La sfida del Pnrr per i beni confiscati alle mafie

In Italia sono oltre 20 mila quelli già destinati a scopi sociali e il piano ha stanziato 300 milioni di euro per la loro valorizzazione: i progetti di successo non mancano
L’interno di una sala della Libera Masseria, Cisliano (Milano), 30 marzo 2023. Foto: Laura Loguercio
L’interno di una sala della Libera Masseria, Cisliano (Milano), 30 marzo 2023. Foto: Laura Loguercio
Dall’esterno la Libera Masseria di Cisliano sembra un complesso abitativo come tanti, con qualche appartamento, un grande giardino e una serie di piccole strutture secondarie, decorate con murales dai colori accesi. I cancelli di metallo che delimitano l’area si affacciano sulla strada provinciale che collega Baggio e Abbiategrasso, nella periferia sud-ovest di Milano, e spesso capita di vedere un via vai allegro di adulti e bambini, classi scolastiche e gruppi di adolescenti che entrano ed escono dagli edifici. 

È difficile immaginare che fino a pochi anni fa questo stesso spazio rappresentasse il centro logistico di una famiglia legata alla ‘ndrangheta, e che proprio da lì partisse un giro di usura e gioco d’azzardo da centinaia di migliaia di euro.

Dal 2014 la Libera Masseria è un bene confiscato alle mafie. Oggi ne esistono decine di migliaia in tutta Italia, gestiti in molti casi da associazioni o enti del terzo settore e riqualificati per scopi sociali, come stabilito dalla legge n. 109 del 1996. Si tratta di appartamenti, negozi e ristoranti, ma anche campi o terreni non ancora edificati, che vengono sequestrati in seguito alla condanna dei proprietari per varie tipologie di reato, tra cui soprattutto l’associazione di stampo mafioso. 

Ora il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha destinato 300 milioni di euro alla valorizzazione di queste strutture per «potenziare l’edilizia residenziale pubblica, rigenerare le aree urbane, migliorare i servizi socio-culturali e di prossimità». Gli esempi a cui ispirarsi per spendere i fondi non mancano: negli anni sono stati attivati migliaia di progetti, donando una seconda vita a luoghi un tempo in mano alla criminalità.

Ventimila opportunità

Secondo il codice delle leggi antimafia, approvato nel 2011 e più volte modificato, un tribunale può disporre (art. 20) il sequestro di un bene quando il suo valore risulta «sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta» dal proprietario. Oppure quando si ritiene che il bene in questione sia «frutto di attività illecite o ne costituisca il rimpiego», per esempio nel caso del riciclaggio di denaro. 

Quasi trent’anni fa la legge n. 109 del 1996 ha stabilito che i beni sequestrati alle mafie debbano entrare a far parte del patrimonio dello Stato, che deve utilizzarli per finalità di «giustizia, ordine pubblico e protezione civile», oppure in quello del comune in cui si trovano, per finalità «istituzionali o sociali». Questi terreni, aziende e immobili non possono quindi essere semplicemente venduti o utilizzati a scopo di lucro, ma devono essere riqualificati e restituiti all’uso pubblico.

Secondo i dati più aggiornati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc), un ente governativo controllato dal Ministero dell’Interno, in Italia ci sono circa 20 mila beni “destinati”, ossia confiscati e già trasferiti a enti terzi incaricati della loro riqualificazione. Di questi, oltre 16 mila si trovano in regioni del Sud Italia, 1.200 nel Centro e circa 2.500 nelle regioni del Nord. 

Ai beni “destinati” si affiancano altri 23 mila beni immobili “in gestione”, ossia confiscati ma non ancora destinati all’ente che se ne dovrà occupare, per esempio perché l’iter giudiziario è ancora in corso oppure perché ci sono stati problemi e ritardi nelle procedure.

È un patrimonio ingente, che negli anni ha dato vita a migliaia di progetti e iniziative in ambito sociale.

Le storie, tra biblioteche ed ex detenuti

A Milano la “Cooperativa Sociale Comunità del Giambellino” gestisce per conto del comune tre appartamenti confiscati alle mafie, oggi dedicati all’accoglienza di ex detenuti che, una volta usciti dal carcere, non hanno un posto dove andare. «Abbiamo costruito un abitare diffuso, dove sia possibile tornare alla normalità», ha spiegato a Pagella Politica Riccardo Farina, presidente della Cooperativa. Si tratta di appartamenti piccoli, capaci di ospitare un massimo di cinque persone per un periodo che va dai sei ai 12 mesi. In questo lasso di tempo gli ex detenuti vengono aiutati a trovare un impiego e, se necessario, a mettersi in regola con i documenti.  

Nel 2009 un negozio che affaccia su via Ceriani, nel quartiere di Baggio, è stato trasformato nella sede dell’associazione di promozione sociale “Il Balzo”. Dieci anni dopo l’associazione ha vinto un altro bando per l’assegnazione di un appartamento situato proprio sopra alla sede, oggi usato per attività di «residenzialità per disabili», ossia iniziative pensate per aiutare le persone disabili a riacquisire autonomia e tornare a vivere in modo indipendente negli spazi domestici.

«Sia il negozio che l’appartamento appartenevano alla stessa persona, affiliata alla ‘ndrangheta», ha detto a Pagella Politica Pietro Basile, presidente de “Il Balzo”, sottolineando che conoscere la storia dei beni confiscati permette all’associazione di mettere in luce le differenze tra come venivano sfruttati inizialmente i locali e cosa ospitano ora. «Se un tempo qui si stipavano stupefacenti e si riciclava denaro, adesso vengono svolte attività con disabili e minori in difficoltà. In questo modo si chiude il cerchio, seguendo anche la logica della legge del 1996», ha affermato. 

