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No, il taglio del cuneo fiscale del governo Meloni non è il «più importante degli ultimi decenni»

| 02 maggio 2023
La dichiarazione
«Oggi destiniamo l’intero ammontare di quel tesoretto al più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni»
Fonte: YouTube | 1 maggio 2023
Pagella Politica
Verdetto sintetico
La presidente del Consiglio è smentita dai numeri.
In breve
  • Il decreto “Lavoro” usa tra i 3 e i 4 miliardi di euro per aumentare il taglio temporaneo del cuneo fiscale introdotto con l’ultima legge di Bilancio, che aveva stanziato circa 5 miliardi di euro. TWEET
  • Negli ultimi anni almeno due governi, quelli di Mario Draghi e di Matteo Renzi, hanno ridotto il cuneo fiscale con risorse maggiori. TWEET
Lunedì 1° maggio il governo ha approvato un decreto-legge che, tra le altre cose, riduce il cosiddetto “cuneo fiscale”, ossia la differenza tra il lordo e il netto in busta paga, di cui fanno parte le imposte e i contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori. 

In un video la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che il governo userà un «tesoretto di 4 miliardi di euro» per finanziare il «più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni».

È davvero così? Abbiamo verificato e la presidente del Consiglio è smentita dai numeri.

Che cosa c’è nel decreto “Lavoro”

Il testo ufficiale del decreto approvato il 1° maggio, ribattezzato dalla stampa “decreto Lavoro”, non è ancora disponibile: il suo contenuto è stato riassunto dal governo in un comunicato stampa, sebbene negli ultimi giorni siano circolate alcune bozze del provvedimento. Nel comunicato il governo ha spiegato che da luglio a dicembre 2023, per i redditi fino a 35 mila euro lordi annui, saranno ridotti di 4 punti percentuali i contributi previdenziali, che fanno parte del cuneo fiscale (ma che non sono «tasse»).

Nella relazione che accompagna il Documento di economia e finanza (Def), pubblicato il 13 aprile, il governo aveva anticipato che avrebbe finanziato questa misura con oltre 3 miliardi di euro, facendo ricorso a un nuovo scostamento di bilancio (approvato dal Parlamento il 28 aprile). Questa cifra è quella a cui fa riferimento Meloni quando parla di «tesoretto»: grazie a una crescita del Pil nel 2023 migliore delle aspettative, il governo ha deciso di mantenere invariato il rapporto tra il deficit e il Pil stabilito in precedenza, dedicando le risorse in più a debito proprio al taglio del cuneo fiscale. Secondo fonti stampa, alla fine per questo provvedimento le risorse destinate del decreto “Lavoro” potrebbero raggiungere i 4 miliardi di euro (ricordiamo che questo stanziamento vale per i sei mesi tra luglio e dicembre). Per conoscere i numeri definitivi bisogna però attendere la pubblicazione del testo ufficiale del decreto-legge.

Con la legge di Bilancio per il 2023, approvata dal Parlamento alla fine del 2022, il governo Meloni aveva già stanziato circa 5 miliardi di euro per ridurre quest’anno il cuneo fiscale. Con queste risorse era stato confermato il taglio del 2 per cento introdotto temporaneamente dal governo Draghi per i redditi fino a 35 mila euro ed era stato alzato al 3 per cento il taglio per chi guadagna fino a 25 mila euro l’anno. Con il decreto “Lavoro”, dunque, fino alla fine di quest’anno il taglio per queste due fasce di reddito salirà rispettivamente al 6 per cento e al 7 per cento.

Il taglio del governo Draghi

Numeri alla mano, i 3 o 4 miliardi di euro destinati dal governo Meloni al taglio del cuneo fiscale con il decreto “Lavoro” non sono il «più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni». Altri governi hanno infatti stanziato risorse più alte per questo obiettivo.

