L’Italia è l’unica nell’Ue a spendere di più in interessi sul debito che in istruzione

Rispetto al PIL il nostro Paese paga gli interessi passivi più alti dell’Ue, mentre gli investimenti sulla scuola sono sotto la media: per il governatore della Banca d’Italia a farne le spese sono soprattutto i giovani
Ansa
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Il 21 agosto durante il Meeting di Rimini – manifestazione organizzata dal movimento cattolico Comunione e Liberazione in cui politici ed esponenti delle istituzioni si confrontano sui temi d’attualità – il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha discusso del problema del debito pubblico italiano, che si aggira intorno al 140 per cento del Prodotto interno lordo (Pil) ed è il terzo più alto tra i Paesi Ocse, dopo Grecia e Giappone.

In particolare, Panetta ha sottolineato come ogni anno l’Italia debba destinare una quota rilevante del bilancio per pagare gli interessi di questo debito: «L’Italia è l’unico Paese dell’area dell’euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l’istruzione», ha detto a proposito il governatore della Banca d’Italia, secondo cui questo confronto è emblematico per comprendere come «l’alto debito stia gravando sul futuro delle generazioni giovani, limitando le loro opportunità». 

Ma davvero nel nostro Paese la spesa annua in interessi sul debito pubblico è pari a quella per l’istruzione? E soprattutto, davvero questo dato rappresenta un primato europeo?

La spesa per il debito

Ogni anno gli Stati hanno bisogno di grandi quantità di denaro per finanziare la loro spesa pubblica e questo può essere fatto in vari modi: con le tasse, con le entrate delle imprese pubbliche, riducendo le spese, oppure contraendo debiti sui mercati. Quando sceglie quest’ultima strada, un Paese emette sul mercato finanziario titoli di debito, promettendo a chi li compra di restituire loro i soldi a un certo tasso di interesse. Questi titoli, chiamati anche “obbligazioni”, possono essere acquistati da semplici cittadini, dalle banche e dai fondi di investimento.

Dal dopoguerra ad oggi l’Italia ha via via emesso sempre più titoli sul mercato finanziario, aumentando il rapporto tra debito pubblico e PIL, fino a raggiungere il 140 per cento circa attuale. Ogni anno quindi il nostro Paese restituisce agli investitori una parte del loro investimento più una quota di interesse. Le percentuali che queste spese hanno sul PIL di ogni Stato membro dell’Unione europea sono raccolte da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Ue, sotto la voce Public debt transactions, che raggruppa tutti pagamenti di interessi e gli esborsi sulla sottoscrizione di debiti e prestiti da parte di uno Stato. 

Secondo Eurostat nel 2022, ultimo anno in cui sono disponibili i dati, l’Italia è stato il Paese che ha pagato più interessi sul proprio debito pubblico in percentuale del prodotto interno lordo all’interno dell’Unione europea, anche oltre l’area euro citata da Panetta: il 4,4 per cento, davanti a Ungheria (3 per cento), Grecia (2,7 per cento) e Spagna (2,4 per cento). La spesa media in interessi sul debito dei 27 Paesi Ue è invece molto più bassa, pari all’1,7 per cento.

Il confronto con la scuola

Eurostat calcola anche il rapporto tra la spesa complessiva per l’istruzione e il PIL degli Stati membri. Al contrario  della precedente classifica, per l’istruzione l’Italia spende meno della media europea: il nostro Paese infatti nel 2022 ha stanziato per questo ambito il 4,1 per cento del PIL, contro una media del 4,7 per cento. Lo Stato che investe di più in istruzione pubblica è la Svezia (7,1 per cento del PIL), mentre quello che spende meno è l’Irlanda (2,7 per cento). 

Ricapitolando, Panetta ha ragione quando paragona la spesa italiana per gli interessi sul debito (4,4 per cento del PIL) a quella per l’istruzione (4,1 per cento), affermando che queste due uscite sono per l’Italia «pressoché equivalenti». Non solo: il governatore della Banca d’Italia dice il vero anche quando afferma che questa equivalenza esiste solo per l’Italia, dato che confrontando questi due indicatori il nostro Paese è l’unico tra i 27 Stati Ue in cui gli interessi sul debito e la spesa per l’istruzione si equivalgono. Per fare un esempio, gli altri Stati che spendono tanto in interessi sul debito come Ungheria, Grecia e Spagna investono comunque di più per l’istruzione pubblica (rispettivamente 5,1, 3,8 e 4,4 per cento del PIL).

Come si vede dal confronto poi, in Italia nel 2022 la spesa annua per gli interessi sul debito pubblico ha superato gli investimenti sulla scuola pubblica dello 0,3 per cento. Un dato non trascurabile se visto nelle cifre assolute, dato che due anni fa lo Stato ha pagato in interessi 83 miliardi di euro, come riportato dall’ultimo Documento di economia e finanza (DEF), il principale documento con cui il governo programma la politica economica. Va detto che le voci conteggiate dal DEF come “interessi passivi” non sono perfettamente sovrapponibili ai Public debt transactions di Eurostat, e infatti le percentuali del 2022 sono un po’ diverse (4,2 per cento del DEF contro il 4,4 per cento di Eurostat).

Il documento economico del governo prevede che, dopo un leggero calo nel 2023, la spesa annua per gli interessi sul debito continuerà ad aumentare nei prossimi anni: dunque a meno di un grosso e inaspettato aumento della spesa pubblica in istruzione, il paragone del governatore della Banca d’Italia sarà valido anche per i prossimi anni.

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