Il referendum contro l’autonomia non si può fare?

Lo sostiene il ministro Roberto Calderoli, citando vari motivi. Li abbiamo analizzati uno per uno con l’aiuto degli esperti
Ansa
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Nelle ultime settimane il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli (Lega) ha ripetuto in varie occasioni che un eventuale referendum abrogativo contro la nuova legge sull’autonomia differenziata sarebbe inammissibile. Lo scorso 20 luglio è iniziata infatti la raccolta firme per organizzare un referendum per abrogare completamente la legge sulla autonomia differenziata voluta dal governo, in particolare dalla Lega. La raccolta firme è promossa da tutti i partiti di opposizione, tranne Azione, insieme alle principali sigle sindacali e a diverse associazioni nazionali. Al momento il quesito referendario ha già superato la soglia minima di 500 mila firme richiesta dalla legge per poter essere organizzato, grazie anche alla nuova piattaforma digitale per la raccolta delle sottoscrizioni del Ministero della Giustizia.

Il 10 agosto, in un’intervista con Il Sole 24 Ore, sul possibile referendum Calderoli ha detto che, sebbene la sua «valutazione sul coinvolgimento del popolo è sempre positiva», il quesito delle opposizioni sarà comunque considerato inammissibile dalla Corte Costituzionale per una serie di motivi, dalle troppe materie su cui verterebbe il referendum al fatto che quella sull’autonomia differenziata sarebbe una legge «costituzionalmente necessaria». Più di recente, il 31 agosto Calderoli ha ripetuto le stesse motivazioni in un’intervista con il quotidiano L’Arena.

Al netto delle considerazioni del ministro, il giudizio definitivo sul quesito referendario spetterà per l’appunto alla Corte Costituzionale una volta terminata la raccolta delle firme. In attesa del giudizio, abbiamo analizzato con l’aiuto degli esperti i vari motivi che secondo Calderoli renderebbero inammissibile il referendum contro l’autonomia differenziata.

Di che cosa stiamo parlando

Innanzitutto, è bene ripassare brevemente quali sono i passaggi fondamentali per l’organizzazione di un referendum abrogativo. Il referendum abrogativo è una consultazione popolare in cui i proponenti chiedono di cancellare in tutto o in parte una legge. Il quesito referendario deve essere presentato alla Corte di Cassazione ed entro tre mesi i promotori dell’iniziativa devono raccogliere almeno 500 mila firme in tutta Italia. Come anticipato, nel caso dell’autonomia differenziata questa soglia è già stata raggiunta grazie anche alla nuova piattaforma istituzionale per la sottoscrizione online dei referendum. 

Una volta raggiunta questa soglia, che può comunque essere superata, le firme per il referendum sull’autonomia differenziata vanno consegnate alla Corte di Cassazione, che passa in rassegna la richiesta di referendum per assicurarsi che sia conforme alla legge. Per esempio, la Corte controlla se la raccolta delle firme sia avvenuta in modo legittimo o se il loro numero è sufficiente. In seguito il testo passa al vaglio della Corte Costituzionale, che entro il 10 febbraio 2025 deve decidere se il quesito referendario ricevuto è ammissibile oppure no. Se la risposta sarà positiva, potrà essere organizzato ufficialmente il referendum, la cui data dovrà essere fissata in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno 2025. Se il referendum sarà considerato inammissibile, non potrà essere organizzato. Due casi recenti di referendum considerati inammissibili sono stati quelli sull’eutanasia e la cannabis legale. 

I limiti sull’ammissibilità dei referendum

Contro il referendum sull’autonomia differenziata Calderoli ha fatto riferimento proprio al fatto che la Corte Costituzionale potrebbe considerare il quesito non ammissibile. 

Secondo l’articolo 75 della Costituzione, non sono ammissibili i quesiti referendari che chiedono di abrogare le leggi tributarie e di bilancio, le leggi di amnistia e di indulto, e le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Per esempio non è possibile indire un referendum per cancellare i contenuti della legge di Bilancio, che definisce gli obiettivi e limiti di spesa dello Stato per ogni anno. 

A questi limiti espliciti si sono aggiunti negli anni una serie di limiti impliciti, ossia non scritti espressamente nella Costituzione, che sono stati stabiliti dalla stessa Corte Costituzionale attraverso le sentenze emesse negli anni sui vari quesiti referendari. Come vedremo, è proprio a questi limiti impliciti che Calderoli fa riferimento per sostenere che il referendum sull’autonomia differenziata potrebbe essere giudicato inammissibile. 

