Maggioranza e opposizione fanno a gara a chi diserta di più il Parlamento

I partiti che sostengono il governo Meloni e gli avversari si stanno sfidando a vicenda, bloccando l’elezione dei vertici di diversi organismi
Ansa
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In queste settimane i partiti di maggioranza non hanno partecipato a diverse sedute parlamentari, mandando a vuoto l’elezione di alcuni ruoli chiave all’interno della Camera e del Senato. Per esempio il 30 ottobre i partiti che sostengono il governo hanno disertato per la terza volta consecutiva l’elezione del nuovo presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera, l’organo che si esprime sui processi giudiziari che coinvolgono i deputati. Secondo fonti parlamentari, la decisione dei partiti della maggioranza è stata una risposta alla scelta dei partiti all’opposizione di non partecipare lo scorso 8 ottobre alla votazione per l’elezione di un giudice della Corte Costituzionale e alla loro indisponibilità a confermare la nuovo presidente della Rai, Simona Agnes, in Commissione di Vigilanza Rai. 

Come anticipato, non è la prima volta che nell’ultimo periodo i partiti della maggioranza e dell’opposizione disertano le votazioni, anzi: considerando l’episodio più recente, nel mese di ottobre sono sette le votazioni in cui i due schieramenti si sono “sfidati”, scegliendo di non partecipare ai lavori di giunte, commissioni e aule parlamentari, causando in alcuni casi uno stallo istituzionale.

“Ritirarsi sull’Aventino” 

Nel gergo giornalistico e politico, quando i partiti che non sostengono il governo decidono di non partecipare ai lavori parlamentari per protesta contro la maggioranza si dice che “fanno l’Aventino” o “si ritirano sull’Aventino”. Questa espressione ha una lunga storia, che risale all’epoca degli antichi romani. 

«Il ritiro sull’Aventino è un fatto che risale alla Roma del V secolo avanti Cristo, quando la plebe fece uno sciopero, smise di lavorare e si ritirò sul colle Aventino, spingendo così i patrizi, la classe nobile dell’epoca, a concedere loro dei rappresentati politici, i cosiddetti “tribuni della plebe”», ha spiegato a Pagella Politica Michele Cortelazzo, professore emerito di Linguistica all’Università di Padova. In seguito, l’espressione “ritirarsi sull’Aventino” è entrata a tutti gli effetti nel linguaggio parlamentare nell’Italia monarchica, durante la dittatura fascista. «All’epoca, nel 1924 i parlamentari cattolici decisero di non partecipare più ai lavori parlamentari fino a quando Benito Mussolini non avesse ammesso le sue responsabilità per il delitto di Giacomo Matteotti. L’obiettivo era quello di far cadere il governo di Mussolini, ma non andò a buon fine», ha spiegato Cortelazzo. «In seguito, l’espressione “fare l’Aventino” si è dunque connotata nel tempo come una forma di protesta non violenta, tipica dei partiti di opposizione, volta a lanciare un messaggio, soprattutto di carattere etico e morale, alla maggioranza di turno».

La pratica dell’Aventino da parte delle opposizioni non sempre porta a risultati concreti. La maggioranza infatti, se vuole, può comunque proseguire i lavori parlamentari senza particolari difficoltà. Per esempio, lo scorso anno i parlamentari del Partito Democratico hanno abbandonato per mesi le commissioni di Camera e Senato in presenza del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro (Fratelli d’Italia), chiedendo le sue dimissioni e le scuse per aver definito «un inchino ai mafiosi» la visita in carcere di alcuni deputati del partito di Elly Schlein all’anarchico Alfredo Cospito. In quel caso, la protesta del PD non ha sortito particolari effetti, dato che Delmastro non si è dimesso dal suo incarico.

Il giudice costituzionale e il CDA della Rai

Più di recente, i partiti di opposizione hanno messo in atto l’Aventino lo scorso 8 ottobre, in occasione dell’ottavo scrutinio per l’elezione di un giudice della Corte Costituzionale. In questo caso la strategia ha avuto successo. 

Da quasi un anno il Parlamento in seduta comune, ossia la Camera e il Senato riuniti insieme, non riesce a trovare un accordo per l’elezione del sostituto dell’ex presidente della Corte Costituzionale Silvana Sciarra, il cui mandato è scaduto a novembre 2023. La Costituzione prevede che i cinque giudici costituzionali nominati dal Parlamento siano eletti con voto segreto, con la maggioranza dei due terzi dei deputati e dei senatori riuniti insieme. Questa soglia corrisponde a 403 parlamentari sul totale dei 605 tra deputati e senatori attualmente in carica. Se per tre votazioni il Parlamento in seduta comune non riesce a eleggere nessun giudice la soglia scende a tre quinti, ossia per l’appunto a 363 parlamentari. Negli anni, complici le ampie maggioranza necessarie, i partiti hanno sempre accumulato ritardi nell’elezione di questi giudici, e lo stesso sta avvenendo in questa occasione. 