Per esempio il governo di Mario Draghi, con la legge di Bilancio per il 2022, ha stanziato circa 7 miliardi di euro per la riduzione dell’Irpef, ossia l’imposta sul reddito delle persone fisiche (quella a carico dei lavoratori). Il governo Draghi aveva anche ridotto di un miliardo di euro circa l’Irap, un’imposta pagata da alcune categorie di imprese e dai lavoratori autonomi. Nella legge di Bilancio c’erano poi 1,8 miliardi di euro per ridurre temporaneamente per tutto il 2022 di 0,8 punti percentuali i contributi previdenziali per i redditi fino a 35 mila euro. Ad agosto 2022 il decreto “Aiuti-bis” aveva aumentato questo taglio di ulteriori 1,2 punti percentuali, con un costo per lo Stato di oltre un miliardo di euro, portando il taglio al 2 per cento (quello confermato dal governo Meloni con l’ultima legge di Bilancio). 

Questo primo confronto dà dunque torto a Meloni: già nel 2022 c’era stato un taglio del cuneo fiscale superiore a quello introdotto dal decreto “Lavoro”. Si potrebbe obiettare che la presidente del Consiglio, nel rivendicare il primato del suo governo, abbia fatto riferimento alla somma tra le risorse stanziate con il decreto “Lavoro” e quelle nella legge di Bilancio per il 2023. Nel complesso le risorse destinate al taglio del cuneo fiscale si aggirerebbero tra gli 8 e i 9 miliardi di euro. Ma come abbiamo visto, le risorse stanziate dal governo Draghi, se si sommano tra loro, sono comunque superiori.

Gli 80 euro del governo Renzi

Andando più indietro nel tempo, si può fare un altro confronto con il cosiddetto “bonus 80 euro”, introdotto nel 2014 dal governo di Matteo Renzi. Questa misura consisteva in una detrazione di 960 euro l’anno per i lavoratori dipendenti, che di fatto si ritrovavano in busta paga 80 euro in più ogni mese. La detrazione era fissa fino ai 24 mila euro di reddito e calava fino ad azzerarsi una volta arrivati ai 26 mila. Il costo del bonus 80 euro era di oltre 9 miliardi di euro l’anno, secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio, un organismo indipendente che vigila sui conti dello Stato.

Anche in questo caso le risorse destinate al “bonus 80 euro” erano superiori a quelle previste dal taglio temporaneo del governo Meloni con il decreto “Lavoro”. 

Nel 2020 il secondo governo di Giuseppe Conte aveva poi deciso di aumentare il bonus da 80 euro a 100 euro mensili per i redditi da lavoro dipendente fino a 26.600 euro lordi. Il bonus da 100 euro era stato concesso anche ai redditi fino a 28 mila euro, prima esclusi, ed era stato esteso ai redditi fino a 40 mila euro, ma con un valore decrescente. All’inizio l’estensione della platea valeva solo per la seconda metà del 2020 ed è stata poi stabilizzata con la legge di Bilancio per il 2021. Per finanziare l’ampliamento del bonus, oltre a utilizzare le risorse destinate già all’epoca al bonus, con la legge di Bilancio per il 2020 il secondo governo Conte aveva stanziato 3 miliardi di euro per il 2020 e 5 miliardi di euro per il 2021.

Se in futuro il governo Meloni decidesse di rifinanziare per tutto il 2024 il taglio dei contributi previdenziali introdotto per il 2023 con la legge di Bilancio e ora ampliato con il decreto “Lavoro” per la seconda metà dell’anno, dovrà trovare risorse per oltre 10 miliardi di euro.

Il verdetto

Secondo Giorgia Meloni, con il nuovo decreto “Lavoro” il suo governo ha stanziato risorse per il «più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni». Abbiamo verificato e la presidente del Consiglio è smentita dai numeri.

Il decreto “Lavoro” usa tra i 3 e i 4 miliardi di euro per aumentare il taglio temporaneo del cuneo fiscale introdotto con l’ultima legge di Bilancio, che aveva stanziato circa 5 miliardi di euro.

Negli ultimi anni almeno due governi, quelli di Mario Draghi e di Matteo Renzi, hanno ridotto le tasse sul lavoro con risorse maggiori.

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