La cessione dei beni confiscati ad associazioni terze avviene in genere a titolo gratuito, quindi i comuni o lo Stato non richiedono agli assegnatari finali il pagamento di un affitto. «Anche se non corrispondiamo un canone al comune di Milano, tutte le altre spese rimangono a carico nostro», ha precisato però Basile, sottolineando quindi che l’associazione si fa carico delle utenze, delle spese condominiali e delle eventuali tasse relative agli immobili gestiti. 

Non sempre la riqualificazione di un bene confiscato avviene in modo immediato. In via Espinasse, a Quarto Oggiaro, l’associazione “Circola” ha collaborato alla riqualificazione di un piccolo appartamento situato all’ultimo piano di un edificio residenziale. «Per legge i beni confiscati devono rimanere aperti e accessibili a tutti», ha spiegato a Pagella Politica Veronica Dini, che ha curato il progetto da un punto di vista legale, ma l’idea di avere un flusso continuo di persone che entravano e uscivano dal palazzo inizialmente «non piaceva a molti condomini». Grazie alla mediazione di “Circola” e di altre associazioni del territorio, nel 2019 l’appartamento è stato trasformato in una Biblioteca di Condominio che tutt’oggi ospita anche eventi culturali aperti al pubblico. 

Altri beni confiscati sono molto più ampi, come la Libera Masseria di Cisliano, che si estende su 10 mila metri quadrati. Si tratta di un complesso abitativo con un ristorante e quattro appartamenti, dove fino al 2005 risiedevano alcuni membri del clan ‘ndranghetista Valle-Lampada, condannati per associazione mafiosa nel 2014. «In questi anni lo spazio si è trasformato da bene confiscato a bene comune e presidio di giustizia sociale», ha detto a Pagella Politica Elena Simeti, attivista per l’associazione Una Casa anche per Te, che insieme alla Caritas Ambrosiana si occupa della gestione della struttura. «Dal 2015 a oggi, 13 mila ragazzi e ragazze ci hanno aiutato a sistemare gli spazi, su base volontaria», ha spiegato passeggiando tra i locali della Masseria un pomeriggio di fine marzo. Oggi l’area viene utilizzata per organizzare attività con le scuole, laboratori, eventi, corsi di formazione e campi estivi, mentre gli appartamenti ospitano famiglie e persone in difficoltà. Nonostante ciò, la risposta della popolazione locale all’avvio di queste nuove attività non è sempre stata positiva: «Qualcuno ci ha detto: “Ora non vorrete portarci gli stranieri qui?”, anche se fino a poco prima c’era la ‘ndrangheta», ha ricordato Simeti.

Di recente la Masseria ha avviato una serie di lavori di ristrutturazione, finanziati tramite un bando di Regione Lombardia e affidati allo studio dell’architetto Stefano Boeri.
Una sala della Libera Masseria, Cisliano (Milano), 30 marzo 2023. Foto: Laura Loguercio
Una sala della Libera Masseria, Cisliano (Milano), 30 marzo 2023. Foto: Laura Loguercio

I fondi del Pnrr

Tra gli oltre 191 miliardi di euro di stanziamenti complessivi, il Pnrr ha destinato 300 milioni di euro alla riqualificazione di beni confiscati alle mafie. Le procedure sono gestite dall’Agenzia per la coesione territoriale, un ente di pubblica amministrazione che lo scorso novembre ha aperto un bando per assegnare i fondi ai comuni interessati, privilegiando le iniziative relative a «centri antiviolenza per donne e bambini, case rifugio e asili nido o micronidi». 

La scadenza del bando è stata prorogata tre volte, fino ad aprile 2022, e a dicembre l’Agenzia ha infine pubblicato la graduatoria degli oltre 300 progetti destinatari dei finanziamenti, concentrati principalmente nelle regioni del Sud. 

Tra questi c’è San Vito Chietino, un comune con poco più di 5 mila abitanti sulla costa abruzzese, che riceverà 2,3 milioni di euro per realizzare una «struttura a sostegno dell’inclusione sociale» compresa di asilo nido. «Si tratterà di un centro polifunzionale, che servirà come centro antiviolenza, centro di aggregazione giovanile e nido-ludoteca», ha spiegato a Pagella Politica il sindaco Emiliano Bozzelli, eletto nel 2017 e riconfermato nel 2022 con una lista civica. Il centro antiviolenza, in particolare, è stato pensato per completare il progetto di una casa rifugio per donne vittime di violenza, attivato nel 2020 in un appartamento sequestrato. San Vito Chietino ha una superficie di 17 chilometri quadrati e ospita tre beni confiscati. 

Secondo Bozzelli l’iter amministrativo per l’avvio delle operazioni dovrebbe concludersi entro la fine dell’anno, in modo da poter iniziare i lavori nel 2024 e concluderli «entro un anno e mezzo». Questo cronoprogramma permetterebbe quindi di rispettare ampiamente la scadenza generale del Pnrr, prevista per il giugno 2026, almeno sulla carta. Al momento, da un punto di vista pratico, il comune non ha ancora ricevuto alcun finanziamento e nel luogo in cui dovrebbero sorgere le nuove attività finanziate dal Pnrr non c’è nulla, se non «una montagna di mattoni», ha detto il sindaco. Anche in questo caso spendere gli ormai famosi “soldi dell’Europa” sarà una sfida non da poco.
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