Nelle scorse settimane Fratelli d’Italia ha quindi spinto per provare a eleggere come giudice costituzionale Francesco Saverio Marini, attuale consigliere giuridico della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e autore della proposta di riforma costituzionale sul “premierato”, ossia l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Il nome di Marini è stato dibattuto sia per un suo eventuale conflitto di interessi — da giudice costituzionale Marini potrebbe dover valutare la legittimità costituzionale di una legge da lui stesso proposta — sia perché i partiti di maggioranza non hanno in Parlamento il numero di voti sufficiente per eleggerlo da soli, e avrebbero quindi bisogno dell’aiuto delle opposizioni. Il fatto che un giudice costituzionale abbia un legame con la politica non è comunque una novità: finora, più di un terzo di tutti i giudici della Corte Costituzionale ha avuto un’esperienza al governo o in Parlamento.   

L’8 ottobre i partiti di opposizione, contrari alla candidatura di Marini, non hanno partecipato all’ottavo scrutinio per l’elezione del giudice costituzionale. In questo modo, non avendo i voti sufficienti per eleggere Marini, la maggioranza ha deciso di fare nuovamente scheda bianca, per evitare di “bruciare” il proprio candidato. In assenza ancora di un accordo, il 30 ottobre sia i partiti di maggioranza sia quelli di opposizione hanno votato scheda bianca nel nono scrutinio per l’elezione del giudice costituzionale. Per eleggere il sostituto di Sciarra sarà dunque necessario un decimo scrutinio, la cui data non è ancora stata fissata.
Immagine 1. Il consigliere giuridico di Meloni, Francesco Saverio Marini, ospite della festa di Atreju nel 2023 – Fonte: Ansa
Immagine 1. Il consigliere giuridico di Meloni, Francesco Saverio Marini, ospite della festa di Atreju nel 2023 – Fonte: Ansa
In precedenza, il 26 settembre il PD, Azione e Italia Viva non avevano partecipato alla votazione per l’elezione dei quattro membri del nuovo Consiglio di amministrazione (CDA) della Rai, che sono espressione di alcuni dei partiti in Parlamento (“in quota”, si dice nel linguaggio politico e giornalistico). Al contrario, Alleanza Verdi-Sinistra e il Movimento 5 Stelle avevano partecipato al voto, contribuendo all’elezione come consiglieri di Roberto Natale (in quota Alleanza Verdi-Sinistra) e di Alessandro Di Majo (in quota Movimento 5 Stelle). 

Il PD, Azione e Italia Viva non avevano votato perché, secondo loro, prima di rinnovare i membri del CDA della Rai andrebbe riformata tutta la gestione della televisione pubblica. «L’Aventino è storicamente un modo con cui le opposizioni lanciano un messaggio politico. Non blocchiamo i lavori, perché non abbiamo i numeri, ma disertando una seduta lanciamo un messaggio, ossia l’idea che non siamo d’accordo a sottostare alla logica politica imposta dalla maggioranza», ha spiegato a Pagella Politica il deputato del PD Stefano Graziano, tra i principali esponenti del partito in Campania.

La strategia della maggioranza

La pratica di disertare le sedute o le votazioni parlamentari non è messa in atto solo dai partiti di opposizione, anzi: di recente sono i partiti di maggioranza a metterla in atto più di frequente.

Da diverse settimane lo stesso Graziano, che è esponente del PD in Commissione di Vigilanza Rai, sta denunciando l’assenza della maggioranza dalle sedute della commissione chiamata a confermare la nuova presidente della televisione pubblica, Simona Agnes. Figlia dell’ex direttore generale della Rai Biagio Agnes e con un passato in Telecom Italia, Agnes è stata indicata dal ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti il 26 settembre, e ora la sua nomina deve essere convalidata con il voto di almeno due terzi dei componenti della commissione che si occupa di vigilare sul servizio pubblico radiotelevisivo. 

