di 100 mila contratti, sui circa 200 mila firmati. Molto probabilmente, come abbiamo detto in precedenza, su questi numeri però ha concorso anche l’emergenza coronavirus.

Abbiamo contattato sia l’ufficio stampa di Anpal che quello del Ministero dell’Interno per avere ulteriore conferma dei dati citati, e se ci sono stati degli sviluppi sulla questione, ma siamo ancora in attesa di risposta.

Il verdetto

Secondo Carlo Sibilia (M5s), grazie al reddito di cittadinanza si stanno aiutando «3 milioni di cittadini in difficoltà» e «circa 200 mila percettori hanno firmato un contratto di lavoro».

Abbiamo verificato: da un lato il primo dato è sostanzialmente corretto; dall’altro lato il numero dei contratti, per come è presentato, è fuorviante.

Secondo i dati Anpal, è vero che al 1° settembre erano quasi 200 mila i beneficiari del reddito di cittadinanza che avevano sottoscritto un contratto di lavoro. Ma non è possibile sapere se quei contratti erano stati firmati grazie alle politiche attive del provvedimento, oppure per vie indipendenti.

I dati di Anpal mostrano che una buona parte di quei contratti è stata siglata senza il contributo diretto dei centri per l’impiego. Va inoltre aggiunto che a inizio luglio (dati più aggiornati) erano poco più di 100 mila i contratti ancora attivi.

Infine, non sappiamo neppure con precisione quali siano le caratteristiche dei contratti sottoscritti, ma si hanno solo dati generali sulla durata del lavoro.

In conclusione, Sibilia si merita un “Nì”.