Il giudizio finale sull’ammissibilità o meno del referendum sull’autonomia differenziata spetta comunque solo ed esclusivamente alla Corte Costituzionale. Su questo è bene subito chiarire che le previsioni sono difficili da fare. «I giudizi della Corte Costituzionale per quanto riguarda l’ammissione dei referendum sono in assoluto quelli più incerti e imprevedibili, visto che lasciano alla Corte il maggior spazio di manovra», ha detto a Pagella Politica Gianpaolo Fontana, professore di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre. «Qualsiasi ipotesi sulla futura decisione della Corte potrebbe essere smentita, perché negli anni la Corte ha sviluppato criteri attraverso la giurisprudenza e le sentenze che in seguito sono stati applicati in maniera molto variabile», ha aggiunto Ugo Adamo, professore di Diritto costituzionale all’Università della Calabria. Procediamo con ordine: analizziamo punto per punto le argomentazioni portate da Calderoli e i limiti a cui ha fatto riferimento.
Immagine 1. Giudici della Corte Costituzionale al Palazzo della Consulta di Roma - Fonte: Ansa
Immagine 1. Giudici della Corte Costituzionale al Palazzo della Consulta di Roma - Fonte: Ansa

L’omogeneità del quesito

Innanzitutto, secondo il ministro, il quesito referendario contro la nuova legge sull’autonomia differenziata potrebbe essere bocciato dalla Corte Costituzionale per il fatto che la legge sull’autonomia differenziata affronta questioni diverse, e non una sola. A questo proposito, Calderoli ha fatto un paragone con un precedente che lo ha riguardato direttamente. «Nel 2015 il referendum che avevo promosso per l’abrogazione di un articolo della legge Fornero aveva visto 650 mila adesioni – ha dichiarato il ministro – ma fu poi dichiarato inammissibile perché toccava troppe materie e perché la riforma delle pensioni era collegata alla manovra». 

Analizziamo proprio il caso del referendum sulla legge “Fornero”. La “Fornero” è stata approvata nel 2011 e prende il nome dall’allora ministra del Lavoro del governo Monti, Elsa Fornero. In breve la legge “Fornero” ha modificato i requisiti per andare in pensione, rendendoli più restrittivi. La Lega, che era all’opposizione del governo Monti, ha sempre contestato questa legge e a marzo 2014, durante il governo Renzi, ha indetto una raccolta firme per un referendum abrogativo, che ha poi raggiunto la soglia delle 500 mila firme utili per indire la consultazione, ma il 20 gennaio 2015 la Corte Costituzionale ha bocciato il quesito referendario. Come si legge nella sentenza della Corte, i motivi della bocciatura sono stati due: l’assenza di omogeneità del quesito e il collegamento della legge “Fornero” con le leggi tributarie e con la legge di Bilancio.

Per quanto riguarda l’omogeneità, la Corte Costituzionale ha sottolineato che il referendum puntava ad abrogare una legge, la “Fornero”, che comprendeva «all’interno della stessa (di per sé) ampia e variegata materia», ossia per esempio i vari trattamenti pensionistici, riguardanti anche soggetti diversi, come lavoratori pubblici, privati e liberi professionisti. In pratica, secondo la Corte l’elettore si sarebbe trovato a dover esprimere «un voto bloccato su una pluralità di atti e disposizioni diverse». Il principio dell’omogeneità dei quesiti referendari è stato sancito per la prima volta dalla Corte Costituzionale con una sentenza del 1978, in cui era stato dichiarato inammissibile un referendum che chiedeva di abrogare allo stesso tempo otto tra leggi e articoli all’interno di altre norme di vario genere, dal contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici a norme sulla tutela dell’ordine pubblico. 

