Quanto costano davvero i prestiti del Pnrr

Per finanziare il piano l’Italia riceverà dall’Ue quasi 123 miliardi di euro che dovrà poi restituire. Ma a quale prezzo? E con quali scadenze? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza
ANSA
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I ritardi nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) hanno riportato d’attualità le posizioni di chi non ritiene così vantaggioso l’aiuto dell’Unione europea all’Italia. Se rispetterà tutti gli impegni presi con l’Ue, il nostro Paese riceverà oltre 191 miliardi di euro entro il 2026, di cui quasi 123 miliardi sotto forma di prestiti da restituire. «Al momento non ci hanno ancora detto a che tasso di interesse saranno dati» questi prestiti, ha detto in Senato il 26 aprile Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega, partito che da tempo denuncia una scarsa trasparenza sui prestiti del Pnrr. «Due terzi dei fondi del Pnrr sono prestiti ma i tassi sono più bassi perché si tratta di debito europeo», ha invece dichiarato il 29 aprile il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, peraltro compagno di partito di Romeo, in un’intervista con Il Sole 24 Ore

Come stanno davvero le cose? È possibile sapere quanto costeranno all’Italia i soldi presi a prestito dall’Europa? Chiariamo subito che la materia è piuttosto tecnica e complicata: a grandi linee è comunque possibile rispondere a questa domanda. E in effetti non c’è completa trasparenza sui dettagli dei costi.

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Il soldi del Pnrr in breve

Prima di tutto è bene avere chiaro di che cosa si parla a proposito dei soldi del Pnrr. Il piano è finanziato con 191,5 miliardi di euro dal Recovery and resilience facility, un fondo europeo creato per sostenere la ripresa economica dei Paesi europei dopo la crisi causata dalla pandemia di Covid-19. Per finanziare il Recovery and resilience facility la Commissione europea contrae prestiti sui mercati per conto di tutti e 27 gli Stati membri e poi distribuisce le risorse ai vari Paesi per finanziare i loro Pnrr. I prestiti vengono contratti dalla Commissione Ue di volta in volta e quindi le condizioni con cui l’Ue si finanzia sui mercati possono cambiare (su questo punto torneremo meglio più avanti).

Dei 191,5 miliardi di euro del Pnrr italiano, 68,9 miliardi di euro sono sovvenzioni a fondo perduto e altri 122,6 miliardi di euro sono prestiti. Le sovvenzioni non vanno restituite, mentre i prestiti sì, e con gli interessi. L’Italia riceverà tutti questi soldi entro il 2026 in dieci rate semestrali, se rispetterà una serie di obiettivi concordati con l’Ue, come l’approvazione di riforme o il completamento di progetti e investimenti. 

Come spiega un dossier di novembre 2022 della Camera dei deputati, non tutti i quasi 123 miliardi di euro di prestiti del Pnrr saranno usati per progetti nuovi. Di questa cifra, oltre 44 miliardi di euro sono infatti destinati a spese per progetti che erano già previsti prima dell’approvazione del piano.

I prestiti erogati finora

Fino a oggi l’Italia ha ricevuto dall’Ue quasi 67 miliardi di euro per finanziare il Pnrr: quasi 25 miliardi sono arrivati con un prefinanziamento ad agosto 2021, 21 miliardi ad aprile 2022 con la prima rata per il raggiungimento degli obiettivi del 2021, e altri 21 miliardi con la seconda rata a novembre 2022, per gli obiettivi raggiunti nei primi sei mesi del 2022. Ora il governo è in attesa di ricevere i 19 miliardi della terza rata, con cui l’Ue certificherà ufficialmente il raggiungimento degli obiettivi fissati per la seconda metà dell’anno scorso. Da settimane il governo e le autorità europee stanno trattando su questo punto per sbloccare l’erogazione dei fondi. 

Sui quasi 67 miliardi di euro erogati finora all’Italia, 34,6 miliardi sono prestiti: 12,6 miliardi sono stati erogati con il prefinanziamento e 11 miliardi per ognuna delle due rate incassate. Qui si apre la questione dei costi e delle condizioni legati a questi prestiti: per esempio quanto dovrà davvero restituire l’Italia all’Ue e con quali tempistiche? Come abbiamo visto, secondo i critici del Pnrr i dettagli sarebbero poco chiari.

Le tempistiche dei prestiti

Per capirci qualcosa di più, è utile partire dai decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) che hanno accertato l’erogazione dei prestiti del prefinanziamento (decreto del 14 dicembre 2021), della prima rata (decreto dell’8 giugno 2022) e della seconda rata (decreto del 16 gennaio 2023). Come vedremo tra poco, le informazioni contenute in questi decreti sono però parziali. 

