Il fuggi fuggi da Azione può favorire il centrodestra

Il partito ha perso quattro parlamentari in pochi giorni: questo potrebbe aumentare il potere della maggioranza alla Camera e al Senato  
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
Nel giro di pochi giorni Azione, il partito di Carlo Calenda, ha perso quattro parlamentari, rispettivamente due deputati e due senatori. Il primo ad andarsene in ordine di tempo è stato il deputato Enrico Costa, che ha annunciato la sua uscita da Azione il 16 settembre, tornando in Forza Italia, partito che aveva lasciato ad agosto 2020. Il giorno dopo hanno abbandonato il partito anche la deputata Mara Carfagna e le senatrici Mariastella Gelmini e Giusy Versace, che sono passate per ora nel gruppo Misto di Camera e Senato. 

I quattro parlamentari sono usciti da Azione perché hanno detto di non condividere la decisione del partito di allearsi con il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle in occasione delle prossime elezioni regionali, in Emilia-Romagna, Liguria e Umbria, con la prospettiva poi di un’alleanza più stabile con i partiti di Elly Schlein e Giuseppe Conte. «Rispettiamo le scelte personali, ma riteniamo grave e incoerente passare dall’opposizione alla maggioranza a metà legislatura contravvenendo così al mandato degli elettori», ha risposto Azione su X. Il 18 settembre, nel corso di una riunione della direzione nazionale del partito, Calenda ha detto che il posizionamento di Azione è «distinto dal “Campo largo” [ossia la possibile alleanza tra i partiti all’opposizione, ndr] e dai populismi di destra e di sinistra».

In ogni caso, con l’uscita di questi quattro parlamentari Azione ha perso esponenti di rilievo. In particolare, Costa e Gelmini erano entrambi vicesegretari del partito, mentre Carfagna era la presidente. Al momento non è chiaro da chi saranno sostituiti e sul sito ufficiale di Azione non è più visibile la pagina dedicata alla segreteria nazionale. Le uscite di Costa, Gelmini e Carfagna dal partito di Calenda potranno comunque cambiare anche alcuni equilibri all’interno delle giunte e delle commissioni in Parlamento, con tutta probabilità a favore dei partiti che sostengono il governo Meloni.

Il ruolo di Costa

Partiamo dalla Camera dei deputati, dove Costa e Carfagna – oltre all’incarico di deputati – ricoprono ruoli istituzionali e di vertice in alcune giunte. 

Ex ministro degli Affari regionali nei governi Renzi e Gentiloni, Costa è tra i deputati più longevi: è alla sua quinta legislatura consecutiva dal 2006, quando è stato eletto per la prima volta alla Camera con Forza Italia. In questo arco di tempo Costa ha cambiato vari partiti, tutti nel campo del centrodestra, fino ad arrivare ad Azione con cui è stato rieletto alle elezioni politiche del 25 settembre 2022. A novembre dello stesso anno, Costa è stato nominato all’unanimità presidente della Giunta per le autorizzazioni. 

La Giunta per le autorizzazioni – che al Senato si chiama Giunta per le elezioni e le immunità – ricopre un ruolo sensibile a livello parlamentare: nel caso di accuse giudiziarie nei confronti dei deputati, questa giunta svolge infatti un primo esame sulle richieste di avviare un processo e sui provvedimenti coercitivi della libertà personale dei parlamentari. I deputati, così come i senatori, senza l’autorizzazione da parte della camera di appartenenza non possono essere sottoposti a perquisizione, né possono essere arrestati, a meno che non ci sia una sentenza irrevocabile di condanna. Dopo aver dato il suo parere sulla richiesta di autorizzazione a procedere su un deputato, la giunta per le elezioni rinvia l’esame finale all’aula dando una sua primaria valutazione sul caso. 

A volte le decisioni delle giunte per le elezioni hanno fatto discutere e sono state sconfessate dall’aula. Per esempio, a luglio 2020, la maggioranza dei senatori aveva votato contro la relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, che due mesi prima aveva chiesto di negare l’autorizzazione a procedere al processo nei  confronti di Matteo Salvini. Il processo riguardava i fatti avvenuti ad agosto 2019: all’epoca era in carica il primo governo Conte, supportato da Movimento 5 Stelle e Lega, e l’allora ministro dell’Interno Salvini impedì per giorni lo sbarco in Italia dei migranti salvati dalla nave Ong Open Arms. Per questi fatti di recente la Procura di Palermo ha chiesto per Salvini una condanna a 6 anni di carcere. 

