Non è vero che ci sono sempre più pensionati e meno lavoratori

Meloni dice che ci sono «sempre più persone da mantenere e sempre meno persone che lavorano». I numeri dicono un’altra cosa, anche se alcune previsioni restano poco incoraggianti
ANSA
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Martedì 18 aprile, in visita al Salone del Mobile a Milano, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha parlato (min. 0:52) della crisi demografica che colpisce l’Italia da anni, dicendo che il Paese ha un «problema di tenuta» del «sistema economico e sociale». Secondo Meloni in Italia ci sono infatti «sempre più persone da mantenere e sempre meno persone che lavorano». La presidente del Consiglio ha poi ribadito che il governo vuole risolvere questo problema con investimenti sulla natalità e sull’occupazione femminile, e non con l’immigrazione. 

Ma è vero che in Italia il numero dei pensionati continua ad aumentare in rapporto al numero dei lavoratori? Per quanto possa stupire, la risposta in realtà è no. Questo comunque non significa che nel medio e lungo periodo il sistema previdenziale italiano non possa avere problemi.

Il rapporto tra pensionati e lavoratori

Secondo i dati più aggiornati di Istat, nel 2021 in Italia c’erano (Tavola 1) 717 beneficiari di pensioni ogni mille occupati. Nel 2000, il primo anno per cui sono a disposizione i dati, i beneficiari erano 757. In oltre vent’anni un calo c’è dunque stato: il numero di pensionati rispetto al numero dei lavoratori è calato e non aumentato come dice Meloni, salvo alcune eccezioni tra singoli anni. Un calo c’è anche considerando solo i beneficiari delle cosiddette “pensioni Ivs”, ossia le pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (quest’ultime sono le pensioni riconosciute, solitamente al coniuge, in caso di morte di un pensionato). Nel 2021 i beneficiari di pensioni Ivs erano 624 ogni mille occupati, nel 2000 erano 683 (Grafico 1).
Grafico 1. Rapporto tra il numero di pensionati e occupati – Fonte: Istat
Due fattori spiegano perché negli anni è calato il rapporto tra numero di pensionati e occupati. Da un lato alcune riforme hanno contribuito a contenere l’uscita dal mercato del lavoro, come si vede dal 2013 in poi per effetto della cosiddetta “legge Fornero”, entrata in vigore l’anno prima. Dall’altro lato, escludendo la parentesi del 2020 con la pandemia di Covid-19, il numero di occupati in Italia è aumentato, anche per effetto della crescita degli occupati nelle fasce più anziane di popolazione, la cui pensione è stata posticipata. A gennaio 2023 gli occupati nel nostro Paese erano oltre 23,3 milioni, il numero più alto mai registrato da Istat.  

Un altro indicatore mostra perché non è vero che ci sono sempre meno lavoratori rispetto al numero dei pensionati (nel 2021 i beneficiari di pensioni di anzianità e vecchiaia erano 11,3 milioni, nel 2012 11,4 milioni [1]). Secondo i dati più aggiornati elaborati da Itinerari previdenziali, un ente indipendente che si occupa di previdenza sociale, nel 2021 in Italia c’erano (pag. 154) 1,42 occupati per ogni pensionato. Nel 2000 erano 1,29, mentre il valore più alto si è toccato nel 2019, prima della pandemia, con 1,44. 

Numeri alla mano, quindi, negli ultimi dieci anni è aumentato il peso di chi versa i contributi previdenziali rispetto a chi percepisce la pensione. Ma come anticipato ci sono altri numeri meno incoraggianti.

I dati meno incoraggianti

Partiamo dalla spesa per le pensioni. Secondo Istat la spesa pensionistica in Italia ha raggiunto (Tavola 1) nel 2021 un valore pari al 17,6 per cento del Pil. Nel 2000 era pari al 14 per cento. L’ultimo Documento di economia e finanza (Def), pubblicato lo scorso 13 aprile dal governo Meloni, prevede che la spesa pubblica in pensioni in rapporto al Pil continuerà ad aumentare almeno fino al 2042. Il Def utilizza un metodo di calcolo diverso rispetto all’Istat e fonda i suoi calcoli, tra le altre cose, su previsioni piuttosto ottimistiche sulla crescita dell’economia italiana. 

La spesa in pensioni aumenterà e bisogna chiedersi se le risorse riusciranno a stare dietro a questa crescita. Secondo le elaborazioni di Itinerari previdenziali, dal 2000 in avanti è peggiorato il saldo tra il valore delle prestazioni pensionistiche erogate e il valore dei contributi previdenziali incassati. Detta altrimenti, con gli anni si è allargata (pag. 153) la distanza tra uscite ed entrate: nel 2000 era di circa 7 miliardi di euro, nel 2021 era di circa 31 miliardi. 

Il calo della natalità e l’invecchiamento della popolazione sta portando poi al continuo peggioramento di un altro indicatore, il cosiddetto “tasso standardizzato di pensionamento”. Secondo Istat nel 2018 c’erano (Tavola 3) 259 pensionati ogni mille abitanti in Italia: nel 2019 erano 260, nel 2020 263 e nel 2021 267. In rapporto alla popolazione dunque ci sono sempre più pensionati. E in base alle previsioni le cose sono destinate a peggiorare nel medio e lungo termine. Nel 2019 l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha infatti pubblicato uno studio, intitolato Working better with age, dove ha calcolato che nel 2050 l’Italia rischia di avere più persone con almeno 50 anni di età che non lavorano rispetto a persone occupate. La situazione peggiore tra gli oltre 40 Paesi presi in considerazione. Ricordiamo che a oggi il tasso di occupazione dell’Italia è il più basso tra i 27 Paesi membri dell’Unione europea, insieme a quello della Grecia.

La questione dei migranti

Come anticipato, secondo Meloni il «problema di tenuta» del «sistema economico e sociale» non si risolve con l’immigrazione. Al di là della legittima posizione politica, è interessante notare che il Def approvato dal suo stesso governo contiene una previsione che sembra andare in una direzione opposta a questa dichiarazione. 

Più nello specifico il Def presenta quello che in gergo tecnico è chiamato “esercizio di sensitività”. In parole semplici il documento si chiede che cosa succederebbe entro il 2070 alla sostenibilità del debito pubblico se l’immigrazione netta, ossia la differenza tra il numero degli immigrati e quello degli emigrati, dovesse aumentare o calare. Come mostra il Grafico 2, le elaborazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze dicono che, rispetto a uno scenario base, un calo di un terzo dell’immigrazione netta porterebbe a un aumento del rapporto tra debito pubblico e Pil, mentre una crescita dell’immigrazione a un calo sul lungo periodo.
Grafico 1. Esercizio di sensitività sull’andamento del debito pubblico, in rapporto al Pil, a un aumento o a una riduzione del flusso netto di immigrati – Fonte: Def
Grafico 1. Esercizio di sensitività sull’andamento del debito pubblico, in rapporto al Pil, a un aumento o a una riduzione del flusso netto di immigrati – Fonte: Def
Grafici simili erano presenti anche negli Def approvati dai precedenti governi. Quando erano all’opposizione, vari esponenti di Fratelli d’Italia hanno accusato i governi di turno di volere più sbarchi di migranti per far crescere l’economia. Come abbiamo visto, però, queste sono previsioni e non obiettivi economici stabiliti dai governi. Valeva per quelli del passato, vale anche per quello guidato da Meloni. 

***


[1] Selezionare “vecchiaia e anzianità” in “Tipologia di pensione” e “2012-2021” in “Seleziona periodo”.

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