Dall’esterno la Libera Masseria di Cisliano sembra un complesso abitativo come tanti, con qualche appartamento, un grande giardino e una serie di piccole strutture secondarie, decorate con murales dai colori accesi. I cancelli di metallo che delimitano l’area si affacciano sulla strada provinciale che collega Baggio e Abbiategrasso, nella periferia sud-ovest di Milano, e spesso capita di vedere un via vai allegro di adulti e bambini, classi scolastiche e gruppi di adolescenti che entrano ed escono dagli edifici.
È difficile immaginare che fino a pochi anni fa questo stesso spazio rappresentasse il centro logistico di una famiglia legata alla ‘ndrangheta, e che proprio da lì partisse un giro di usura e gioco d’azzardo da centinaia di migliaia di euro.
Dal 2014 la Libera Masseria è un bene confiscato alle mafie. Oggi ne esistono decine di migliaia in tutta Italia, gestiti in molti casi da associazioni o enti del terzo settore e riqualificati per scopi sociali, come stabilito dalla legge n. 109 del 1996. Si tratta di appartamenti, negozi e ristoranti, ma anche campi o terreni non ancora edificati, che vengono sequestrati in seguito alla condanna dei proprietari per varie tipologie di reato, tra cui soprattutto l’associazione di stampo mafioso.
Ora il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha destinato 300 milioni di euro alla valorizzazione di queste strutture per «potenziare l’edilizia residenziale pubblica, rigenerare le aree urbane, migliorare i servizi socio-culturali e di prossimità». Gli esempi a cui ispirarsi per spendere i fondi non mancano: negli anni sono stati attivati migliaia di progetti, donando una seconda vita a luoghi un tempo in mano alla criminalità.
È difficile immaginare che fino a pochi anni fa questo stesso spazio rappresentasse il centro logistico di una famiglia legata alla ‘ndrangheta, e che proprio da lì partisse un giro di usura e gioco d’azzardo da centinaia di migliaia di euro.
Dal 2014 la Libera Masseria è un bene confiscato alle mafie. Oggi ne esistono decine di migliaia in tutta Italia, gestiti in molti casi da associazioni o enti del terzo settore e riqualificati per scopi sociali, come stabilito dalla legge n. 109 del 1996. Si tratta di appartamenti, negozi e ristoranti, ma anche campi o terreni non ancora edificati, che vengono sequestrati in seguito alla condanna dei proprietari per varie tipologie di reato, tra cui soprattutto l’associazione di stampo mafioso.
Ora il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha destinato 300 milioni di euro alla valorizzazione di queste strutture per «potenziare l’edilizia residenziale pubblica, rigenerare le aree urbane, migliorare i servizi socio-culturali e di prossimità». Gli esempi a cui ispirarsi per spendere i fondi non mancano: negli anni sono stati attivati migliaia di progetti, donando una seconda vita a luoghi un tempo in mano alla criminalità.