La Giunta per le autorizzazioni affronta un tema sensibile per i partiti, ossia quello della giustizia e delle accuse nei confronti dei politici. Come hanno spiegato fonti parlamentari a Pagella Politica, per una questione di garanzia, sia alla Camera che al Senato queste giunte sono di solito affidate a inizio legislatura alla guida di parlamentari dell’opposizione. Per questo due anni fa, in qualità di deputato dell’opposizione, Costa è stato eletto all’unanimità come presidente della giunta per le autorizzazioni della Camera. Al Senato invece è stato eletto come presidente della stessa giunta il senatore del PD Dario Franceschini. 

Insomma, con il passaggio di Costa a Forza Italia, la giunta per le autorizzazioni della Camera passa sotto la guida di un deputato della maggioranza. «Non ho intenzione di dimettermi al momento: se me lo chiedessero i vertici della Camera lo farei, ma i regolamenti parlamentari non prevedono che io debba abbandonare, non ci sono le basi giuridiche», ha detto a Pagella Politica lo stesso Costa. 

La regola di affidare alle opposizioni la guida delle giunte per le autorizzazioni è effettivamente una prassi parlamentare, ma non è un obbligo espressamente previsto dal regolamento della Camera. «Con il passaggio al gruppo parlamentare di Forza Italia il collega Enrico Costa dovrebbe fare un passo indietro e lasciare la presidenza della Giunta per le Autorizzazione. Tale organismo è tradizionalmente affidato alle opposizioni: lasciando Azione, ci aspettiamo che Costa sia conseguente», ha detto a Pagella Politica la capogruppo di Alleanza Verdi-Sinistra alla Camera Luana Zanella. 

Al di là che Costa si dimetta o meno, resta il fatto che, senza nessun cambio di maggioranza, la giunta per le elezioni della Camera non è più guidata dai partiti di opposizione. Tra l’altro Costa potrà dare un contributo importante al centrodestra in Commissione Giustizia, di cui fa parte, e in cui il centrodestra ha avuto finora una maggioranza risicata: 17 deputati su 31, poco più della metà. Il regolamento della Camera stabilisce infatti che tutti i gruppi parlamentari siano rappresentati in maniera proporzionale nelle commissioni, ma non prevede espressamente l’obbligo per i deputati che cambiano gruppo di lasciare il loro posto in commissione. Al Senato il discorso è diverso: qui i parlamentari che cambiano gruppo parlamentare devono dimettersi dal loro ruolo, ma solo se si tratta dell’incarico in un ufficio di presidenza di una commissione.

L’incarico di Carfagna

La posizione di Carfagna – anche lei ex di Forza Italia – è più complessa. Al momento l’ex deputata di Azione non ha annunciato il passaggio ad altri partiti, ma secondo fonti stampa potrebbe aderire al gruppo Misto della Camera o a Noi Moderati, il partito centrista di Maurizio Lupi che sostiene il governo Meloni insieme a Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. 

Per ora Carfagna risulta ancora iscritta al gruppo parlamentare di Azione alla Camera, ma il suo futuro politico sarà importante per gli equilibri in assemblea. Dall’inizio della legislatura Carfagna ricopre infatti il ruolo di segretaria di presidenza dell’assemblea. Nei lavori parlamentari, i segretari di presidenza si occupano di vigilare sulle operazioni di voto, sulla correttezza della trascrizione dei resoconti e sul regolare svolgimento delle riunioni dell’aula. 

Per prassi, i segretari di presidenza rappresentano di solito tutti i gruppi parlamentari, e dunque se Carfagna passasse al gruppo Misto o a un altro partito dovrebbe dimettersi per lasciare il posto a un nuovo rappresentante di Azione, che alla Camera ha ancora dieci deputati. Lasciare il ruolo di segretario di presidenza comporta però la perdita di una serie di “benefit”. Come confermato da fonti parlamentari, i segretari di presidenza, come gli altri parlamentari che svolgono ruoli di vertice alla Camera, hanno il diritto di assumere uno staff di collaboratori a spese della Camera stessa. Al di là del ruolo di segretario, se aderisse a Noi Moderati Carfagna potrebbe aiutare il centrodestra in un altra commissione di primo piano alla Camera, la Commissione Affari costituzionali. Qui la situazione è la stessa che in Commissione Giustizia: pure in questo caso il centrodestra può contare al momento sui voti di 17 deputati su 31. 