Prendiamo come esempio il decreto della prima rata: il testo spiega (art. 2) che gli 11 miliardi di prestiti dovranno essere restituiti in circa vent’anni e non da subito, ma a partire da maggio 2033 ed entro maggio 2052. Il fatto che la cosiddetta “quota capitale”, ossia l’ammontare effettivo del prestito al netto degli interessi, possa essere restituita in un periodo di tempo così lungo è vantaggioso: un prestito di lungo periodo permette infatti di ridurre il peso del debito sul bilancio pubblico nei singoli anni. Di solito il problema è che un prestito più a lungo termine prevede un tasso di interesse, ossia un costo dell’indebitamento, più alto. Ma nel caso dei prestiti Pnrr l’interesse dovrebbe comunque essere vantaggioso, perché ottenuto dall’Ue, ritenuta più affidabile dai mercati, e non dall’Italia. Tempistiche simili valgono per i prestiti del prefinanziamento e della seconda rata. Per la restituzione del valore dei prestiti c’è quindi tempo.

La questione degli interessi

Discorso diverso vale invece per gli interessi su questi prestiti. Il pagamento degli interessi sui prestiti della prima rata, infatti, va fatto il «13 aprile di ogni anno, iniziando dal 13 aprile 2023, a cui si aggiungono 25 giorni lavorativi». La prima data di pagamento degli interessi sui prestiti della prima rata arriverà a breve, il 19 maggio 2023, mentre per la seconda rata sarà il 13 dicembre 2023. Il pagamento degli interessi per il prefinanziamento è invece già iniziato, il 9 settembre 2022. 

Ma nei decreti non c’è scritto a quanto ammontano questi interessi. Non sono neppure specificati gli altri costi legati a questi prestiti, come quelli amministrativi a cui fa fronte la Commissione Ue indebitandosi sui mercati. Per avere un termine di confronto, questi dettagli sono invece pubblicamente noti per i prestiti all’Italia erogati dal programma Sure, finanziato dall’Ue per sostenere misure a favore dell’occupazione negli Stati membri.

Per i costi dei prestiti del Pnrr, tutti e tre i decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze rimandano al cosiddetto loan agreement (in italiano “accordo di prestito”), sottoscritto con l’Ue il 26 luglio 2021 dall’allora governo di Mario Draghi. I decreti citano alcuni articoli del loan agreement a proposito dei costi dei prestiti e specificano che quest’ultimi sono stabiliti dalla Commissione Ue in una confirmation notice (in italiano “avviso di conferma”) inviata all’Italia prima dell’erogazione delle singole rate. 

I testi del loan agreement italiano e quelli delle confirmation notice non sembrano essere stati pubblicati né sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze né su quello della Commissione europea. Abbiamo contattato il Mef per avere una risposta in merito, ma al momento della pubblicazione di questo articolo siamo ancora in attesa di una risposta. 

I loan agreement di altri Paesi, come Grecia e Portogallo, sono invece pubblici: entrambi sono composti da 29 articoli e sono di fatto identici, al netto delle cifre sui prestiti concordati ai due Paesi. Questo lascia pensare che, con tutta probabilità, il testo firmato dall’Italia sia uguale o per lo meno simile a questi, anche se in assenza del testo è impossibile saperlo con certezza. 

I loan agreement di Grecia e Portogallo chiariscono (art. 14) che i dettagli sui costi dei prestiti sono comunicati  dall’Ue ai singoli Paesi con una confirmation notice venti giorni lavorativi prima dell’erogazione del prestito. Questi costi sono stabiliti (art. 11) con una formula, contenuta in una decisione della Commissione Ue pubblicata a luglio 2021 e poi aggiornata a dicembre 2022. Il calcolo, come si può verificare qui, è parecchio articolato, ma si possono comunque fare alcune osservazioni. 

La determinazione dei costi avviene in maniera simile a quanto avviene per qualsiasi prestito contratto sui mercati finanziari: si calcola quanto costa prendere a prestito le risorse alla fonte (in questo caso, la Commissione europea che emette obbligazioni sui mercati), considerando sia gli interessi sul debito sia i costi di gestione, da quelli amministrativi a quelli finanziari. Dal documento non emergono particolari oneri per i Paesi che ricevono il prestito, anzi: le “commissioni” sul prestito sono quasi nulle. L’Ue si limita a offrire i prestiti sostanzialmente al costo con cui si è procurata i fondi sul mercato. 

Dato che le condizioni cambiano di giorno in giorno (se non di ora in ora), non c’è una cifra o una percentuale di interesse precisa da pagare, ma varia al variare delle condizioni del mercato. La Commissione Ue non ha infatti preso a prestito tutti i fondi necessari per finanziare il Recovery and resilience facility in un colpo solo, ma di volta in volta emette obbligazioni per procurarsi le risorse, andando poi a distribuirle con le rate che arrivano ai governo nazionali ogni sei mesi.

