Lo scostamento di bilancio è stato respinto per colpa del taglio dei parlamentari?

Lo sostengono alcuni esponenti della maggioranza, ma il loro ragionamento non sta in piedi
ANSA
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Venerdì 28 aprile alcuni deputati della maggioranza di centrodestra hanno dato la colpa al taglio dei parlamentari per la mancata approvazione dello scostamento di bilancio contenuto nella relazione che accompagna il Documento di economia e finanza (Def). Il giorno prima, infatti, alla Camera dei deputati la relazione ha ricevuto 195 voti favorevoli, sei in meno rispetto alla soglia della maggioranza assoluta necessaria per l’approvazione.

«Quello che abbiamo visto ieri è una conseguenza di quella furia iconoclasta che ha portato a un taglio lineare dei parlamentari, senza preoccuparsi del fatto che i ruoli apicali della Camera dei deputati, a differenza del Senato, sono rimasti esattamente gli stessi», ha dichiarato il capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari, durante la nuova discussione in aula che il 28 aprile ha poi portato all’approvazione dello scostamento di bilancio. Una posizione simile è stata espressa anche dal capogruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti, secondo cui «alcuni quorum, funzionali per rendere efficaci le votazioni, che sono stati stabiliti quando questa camera era di 630 componenti, sono rimasti immutati, nonostante la Camera sia stata ridotta a 400 componenti».

Ma questa difesa degli esponenti della maggioranza sta in piedi? In breve la risposta è no. 

La riforma del taglio dei parlamentari

A partire dall’attuale legislatura, iniziata dopo le elezioni dello scorso 25 settembre, la Camera è composta da 400 deputati, mentre prima il numero di deputati era fissato a 630. Con la riforma costituzionale approvata nella scorsa legislatura (e confermata con un referendum a settembre 2020) non è stato ridotto solo il numero dei deputati, ma anche quello dei senatori, passati da 315 a 200, senza contare i senatori a vita.

Curiosità: la riforma del taglio dei parlamentari è stata approvata con quattro votazioni, due alla Camera e due al Senato. In quattro votazioni su quattro la Lega aveva votato a favore del taglio, quando era al governo insieme al Movimento 5 stelle, e poi a ottobre 2019, nella votazione finale alla Camera, quando era passata all’opposizione del secondo governo Conte. «Non è la quantità di parlamentari che fa la differenza, è la qualità dei parlamentari», aveva dichiarato il deputato della Lega Alberto Stefani il 9 maggio 2019, annunciando il voto favorevole della Lega alla riforma.

La soglia della maggioranza assoluta

In base all’articolo 81 della Costituzione uno scostamento di bilancio deve essere approvato sia dalla Camera sia dal Senato con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei loro membri. Il numero dei deputati è 400, quindi alla Camera la maggioranza assoluta si ottiene con 201 voti. In passato, con 630 deputati questa soglia era invece fissata a 316 voti, un numero ben più alto di quella attuale. Come detto, il 27 aprile la relazione è stata respinta perché ha ricevuto 195 voti favorevoli e 19 contrari, mentre 105 deputati si sono astenuti. Il giorno dopo la Camera ha approvato la nuova risoluzione sullo scostamento di bilancio con 221 voti favorevoli e 116 contrari, dunque con 20 voti oltre la soglia della maggioranza assoluta.

«In questo caso il taglio dei parlamentari non ha inciso sul raggiungimento della maggioranza assoluta, dal momento che il principio della maggioranza assoluta vale sia che i deputati siano 630 che 400», ha spiegato a Pagella Politica Alfonso Celotto, professore di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre. Tra l’altro con il taglio dei parlamentari la soglia si è abbassata da 316 a 201.

La questione dei regolamenti

Il ragionamento di Molinari e Foti poggia però su un’altra questione, che riguarda i regolamenti di Camera e Senato. Durante la scorsa legislatura il regolamento del Senato è stato modificato per adattarsi meglio al futuro taglio dei parlamentari. Tra le novità principali del testo ci sono la riduzione del numero di commissioni permanenti da 14 a dieci, la ridefinizione di alcune soglie numeriche e l’introduzione di alcune norme per scoraggiare il cosiddetto “trasformismo parlamentare”, ossia i cambi di gruppi parlamentari da parte dei senatori. 

La Camera ha modificato il suo regolamento lo scorso novembre, all’inizio di questa legislatura, con novità meno marcate rispetto a quelle del Senato. Per esempio è stato ridotto il numero minimo di deputati che in aula possono richiedere la votazione nominale su una proposta di legge, ossia quella a scrutinio palese, che è passato da 20 a 14. È stato poi abbassato il numero minimo di deputati per presentare una mozione, ossia un atto di indirizzo al governo, che è passato da dieci a sette, mentre la soglia minima di deputati per presentare un emendamento, cioè una richiesta di modifica a una proposta di legge, è passata da 20 a 14. 

Come correttamente sottolineato da Molinari, le commissioni parlamentari – quelle che esaminano le proposte di legge prima che arrivino in aula – sono rimaste 14, quattro in più rispetto a quelle del Senato. Il ragionamento del capogruppo della Lega e di altri esponenti della maggioranza è il seguente: alcuni deputati ricoprono incarichi nelle commissioni parlamentari, ma essendo calato il numero dei primi, e non quello delle seconde, c’è il rischio che in alcune votazioni i deputati non possono essere presenti in aula, facendo aumentare la possibilità di non raggiungere la soglia della maggioranza assoluta. 

Come abbiamo visto è vero che il regolamento della Camera non è ancora stato del tutto adeguato al taglio dei parlamentari, a differenza di quanto avvenuto al Senato. Ma il 27 aprile ben 25 deputati dei partiti di maggioranza non hanno partecipato al voto sullo scostamento di bilancio senza essere “in missione” (nello specifico 11 del gruppo parlamentare della Lega, nove del gruppo di Forza Italia e cinque di Fratelli d’Italia). Con questa espressione si fa riferimento ai parlamentari che, assenti in aula, sono impegnati in altri impegni istituzionali, come appunto i lavori nelle commissioni permanenti. Fossero stati presenti questi 25 deputati la soglia della maggioranza assoluta sarebbe stata ampiamente raggiunta.

«La votazione per approvare il Documento di economia e finanza e la relazione che lo accompagna era attesa da giorni: tutti i gruppi parlamentari sapevano di questo appuntamento importante», ha sottolineato Celotto. «Mi sembra dunque difficile che i parlamentari assenti potessero avere tutti altri impegni. Credo che il motivo di fondo sia stata solo una certa disorganizzazione tra i gruppi parlamentari della maggioranza». 

Nell’ipotesi in cui tutti i parlamentari assenti dei partiti di maggioranza fossero stati in missione, il ragionamento di Molinari avrebbe avuto più senso. Ma in questo caso non è stato così.

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