Perché la Corte Costituzionale ha bocciato il referendum sull’autonomia differenziata

Secondo i giudici, l’obiettivo del quesito non è chiaro e mette in discussione alcuni principi della Costituzione
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Il 20 gennaio la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum contro la nuova legge sull’autonomia differenziata. Il quesito referendario, sostenuto da quasi tutti i partiti all’opposizione e da varie associazioni, chiedeva di eliminare interamente la legge approvata a giugno dal Parlamento che stabilisce i principi e il percorso che devono seguire le regioni nel chiedere maggiore autonomia allo Stato. Allo stesso tempo, la Corte Costituzionale ha ritenuto validi altri cinque quesiti referendari, ossia quello per modificare le norme sulla concessione della cittadinanza agli stranieri e quattro referendum sul mercato del lavoro promossi dal sindacato CGIL. Per questi cinque quesiti si andrà a votare tra il 15 aprile e il 15 giugno: la data precisa dovrà essere fissata nelle prossime settimane dal presidente della Repubblica, su indicazione del Consiglio dei ministri. 

I cittadini italiani non potranno esprimersi invece sul referendum contro la legge sull’autonomia differenziata. In attesa della pubblicazione delle motivazioni alla base delle sua sentenza, la Corte Costituzionale ha riassunto le sue conclusioni in un comunicato stampa.

Che cosa sono i referendum abrogativi

Prima di entrare nel merito delle motivazioni della Corte, è necessaria una premessa per chiarire di cosa stiamo parlando. 

Il referendum sull’autonomia differenziata era un referendum abrogativo, ossia un tipo di referendum previsto dalla Costituzione e che punta a cancellare in tutto o in parte una norma già esistente. Per chiedere l’indizione di un referendum abrogativo i promotori devono presentare la richiesta alla Corte di Cassazione e raccogliere entro tre mesi almeno 500 mila firme in tutta Italia. Nel caso dell’autonomia differenziata la raccolta firme è iniziata a luglio e in pochi mesi ha superato la soglia minima di sottoscrizioni, che a settembre sono state depositate alla Corte di Cassazione. Questo è stato possibile anche grazie alla nuova piattaforma del Ministero della Giustizia per la raccolta delle firme online.

In seguito, il 12 dicembre la Cassazione ha ritenuto valida la raccolta firme. Come previsto dalla legge, la Corte di Cassazione ha quindi affidato alla Corte Costituzionale il compito di valutare la legittimità del quesito referendario dal punto di vista costituzionale e delle altre norme dell’ordinamento italiano.

Oggetto e finalità «non chiari»

Non tutti i referendum abrogativi sono infatti ammissibili. Secondo l’articolo 75 della Costituzione, non sono ammissibili i quesiti referendari che chiedono di abrogare le leggi tributarie e di bilancio, le leggi di amnistia e di indulto, e le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Per esempio non è possibile indire un referendum per cancellare i contenuti della legge di Bilancio, che definisce gli obiettivi e limiti di spesa dello Stato per ogni anno. 

A questi limiti espliciti si sono aggiunti negli anni una serie di limiti impliciti, ossia non scritti espressamente nella Costituzione, che sono stati stabiliti dalla stessa Corte Costituzionale attraverso le sentenze emesse negli anni sui vari quesiti referendari. Nel caso dell’autonomia differenziata, i giudici costituzionali hanno ritenuto illegittimo il referendum perché «l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari» e «ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore». Questa motivazione ha a che fare con il requisito dell’omogeneità per i quesiti referendari, stabilito dalla Corte Costituzionale nel corso degli anni. In pratica, come abbiamo spiegato in un altro approfondimento, in passato i giudici costituzionali hanno stabilito l’illegittimità di referendum che costringono gli elettori a esprimere un voto secco, ossia un sì o un no unico, su più questioni. 

La nuova legge sull’autonomia differenziata voluta dal governo Meloni affronta effettivamente questioni diverse tra loro. Tra le altre cose, la legge stabilisce il percorso e i principi in base ai quali le regioni possono chiedere maggiore autonomia allo Stato nel rispetto dell’articolo 116 della Costituzione e stabilisce che alle regioni può essere concessa maggiore autonomia solo dopo che sono stati determinati i cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni” (LEP). Questi rappresentano i servizi che lo Stato deve ritenere indispensabili per tutti i cittadini, senza distinzioni sul territorio in cui vivono, dal Nord al Sud. In più, la nuova legge fissa nel dettaglio tutto il percorso istituzionale che una regione deve seguire per ottenere più autonomia e anche la durata degli accordi tra lo Stato e le regioni stesse. 