Gli stanziamenti per gli interessi

Anche se non si conoscono i dettagli delle condizioni economiche dei prestiti del Pnrr è comunque possibile sapere, a grandi linee, di quali cifre si sta parlando. I decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, infatti, stabiliscono (art. 4) che le spese relative ai prestiti del Pnrr saranno coperte con due capitoli del bilancio del ministero: il capitolo 2226, chiamato “Spesa per interessi e oneri finanziari sui  prestiti di cui alla Recovery and resiliency facility”, e il capitolo 2246, chiamato “Spese derivanti dall’erogazione dei prestiti di cui alla Recovery and resiliency facility”. 

Con la legge di Bilancio per il 2023 è stato aggiornato il bilancio del Ministero dell’Economia e delle Finanze: il capitolo 2226 prevede una spesa per gli interessi dei prestiti del Pnrr di 270 milioni di euro nel 2023, 500 milioni di euro nel 2024 e 710 milioni di euro nel 2025; il capitolo 2246 ulteriori 4 milioni di euro per ognuno dei tre anni. 

Le risorse che invece fanno riferimento all’intero valore dei prestiti da restituire, che come detto andranno versati all’Ue a partire dal 2033, saranno invece stanziate nel capitolo 9508, chiamato “Rimborso del capitale dei prestiti di cui alla Recovery and resiliency facility”. Per il momento questo capitolo non prevede risorse, visto che i prestiti andranno restituiti dal 2032 in poi (i primi saranno quelli del prefinanziamento).

Per avere un ordine di grandezza, in base al bilancio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2023 i costi degli interessi sull’intero debito pubblico italiano si aggireranno intorno ai 76 miliardi di euro, nel 2024 a 85 miliardi e nel 2025 a oltre 91 miliardi. Quest’anno le spese per rimborsare i prestiti del Pnrr, insomma, ammontano a meno dell’1 per cento di quanto spende l’Italia per gli interessi sul suo debito pubblico.

I prestiti dell’Ue convengono?

Come detto, le condizioni dei prestiti ricevuti dall’Ue dipendono di volta in volta dalle condizioni sui mercati. Oggi, per esempio, le condizioni risultano più onerose rispetto al passato, perché i tassi di interesse – e quindi il costo dell’indebitamento – sono aumentati. Per esempio a giugno 2021 il tasso di interesse su un prestito a dieci anni contratto dalla Commissione Ue era pari allo 0,09 per cento, mentre a novembre 2022 al 2,82 per cento. L’aumento del costo dell’indebitamento c’è stato, ma questo non significa che prendere a prestito dall’Ue non convenga: a novembre 2022, per esempio, un prestito a dieci anni per l’Italia prevedeva un tasso di interesse del 4 per cento, attraverso l’emissione di Btp, più di un punto percentuale più alto rispetto alle condizioni ottenute dalla Commissione Ue.

Già a settembre 2020, in un’audizione in Parlamento, la Banca d’Italia aveva commentato la convenienza dei prestiti emessi dall’Ue, calcolando che avrebbero portato all’Italia «una spesa per interessi inferiore di circa 1,3 miliardi in media all’anno nell’arco di un decennio rispetto a quella connessa con l’emissione di Btp decennali per pari importo».

Visto come sono aumentati i tassi di interesse, si potrebbe obiettare che per lo Stato italiano sarebbe stato più conveniente prendere a prestito da solo sui mercati tutti i fondi in una volta nel 2021, quando i tassi di interesse del nostro Paese erano ancora favorevoli (quelli dei Btp a 10 anni erano intorno all’1 per cento), piuttosto che di volta in volta farsi prestare soldi dall’Ue con interessi in continuo aumento. 

Questa obiezione è però poco solida: gli Stati, proprio come le persone, prendono a prestito denaro nel momento in cui ne hanno bisogno, giustificando la richiesta con progetti o fabbisogni da soddisfare nell’immediato futuro. Si può pensare di aumentare l’indebitamento in un momento in cui i tassi sono favorevoli, ma è impensabile prendere a prestito decine di miliardi tutti in una volta (qui stiamo parlando di oltre 120 miliardi di euro) in attesa di spenderli negli anni a venire. Non è solo una questione di convenienza per il Paese, ma anche per i mercati: perché gli investitori dovrebbero decidere di impegnare le proprie risorse in maniera duratura oggi sapendo che i tassi di interesse – e quindi i rendimenti sui loro investimenti – cresceranno domani? Senza considerare il fatto che l’aumento dei tassi degli ultimi mesi era solo in parte prevedibile, per esempio immaginando il forte rimbalzo dell’economia dopo la pandemia di Covid-19. Molto difficilmente era invece prevedibile l’inizio della guerra in Ucraina, uno dei fattori che l’anno scorso ha inciso sull’economia internazionale e sull’aumento dei tassi di interesse.

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