La Commissione di Vigilanza è composta da 42 parlamentari (21 deputati e 21 senatori). La maggioranza dei due terzi necessaria a confermare Agnes corrisponde a 28 voti: al momento i partiti di centrodestra possono contare sui voti di 25 commissari, e quindi hanno bisogno di almeno altri tre voti per poter eleggere Agnes. Il 9 ottobre, in assenza di questi voti, la maggioranza ha disertato i lavori della commissione per programmare la votazione, costringendo la presidente della commissione Barbara Floridia (Movimento 5 Stelle) a convocare la votazione sulla nuova presidente della Rai l’11 ottobre. Pure in questo caso la maggioranza non ha partecipato al voto, e la stessa cosa si è ripetuta lo scorso 16 ottobre. Come per Marini, anche in questo caso l’obiettivo del centrodestra è di non “bruciare” la propria candidata, e così temporeggia nel tentativo di raccogliere i voti mancanti che servono alla conferma di Agnes.

Di recente, anche il presidente dei senatori del PD Francesco Boccia ha criticato l’atteggiamento dei partiti di maggioranza, domandandosi se il centrodestra stia mettendo in atto una sorta di “Aventino”. «Chi fa l’Aventino sono il suo gruppo del PD e altri gruppi della sinistra e delle minoranze», gli ha risposto il 10 ottobre il presidente del gruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri, tra i membri della Commissione di Vigilanza, criticando la scelta del PD di non aver partecipato all’ottavo scrutinio per il giudice costituzionale mancante, e per non aver partecipato al voto sui consiglieri della Rai in aula.
Immagine 2. La nuova presidente incarica della Rai Simona Agnes – Fonte: Ansa
Immagine 2. La nuova presidente incarica della Rai Simona Agnes – Fonte: Ansa
Una situazione simile si sta verificando da almeno due settimane per l’elezione del nuovo presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera. Questa giunta svolge un ruolo importante all’interno della Camera perché decide se un deputato può andare o meno a processo nel caso in cui sia accusato dal punto di vista giudiziario. L’elezione del nuovo presidente è necessaria perché lo scorso 23 settembre il deputato Enrico Costa si è dimesso dall’incarico, essendo passato da Azione a Forza Italia, e quindi dall’opposizione alla maggioranza. Il ruolo di presidente della Giunta per le autorizzazioni spetta però per prassi a un esponente dei partiti all’opposizione. 

Il deputato designato da questi partiti a prendere il posto di Costa come presidente della Giunta per le autorizzazioni è Devis Dori, esponente di Alleanza Verdi-Sinistra. Per essere eletto Dori ha bisogno però della maggioranza dei voti in giunta e quindi dei voti dei partiti di centrodestra, che dal 16 ottobre stanno disertando tutte le sedute della giunta. L’ultima in ordine di tempo è stata, per l’appunto, la seduta del 30 ottobre. Come detto, questo atteggiamento del centrodestra è una risposta all’indisponibilità da parte dei partiti all’opposizione di scendere a patti sull’elezione del giudice costituzionale e sulla conferma di Agnes come presidente della Rai. «In democrazia spetta tendenzialmente alla maggioranza di turno designare i nomi a lei più graditi. Non mi pare che in passato non siano state fatte nomine vicine alla politica. Altrimenti dovremmo fare una norma che vieta per esempio di eleggere giudici costituzionali con inclinazioni politiche. Ma penso che non sarebbe considerata costituzionale», ha detto a Pagella Politica il deputato della Lega Massimiliano Panizzut.
Aventino oppure ostruzionismo?

Secondo alcuni, l’atteggiamento della maggioranza non può essere considerato comunque un vero e proprio “Aventino”. «Per me quello della maggioranza non è “Aventino”: è “Colle Oppio”», ha detto provocatoriamente Graziano, facendo riferimento alla storica sede romana del Movimento Sociale Italiano, partito neofascista di cui Fratelli d’Italia è erede. «Il fatto che le opposizioni non partecipino ai lavori parlamentari non comporta il blocco di quest’ultimi. Invece, se è la maggioranza a non partecipare il rischio del blocco c’è, perché viene a mancare il numero legale e le sedute non si possono tenere», ha aggiunto il deputato del PD. Come abbiamo detto in precedenza, questo si è verificato effettivamente sia in occasione delle ultime sedute della Commissione di vigilanza Rai, sia in quella della Giunta per il regolamento della Camera, in cui in entrambi i casi la maggioranza non ha partecipato ai lavori.  

«Mi sembra che l’atteggiamento della maggioranza sia meglio classificabile come ostruzionismo, perché la loro assenza dai lavori parlamentari comporta il blocco dei lavori stessi, e questo non è per definizione “fare l’Aventino”», ha detto Cortelazzo. In ogni caso, secondo il professore non è escluso che l’utilizzo di questa espressione si possa estendere a tutte le forme di mancata partecipazione ai lavori parlamentari, sia dei partiti di maggioranza sia dei partiti di opposizione, ma dipenderà dall’uso che ne verrà fatto in futuro.

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