Martedì 28 marzo la Corte dei Conti ha presentato una relazione sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), finanziato entro il 2026 con oltre 191 miliardi di euro di risorse europee. L’istituzione, che controlla come vengono spesi i soldi pubblici, ha evidenziato vari ritardi nella spesa dei fondi e nell’attuazione dei progetti. Questi problemi non sono nuovi: da mesi, nella nostra newsletter I soldi dell’Europa (ci si iscrive gratis qui), raccontiamo ogni due settimane il complicato avanzamento del Pnrr, denunciato in varie occasioni dalla stessa Corte dei Conti e da altre istituzioni.

La nuova relazione è parecchio lunga: è composta da due volumi, per un totale di oltre 850 pagine, a cui si aggiunge un documento di presentazione di una quarantina di pagine. Innanzitutto la Corte dei Conti ha ribadito un fatto già noto, ossia che fino a oggi l’Italia ha speso meno risorse del Pnrr rispetto a quelle previste inizialmente. Alla fine del 2022 erano stati spesi circa 23 miliardi di euro, il 12 per cento sul totale dei fondi del piano. Fin qui l’Unione europea ha erogato all’Italia solo una parte dei fondi, quasi 67 miliardi di euro, con il prefinanziamento e la prima e la seconda rata. Inizialmente il governo Draghi aveva previsto di spendere oltre 40 miliardi di euro entro la fine dell’anno scorso, stima poi ribassata ad aprile 2022 a 33 miliardi di euro. Come spiega la Corte dei Conti, nei prossimi mesi bisognerà accelerare per colmare i ritardi nella spesa, un compito molto difficile vista l’annosa incapacità del nostro Paese di spendere tutti i soldi arrivati dall’Ue negli scorsi anni. Alla fine del 2023, nonostante un eventuale recupero sulla tabella di marcia, il livello di spesa «dovrebbe rimanere inferiore di quasi 15 miliardi rispetto al quadro finanziario iniziale. Nel successivo biennio 2024-2025 è poi stimato il picco di spesa, con valori annuali che supereranno i 45 miliardi», si legge nella presentazione della relazione. 

Tra i vari problemi evidenziati dalla Corte dei Conti ci sono le modalità con cui sono stati assunti gli esperti per attuare il piano. «Le modalità di reclutamento del personale dedicato al Pnrr con formule non stabili hanno fatto emergere non poche difficoltà, per le amministrazioni, nel garantire la continuità operativa delle strutture che, al contrario, necessiterebbero di un quadro di risorse certo per tutto l’orizzonte temporale del piano», spiega la relazione. 

Una buona notizia riguarda i 55 obiettivi del Pnrr che l’Italia doveva centrare nella seconda metà dell’anno scorso, entro il 31 dicembre 2022. In base ai controlli della Corte dei Conti, questi obiettivi risultano «tutti conseguiti» (anche se la stessa Corte negli scorsi giorni ha sollevato dubbi, per esempio, sul progetto di piantare milioni di alberi in Italia). Su questo punto manca però ancora la conferma della Commissione europea che sta verificando l’effettivo rispetto delle scadenze per erogare la terza rata dei fondi all’Italia, con un valore pari a 19 miliardi di euro. Il 27 marzo il governo ha spiegato in una nota di aver concordato con la Commissione Ue un mese in più di tempo per valutare la reale attuazione dei 55 obiettivi. Nello specifico la Commissione Ue vuole approfondire tre interventi del Pnrr: uno riguarda le concessioni portuali, un altro le reti di riscaldamento, ossia sistemi di riscaldamento efficienti basati su fonti rinnovabili, un altro ancora riguarda i fondi destinati al co-finanziamento di due strutture sportive, il “Bosco dello Sport” di Venezia e lo “Stadio Artemio Franchi” di Firenze.

Secondo varie fonti stampa, la terza rata non dovrebbe essere a rischio, anche se come detto manca ancora la conferma ufficiale. Il problema, visti i già citati ritardi nella spesa, riguarda le prossime rate. In totale nel 2023 gli obiettivi da centrare sono 96: 27 entro la fine di giugno e 69 entro la fine di dicembre. Per il momento questi impegni vanno rispettati: da mesi il governo Meloni si sta confrontando con le istituzioni europee ma un accordo definitivo per la revisione del piano non è ancora stato raggiunto. Durante l’evento di presentazione della relazione della Corte dei Conti, il ministro per gli Affari europei, per le Politiche di coesione, per il Sud e per il Pnrr Raffaele Fitto (Fratelli d’Italia) ha ammesso che alcuni interventi «non possono essere realizzati» entro il 2026. «Dobbiamo dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa», ha sottolineato il ministro. 

La revisione del Pnrr è un processo tutt’altro che semplice. Dopo aver coinvolto il Parlamento, il governo italiano dovrebbe presentare una «richiesta motivata» alla Commissione Ue, che può approvarla o respingerla. Secondo fonti stampa, entro la fine di aprile dovrebbero concludersi le trattative con l’Ue, con la presentazione ufficiale del progetto del governo per rivedere il Pnrr. 

Ritardi e problemi coinvolgono anche il cosiddetto “Piano nazionale per gli investimenti complementari al Pnrr”, finanziato con oltre 30 miliardi di euro di risorse nazionali, dunque non provenienti dall’Ue. «L’esame del progresso nel conseguimento degli obiettivi intermedi previsti nei cronoprogrammi evidenzia criticità e ritardi nell’avanzamento delle misure», ha spiegato la Corte dei Conti. 

In generale, come abbiamo denunciato in varie occasioni, sul Pnrr continua a esserci scarsa trasparenza da parte delle istituzioni: per esempio i dati pubblicamente disponibili sui progetti finanziati spesso non sono completi o non aggiornati.

Il 28 marzo si è riunita la Cabina di regia del Pnrr, l’organismo che dà l’indirizzo politico al piano, a cui ha partecipato anche il ministro Fitto. In una nota il governo ha chiarito che ai ministeri è stato dato il compito di effettuare «in tempi rapidi un’analisi netta e chiara di tutte le criticità relative ai progetti di competenza» del Pnrr e di suggerire eventuali soluzioni. «L’obiettivo – si legge nella nota – è arrivare ad avere una fotografia chiara e definitiva dello stato di avanzamento dei lavori avendo come obiettivo tutto l’arco del piano fino al 2026».