Nella serata di giovedì 14 novembre la Corte Costituzionale ha comunicato le conclusioni del suo esame dei ricorsi presentati da quattro regioni contro la legge sull’autonomia differenziata, approvata dal Parlamento a fine giugno. Puglia, Toscana, Sardegna e Campania – tutte regioni guidate da giunte di centrosinistra – avevano chiesto alla Corte Costituzionale di valutare se la legge voluta dal governo Meloni rispettasse o meno la Costituzione. La legge sull’autonomia differenziata, presentata dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli (Lega), stabilisce le regole e il percorso con cui alcune regioni possono chiedere maggiore autonomia nella gestione di specifiche materie.
In attesa della pubblicazione delle motivazioni alla base delle sua sentenza, la Corte Costituzionale ha riassunto le sue conclusioni in un comunicato stampa. I giudici della Corte Costituzionale hanno ritenuto «non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie, considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo». In parole semplici, secondo i giudici la legge nel suo intero non vìola la Costituzione: la concessione di forme di maggiore autonomia alle regioni a statuto ordinario, come previsto dall’articolo 116 della Costituzione, è possibile, a patto che non sia fatto «un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico». Secondo i giudici, però, sette punti specifici della legge sull’autonomia differenziata sono incostituzionali.
I giudici hanno ritenuto illegittime alcune norme per la determinazione dei cosiddetti “Livelli essenziali delle prestazioni” (LEP). Questi rappresentano i servizi che lo Stato deve ritenere indispensabili per tutti i cittadini, senza distinzioni sul territorio in cui vivono, dal Nord al Sud. I LEP sono importanti perché la legge sull’autonomia differenziata stabilisce che alle regioni può essere concessa maggiore autonomia solo dopo che siano stati determinati, per l’appunto, i LEP. Nello specifico, la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo che la legge sull’autonomia differenziata abbia affidato al governo di determinare i LEP senza «idonei criteri direttivi». La Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo anche il fatto che il governo possa aggiornare i LEP attraverso i decreti del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm).
La Corte Costituzionale ha contestato altri aspetti della legge sull’autonomia differenziata. Tra questi: la possibilità per le regioni a statuto speciale di poter ottenere più autonomia secondo le stesse modalità previste per le regioni a statuto ordinario, quando già ora hanno la possibilità di ottenerla modificando i loro statuti; il fatto che la legge prevede «la facoltatività, piuttosto che la doverosità» per le regioni che ottengono più autonomia di concorrere agli obiettivi di finanza pubblica dello Stato, «con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica»; la possibilità per il governo di poter modificare le aliquote per i tributi nelle regioni con più autonomia attraverso decreti firmati da più ministeri, e non disposizioni di legge; e la possibilità che le regioni ottengano più potere su intere materie, e non su specifiche funzioni legislative, grazie alle intese siglate con lo Stato.
«Spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge», conclude il comunicato stampa della Corte Costituzionale.
In attesa della pubblicazione delle motivazioni alla base delle sua sentenza, la Corte Costituzionale ha riassunto le sue conclusioni in un comunicato stampa. I giudici della Corte Costituzionale hanno ritenuto «non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie, considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo». In parole semplici, secondo i giudici la legge nel suo intero non vìola la Costituzione: la concessione di forme di maggiore autonomia alle regioni a statuto ordinario, come previsto dall’articolo 116 della Costituzione, è possibile, a patto che non sia fatto «un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico». Secondo i giudici, però, sette punti specifici della legge sull’autonomia differenziata sono incostituzionali.
I giudici hanno ritenuto illegittime alcune norme per la determinazione dei cosiddetti “Livelli essenziali delle prestazioni” (LEP). Questi rappresentano i servizi che lo Stato deve ritenere indispensabili per tutti i cittadini, senza distinzioni sul territorio in cui vivono, dal Nord al Sud. I LEP sono importanti perché la legge sull’autonomia differenziata stabilisce che alle regioni può essere concessa maggiore autonomia solo dopo che siano stati determinati, per l’appunto, i LEP. Nello specifico, la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo che la legge sull’autonomia differenziata abbia affidato al governo di determinare i LEP senza «idonei criteri direttivi». La Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo anche il fatto che il governo possa aggiornare i LEP attraverso i decreti del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm).
La Corte Costituzionale ha contestato altri aspetti della legge sull’autonomia differenziata. Tra questi: la possibilità per le regioni a statuto speciale di poter ottenere più autonomia secondo le stesse modalità previste per le regioni a statuto ordinario, quando già ora hanno la possibilità di ottenerla modificando i loro statuti; il fatto che la legge prevede «la facoltatività, piuttosto che la doverosità» per le regioni che ottengono più autonomia di concorrere agli obiettivi di finanza pubblica dello Stato, «con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica»; la possibilità per il governo di poter modificare le aliquote per i tributi nelle regioni con più autonomia attraverso decreti firmati da più ministeri, e non disposizioni di legge; e la possibilità che le regioni ottengano più potere su intere materie, e non su specifiche funzioni legislative, grazie alle intese siglate con lo Stato.
«Spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge», conclude il comunicato stampa della Corte Costituzionale.