Rimanendo alla Camera, lo scorso 9 settembre l’ex deputato di Italia Viva Luigi Marattin ha lasciato il suo partito per aderire al gruppo Misto. Anche Marattin ha motivato la sua scelta dicendo di non condividere la scelta del leader Matteo Renzi di allearsi con il PD e il Movimento 5 Stelle alle prossime elezioni regionali. Non è chiaro se Marattin deciderà di aderire a un altro partito o se deciderà di restare nel gruppo Misto. Di sicuro, il deputato è una delle figure più esperte all’interno della Commissione Bilancio della Camera.

Il ruolo di Gelmini in Vigilanza Rai

La situazione di Gelmini al Senato è simile a quella di Carfagna alla Camera. In questa legislatura Gelmini (ex Forza Italia) fa parte della Commissione Affari costituzionali del Senato e, come Carfagna, è probabile un suo passaggio a Noi Moderati. Questo potrebbe consentire al centrodestra di avere una maggioranza più ampia a fronte di quella piuttosto ridotta che ha attualmente. Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Noi Moderati possono contare sui voti di 12 parlamentari su 22 in questa commissione del Senato. In questo senso, il passaggio di Gelmini in Noi Moderati potrebbe fare la differenza. Come abbiamo spiegato in altre occasioni, in questa legislatura si sono già verificati alcuni casi in cui a livello di commissioni parlamentari il centrodestra non ha avuto i numeri per far approvare alcuni provvedimenti, complice la maggioranza risicata e le assenze di suoi rappresentanti. 

Se aderisse a Noi Moderati, Gelmini potrebbe essere una pedina in più per la maggioranza all’interno della Commissione di Vigilanza Rai. Al momento l’ex ministra risulta come componente della commissione in rappresentanza del gruppo Misto. Anche nel caso della Commissione di Vigilanza Rai il regolamento interno prevede che i gruppi parlamentari siano rappresentanti in maniera proporzionale all’interno dell’organo. Allo stesso tempo però, il regolamento prevede che la sostituzione dei membri attualmente in carica avviene «in caso di dimissioni, incarico governativo e cessazione dal mandato elettorale», tutte circostanze che non riguardano per ora Gelmini. 

La Commissione di Vigilanza Rai è un organismo importante nei lavori parlamentari. La commissione è composta da 20 deputati e 20 senatori e ha vari compiti, tra cui nominare alcuni dei componenti del consiglio di amministrazione della Rai e di controllare il rispetto delle direttive date al servizio pubblico. Per garantire il pluralismo dell’informazione, la presidenza di questa commissione è affidata di solito a un membro dei partiti dell’opposizione: attualmente la presidente della Commissione di Vigilanza è la senatrice del Movimento 5 Stelle Barbara Floridia. Tra l’altro, nelle prossime settimane, dopo l’elezione da parte delle camere dei membri del consiglio di amministrazione, la Commissione di Vigilanza Rai sarà chiamata a confermare la nomina del nuovo presidente del consiglio di amministrazione per sostituire la dimissionaria Marinella Soldi. Per eleggere il nuovo presidente occorre almeno una maggioranza dei due terzi della commissione di vigilanza, quindi di almeno 27 componenti. In commissione il centrodestra può contare sui voti di 24 parlamentari, che salirebbero a 25 con quello di Gelmini. A quel punto alla maggioranza servirebbero soltanto altri due voti per eleggere il presidente della Rai senza dover fare accordi con i partiti di opposizione maggiori, come il Partito Democratico o il Movimento 5 Stelle. «Gelmini dovrebbe lasciare il suo incarico in commissione di vigilanza. Fino a quattro giorni fa veniva alle riunioni dell’opposizione su quale strategia adottare sulla nomina dei componenti del consiglio di amministrazione, questo non è accettabile», ha detto a Pagella Politica un parlamentare delle opposizioni in commissione di vigilanza.

Per quanto riguarda la senatrice Giusy Versace, la situazione è simile a quella di Carfagna alla Camera. Versace ricopre infatti il ruolo di segretaria di presidenza e dovrebbe essere sostituita da un altro senatore di Azione. Al Senato però la situazione per il partito di Calenda non è semplice. Il gruppo dei senatori di Azione fa già parte del gruppo Misto e dopo le uscite di Gelmini e Versace sono rimasti solo in due: il senatore Marco Lombardo e lo stesso Calenda. Come anticipato, invece, la situazione alla Camera è diversa, dato che il gruppo di Azione può ancora contare su dieci deputati. 

Dal canto suo, Calenda si è detto «deluso» in particolare dalla decisione presa da Gelmini e Carfagna, sostenendo che dopo la fine dell’alleanza con Italia Viva, avvenuta ad aprile 2023, le due parlamentari avevano indebolito i loro rapporti con Azione. 

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