Ha senso rinunciare a una parte dei soldi del Pnrr?

Sta facendo discutere la proposta del leghista Molinari, su cui alcuni economisti si dividono tra pro e contro
PNRR
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In questi giorni sta facendo discutere un’intervista al capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), pubblicata il 3 aprile da Affaritaliani.it. «Ho parlato con molti sindaci di comuni piccoli e i problemi sono numerosi. Ha senso indebitarsi con l’Unione europea per fare cose che non servono?», ha dichiarato Molinari. «Giusto quindi ridiscutere il piano con la Commissione europea: o si cambia la destinazione dei fondi o spenderli per spenderli a caso non ha senso. Forse sarebbe il caso di valutare di rinunciare a una parte dei fondi a debito». Il giorno dopo, durante la sua partecipazione al Vinitaly di Verona, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha risposto a distanza a Molinari, dicendo che non prende in considerazione «l’idea di perdere le risorse» del Pnrr. Intanto il ministro per gli Affari europei, il Pnrr, il Sud e la Politica di coesione Raffaele Fitto ha annunciato in una nota che riferirà in Parlamento sullo stato di attuazione del piano, dopo i problemi evidenziati di recente dalla Corte dei Conti. 

Alcuni economisti hanno però iniziato a prendere sul serio la proposta di Molinari, che non è nuova, visto che sin dagli esordi del Pnrr alcuni già si ponevano dubbi sulla reale capacità dell’Italia di spendere tutti i soldi in arrivo dall’Europa.

Il soldi del Pnrr in breve

Prima di entrare nel merito della questione, è utile un ripasso su come è finanziato il Pnrr. Entro la fine di giugno 2026 l’Italia riceverà circa 191,5 miliardi di euro dall’Ue per sostenere gli investimenti previsti dal piano in vari settori, dalla transizione ecologica a quella digitale, dalla sanità alle infrastrutture. I fondi europei saranno erogati in dieci rate se il governo italiano rispetterà ogni sei mesi il raggiungimento di una serie di obiettivi. Se gli impegni non vengono rispettati, l’erogazione dei fondi può essere sospesa o bloccata definitivamente.
Tabella 1. Scadenze e obiettivi delle rate del Pnrr – Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze
Tabella 1. Scadenze e obiettivi delle rate del Pnrr – Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze
Finora l’Ue ha erogato all’Italia quasi 67 miliardi di euro, comprensivi della quota di prefinanziamento e delle prime due rate. Secondo le verifiche della Corte dei Conti, alla fine del 2022 erano stati spesi circa 23 miliardi di euro, molti meno di quelli previsti con il cronoprogramma iniziale del piano. Da qui ora la discussione su come andare avanti nell’impiego delle risorse europee.

Dei 191,5 miliardi di euro del Pnrr, quasi 69 miliardi di euro sono sovvenzioni a fondo perduto, ossia l’Italia non dovrà restituirli all’Ue. I restanti 122,5 miliardi di euro sono invece prestiti, che il nostro Paese riceve a condizioni più vantaggiose rispetto a quelli che otterrebbe finanziandosi sui mercati. Questi prestiti andranno restituiti dal 2028 in poi. A differenza di quanto fatto da altri Paesi, come la Spagna, nel 2021 l’Italia ha subito chiesto tutti i soldi europei a sua disposizione per finanziare il Pnrr.

Spenderli tutti...

Come detto, Meloni ha dichiarato che il suo governo intende spendere tutti i soldi del Pnrr, ma pochi giorni prima Fitto ha anche ammesso che, secondo lui, sarà impossibile portare a termine alcuni progetti entro il 2026. «È matematico», ha detto il ministro, aggiungendo che bisogna «dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa». La coalizione di centrodestra, nel suo programma elettorale, ha promesso la revisione del Pnrr: le norme europee lo consentono, ma serve un accordo con la Commissione europea che al momento ancora non c’è, nonostante le trattative vanno avanti ormai da settimane.  

Chi sostiene che i soldi del Pnrr vadano spesi tutti, tra prestiti e sovvenzioni, utilizza principalmente due argomenti. Il primo: se l’Italia non riuscisse a spendere tutte le risorse del piano, darebbe un pessimo segnale agli altri Stati europei e ai mercati. Ricordiamo che i 191,5 miliardi di euro del Pnrr vengono dal Recovery and resilience facility, un fondo finanziato con debito comune europeo, ossia contratto insieme da tutti e 27 i Paesi Ue. Se il governo italiano dovesse rinunciare a una parte dei soldi del Pnrr, in futuro iniziative come questa a livello europeo saranno più difficili da ottenere, dice chi è contrario alla proposta di Molinari. 

Il secondo argomento riguarda il contributo che può dare il Pnrr all’economia italiana, come ha sintetizzato il 5 aprile l’economista Francesco Giavazzi in un editoriale sul Corriere della Sera intitolato “Usiamo tutti i fondi del Pnrr: faranno crescere il Paese”. Nel precedente governo Giavazzi è stato consigliere economico dell’ex presidente del Consiglio Mario Draghi e ha avuto un ruolo di primo piano nell’impostazione del Pnrr, ereditato in parte da quanto fatto dal precedente esecutivo di Giuseppe Conte. Secondo le stime del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2026 il Pil italiano sarà di 3,6 punti percentuali più alto rispetto a uno scenario senza Pnrr. Una crescita maggiore del Pil, sostiene Giavazzi, permette di ridurre più rapidamente il rapporto tra il debito pubblico e il Pil, e di far crescere l’occupazione. «Il piano concordato con la Commissione può essere modificato. Ma la vera domanda da porsi è se ci conviene. Dovremmo fermarci il tempo necessario per riscrivere qualche progetto o scriverne di nuovi», ha scritto Giavazzi. «Vorrebbe dire ritardare investimenti previsti e a cascata incidere sulla crescita e sulle riforme. La reazione negativa dei mercati finanziari avrebbe inoltre l’effetto di aumentare i tassi di interesse».

... oppure no?

Il 5 aprile altri due economisti hanno scritto un articolo su la Repubblica per dire che Molinari «ha ragione nel proporre di rinunciare a parte o a tutti i 123 miliardi presi a prestito con il Pnrr». Secondo l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri e il docente all’Università Bocconi di Milano Roberto Perotti (in passato consigliere per la spending review del governo Renzi), il problema dei soldi del Pnrr è che «non sappiamo come spenderli, e rischiamo di spenderli su progetti inutili o addirittura dannosi». Nel loro articolo Boeri e Perotti elencano una serie di errori che, a detta loro, hanno segnato il piano sin dalla sua nascita. Uno degli errori è stato prendere più soldi possibili, senza domandarsi se l’Italia avesse un’amministrazione in grado di utilizzarli tutti e in pochi anni. Meglio dunque concentrarsi sui soldi effettivamente utilizzabili, per spenderli al meglio.

A chi dice che l’Italia «farebbe una pessima figura» rinunciando ai prestiti del Pnrr, Boeri e Perotti rispondono che «non è vero». «Prendere atto della realtà è uno dei marchi dei veri statisti. Nessun Paese, neanche i meglio amministrati, potrebbe gestire utilmente ed efficientemente un tale fiume di denaro in così poco tempo», hanno sottolineato i due economisti. «Non ha senso prendere a prestito per spendere in progetti con scarso valore per la società: anche questa sarebbe una dimostrazione di intelligenza, non di fallimento o di mancanza di capacità progettuale».

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