In questi mesi, alcuni politici di centrodestra, tra cui il ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli (Lega), hanno più volte ripetuto che il referendum contro l’autonomia differenziata sarebbe stato bocciato proprio per la sua mancanza di omogeneità. E questa ipotesi non era stata esclusa del tutto dai costituzionalisti. Per ovviare a questo problema, i consigli regionali di Campania, EmiliaRomagna, Toscana e Sardegna, tutti guidati da giunte di centrosinistra, avevano depositato un altro quesito referendario, che chiedeva invece di abrogare singole parti della legge sull’autonomia differenziata. Quest’ultimo referendum è stato però bocciato dalla Corte Cassazione lo scorso 12 dicembre.

Un voto sulla Costituzione

Dunque, la Corte Costituzionale ha ritenuto che il referendum contro la legge sull’autonomia differenziata riguardasse troppe questioni. 

Per questo motivo, i giudici costituzionali hanno aggiunto che, se si fosse celebrato, il referendum avrebbe rischiato di trasformarsi «in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’articolo 116, terzo comma, della Costituzione». In altre parole, secondo la Corte Costituzionale, andando a votare per il referendum, i cittadini sarebbero finiti a esprimere un giudizio sullo stesso principio dell’autonomia differenziata riconosciuto dal già citato articolo 116 della Costituzione, che stabilisce la possibilità per le regioni di chiedere maggiore autonomia allo Stato centrale. Come hanno scritto i giudici costituzionali, però, gli articoli della Costituzione non possono essere oggetto di referendum abrogativo, «ma solo eventualmente di una revisione costituzionale». 

La procedura di revisione costituzionale è regolata dall’articolo 138 della Costituzione. Secondo questo articolo, per modificare la Costituzione la Camera e il Senato devono approvare una proposta di riforma costituzionale due volte nel medesimo testo. Se nella seconda votazione entrambe le camere approvano il testo a maggioranza dei due terzi dei componenti, la proposta di riforma si considera definitivamente approvata. Se invece nella seconda votazione si raggiunge solo la maggioranza assoluta, la riforma costituzionale può essere sottoposta a referendum popolare per confermarla.

Le reazioni dei partiti

La sentenza della Corte Costituzionale sul referendum contro l’autonomia differenziata è stata accolta in modo diverso dai partiti. I partiti che sostengono il governo Meloni hanno accolto favorevolmente la decisione dei giudici, con alcune distinzioni. Per esempio, Calderoli si è detto contento della sentenza aggiungendo di potere ora «lavorare in pace senza più avvoltoi che mi girano sopra la testa», facendo riferimento ai sostenitori del referendum. Anche il presidente del Veneto Luca Zaia ha detto di essere soddisfatto, auspicando un dialogo con i partiti di opposizione per «aggiustare» i punti in sospeso della legge. La stesso concetto è stato espresso dal segretario di Forza Italia Antonio Tajani. «Ora tocca al Parlamento far sì che la riforma possa essere migliorata e si va avanti con l’obiettivo di garantire a tutti i cittadini italiani, dalla Lombardia, dal Veneto fino alla Campania e alla Calabria, gli stessi diritti, perché ogni cittadino italiano è uguale all’altro», ha detto in una nota Tajani, il cui partito ha espresso in alcuni casi posizioni critiche nei confronti della legge sull’autonomia differenziata.

In ogni caso, Zaia e Tajani hanno fatto riferimento alla decisione con cui, il 14 novembre scorso, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime alcune parti della legge sull’autonomia differenziata, chiedendo al Parlamento e al governo di intervenire per modificare il provvedimento. In quella sentenza, la Corte Costituzionale ha per esempio ritenuto illegittime alcune norme per la determinazione dei LEP e la possibilità che le regioni ottengano più potere su intere materie, e non su specifiche funzioni legislative, grazie alle intese siglate con lo Stato. Al momento, non è chiaro se quest’ultima decisione della Corte Costituzionale abbia influenzato la valutazione dei giudici sul referendum. Su questo, è necessario attendere che la Corte depositi la sentenza nei prossimi giorni. 

Sul fronte delle opposizioni, al momento gli unici a commentare la sentenza sul referendum sono stati il co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli, il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, il segretario di Più Europa Riccardo Magi e alcuni esponenti del PD. In una nota congiunta, Bonelli e Fratoianni hanno detto di prendere atto della sentenza della Corte Costituzionale, precisando comunque che per loro la legge sull’autonomia differenziata è già stata messa in dubbio e smontata dai giudici costituzionali nella sentenza di novembre. Dal canto suo, Magi ha detto invece che secondo lui il referendum si sarebbe dovuto tenere, e che ora servirà maggiore mobilitazione popolare contro questa legge. Per quanto riguarda il PD, il senatore Alessandro Alfieri ha dichiarato che anche se non si farà il referendum, il suo partito continuerà a battersi contro la legge voluta dal governo Meloni.

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