Alla fine il governo ha chiesto una sorta di prestito alle banche

Per settimane si è parlato di una possibile tassa sugli “extraprofitti”, ma la nuova legge di Bilancio non la prevede
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
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«Volevano che pagassimo i provvedimenti della manovra di bilancio prendendo i soldi dalle banche, e prendiamo 3,6 miliardi di euro dalle banche». Così il 30 ottobre, ospite di Cinque minuti su Rai1, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha difeso il disegno di legge di Bilancio per il 2025, che in questi giorni sta iniziando il suo esame parlamentare alla Camera. 

Nelle settimane precedenti vari esponenti del governo avevano appoggiato la possibilità che la nuova manovra finanziaria avrebbe tassato i cosiddetti “extraprofitti” delle banche, derivanti dalla maggiore redditività dei prestiti, dopo che la Banca centrale europea (BCE) ha portato i tassi di interesse dallo 0 per cento al 4,5 per cento in poco più di un anno. Già lo scorso anno il governo aveva annunciato un’imposta di questo tipo, dichiarando di voler raccogliere circa 2 miliardi di euro. Il governo aveva poi fatto marcia indietro, consentendo alle banche di non pagare la nuova imposta se avessero rafforzato il proprio patrimonio con l’accantonamento di una somma pari a due volte e mezzo quello dell’imposta. Tutte le principali banche hanno scelto di non versare l’imposta, rafforzando il proprio capitale: in questo modo è stato azzerato il gettito che il governo sperava inizialmente di incassare.
Quest’anno sembra che i soldi dalle banche arriveranno davvero, non però attraverso un’imposta straordinaria sugli “extraprofitti”, ma grazie a una sorta di prestito. 

L’articolo 3 del disegno di legge di Bilancio per il 2025 contiene una nuova misura in materia fiscale, dedicata proprio alle banche. Questo articolo modifica alcune regole che riguardano effettivamente la tassazione degli istituti di credito, ma non prevede l’introduzione di una nuova imposta straordinaria. Il nuovo disegno di legge di Bilancio, infatti, introduce un differimento di alcune detrazioni che le banche avrebbero potuto sfruttare nei prossimi due anni. Che cosa significa in concreto?

Le società, così come le singole persone contribuenti, possono pagare meno imposte grazie alle detrazioni, se rispettano determinati requisiti. Nello specifico, le detrazioni su cui interviene la nuova legge di Bilancio riguardano i costi di svalutazione degli asset delle banche, ossia i beni e le risorse economiche posseduti dalle banche. Per esempio, quando una banca capisce che un prestito non le sarà restituito per intero, può ridurne il valore nel suo bilancio, indicando la riduzione come un costo. Questo costo è in parte detraibile: di conseguenza, una frazione di quanto si è dovuto spendere per la svalutazione si recupera tramite una riduzione dell’imposta da pagare grazie alle detrazioni. Queste detrazioni riguardano, in particolare, l’IRES (l’imposta sul reddito delle società) e l’IRAP (l’imposta regionale sulle attività produttive).

Con il disegno di legge di Bilancio per il 2025, il governo ha deciso di differire alcune di queste detrazioni, impedendo agli istituti di credito di usarle nei prossimi due anni. In questo modo, secondo i calcoli della relazione tecnica che accompagna il testo depositato in Parlamento, il governo stima di incassare tra il 2025 e il 2026 quasi 3,4 miliardi di euro, poco meno dei 3,6 miliardi di cui ha parlato Meloni in televisione. Dal 2027, però, le banche potranno tornare a sfruttare di nuovo le detrazioni non usate nei due anni precedenti, e a recuperare i soldi non risparmiati. La relazione tecnica del disegno di legge di Bilancio, infatti, stima quasi mezzo miliardo di minori entrate per lo Stato nel 2027 e quasi un miliardo l’anno tra il 2028 e il 2030. Per le banche anticipare le maggiori imposte comporta comunque un costo, sia perché questo comporta una minore disponibilità di fondi nel breve periodo, sia perché stanno di fatto prestando allo Stato soldi con un interesse a tasso zero, perdendo così un potenziale rendimento. Un approfondimento pubblicato su lavoce.info ha stimato che il costo della manovra finanziaria per le banche sia di poco superiore ai 300 milioni di euro. 

Nella gestione contabile dello Stato fa poca differenza se si riduce la spesa pubblica o si aumentano le tasse: in entrambi i casi il governo ha più risorse da spendere a causa delle minori uscite o delle maggiori entrate. In questo senso, quindi, la nuova misura per le banche potrebbe essere letta come un aumento della tassazione per gli istituti di credito. In concreto, però, stiamo parlando di un prestito: lo Stato riceverà in anticipo quello che avrebbe dovuto ottenere nei prossimi anni, impegnandosi però a “restituirlo” esigendo minori tasse in futuro.

Uno dei vantaggi della misura contenuta nella legge di Bilancio è che permetterà al governo di recuperare risorse senza fare più debito. Considerando che a oggi il tasso di interesse sui titoli di Stato a due anni è pari al 2,7 per cento, la scelta di ottenere risorse in anticipo dalle banche a tasso zero dovrebbe portare a un risparmio complessivo inferiore al mezzo miliardo di euro per le casse dello Stato tra il 2025 e il 2026. Questa cifra, seppure risparmiata, corrisponde a una percentuale piuttosto irrilevante di quanto spende l’Italia ogni anno in interessi sul debito pubblico. 

Come detto, il disegno di legge di Bilancio è ora all’esame della Camera, dove potrà essere modificato prima di passare al Senato per l’approvazione definitiva.

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