Ma lo stesso discorso può valere per il quesito sull’autonomia differenziata? La nuova legge sull’autonomia differenziata stabilisce il percorso e i principi in base ai quali le regioni possono chiedere maggiore autonomia allo Stato nel rispetto dell’articolo 116 della Costituzione. La concessione di maggiore autonomia delle regioni che ne fanno richiesta può avvenire solo con una legge dello Stato, approvata a maggioranza assoluta dal Parlamento (ossia dalla metà più uno dei parlamentari), sulla base di un’intesa tra lo Stato e la regione interessata. Questo procedimento deve avvenire poi nel rispetto dell’articolo 119, che impegna lo Stato a rimuovere le disuguaglianze territoriali. Oltre ai principi per chiedere più autonomia, la legge stabilisce che alle regioni può essere concessa maggiore autonomia solo dopo che siano stati determinati i cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni” (LEP). Tra i LEP, spiega la Costituzione, rientrano tutti quei «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». In parole semplici, dalla sanità all’istruzione, passando per i trasporti, i LEP comprendono tutti quei servizi che lo Stato deve ritenere indispensabili per tutti i cittadini, senza distinzioni sul territorio in cui vivono, dal Nord al Sud, dal Centro alle Isole. In più, la nuova legge fissa nel dettaglio tutto il percorso istituzionale che una regione deve seguire per ottenere più autonomia e anche la durata degli accordi tra lo Stato e le regioni stesse.  

Insomma, i contenuti della legge sull’autonomia differenziata sono effettivamente vari e molteplici. Ma secondo alcuni costituzionalisti questo non basta a dire, come afferma Calderoli, che il quesito non è omogeneo. «Pur nella delicatezza della questione, Calderoli con questo argomento escluderebbe tutti i referendum che riguardano un’intera legge. Se si assume come valore assoluto quello dell’omogeneità, non esiste una legge nell’ordinamento italiano che non contenga al suo interno una molteplicità di materie. In più la Costituzione prevede espressamente che possono essere sottoposte a referendum sia una parte di una legge sia una legge nella sua interezza», ha spiegato a Pagella Politica Roberta Calvano, professoressa di Diritto costituzionale all’Università degli studi di Roma Unitelma Sapienza, tra i costituzionalisti firmatari di un appello pubblicato il 4 settembre sulle criticità della legge sull’autonomia differenziata. «Da costituzionalista io sono favorevole al referendum sull’autonomia differenziata. Sono stata audita in occasione dell’esame in commissione del provvedimento e ho espresso le mie criticità su questa legge, che ritengo sbagliata. Da studiosa ritenevo preferibile la presentazione di più quesiti parziali su singoli aspetti della legge sull’autonomia differenziata, piuttosto che un quesito unico, ma ritengo che la Corte sbaglierebbe a impiegare il limite dell’omogeneità per considerare inammissibile il referendum», ha aggiunto la professoressa. 

Il quesito referendario delle opposizioni non è comunque l’unico riguardante la legge sull’autonomia differenziata. In queste settimane anche i consigli regionali di Campania, EmiliaRomagna, Toscana e Sardegna, tutti guidati da giunte di centrosinistra, hanno infatti approvato delle delibere per un proprio quesito sull’autonomia differenziata. I quattro Consigli regionali hanno deliberato di depositare in Cassazione un referendum abrogativo dell’intera legge sull’autonomia differenziata. Allo stesso tempo, le quattro regioni hanno deliberato di presentare anche un quesito per abrogare solo alcune parti della legge, per ovviare per l’appunto a possibili contestazioni della Corte Costituzionale. In base alle verifiche di Pagella Politica, al momento nessuna regione ha comunque depositato a tutti gli effetti un quesito referendario sull’autonomia differenziata. Queste regioni hanno quindi ancora venti giorni di tempo per presentare il quesito, visto che la legge prevede che i quesiti referendari siano depositati dal 1° gennaio al 30 settembre di ogni anno. 

In più, Campania, Sardegna, Toscana e Puglia hanno presentato di fronte alla Corte Costituzionale una questione di legittimità costituzionale proprio sulla legge sull’autonomia differenziata. In pratica, queste regioni hanno chiesto alla Corte Costituzionale di valutare se la nuova legge rispetta i principi fissati dalla Costituzione. Se la Corte dovesse dare ragione a queste quattro regioni allora la legge sull’autonomia differenziata non sarebbe più applicabile. 

Il collegamento con la legge di Bilancio

Passiamo quindi al secondo motivo sollevato da Calderoli come possibile causa dell’inammissibilità del referendum sull’autonomia differenziata, ossia il fatto che la legge sull’autonomia differenziata è collegata alla legge di Bilancio per il 2024. 

Come anticipato, il referendum sulla legge “Fornero” era stato ritenuto inammissibile dalla Corte Costituzionale perché la legge è collegata con norme tributarie e di Bilancio. In sostanza, il referendum sulla legge “Fornero” avrebbe violato il limite previsto dall’articolo 75 della Costituzione in base al quale non si possono sottoporre a referendum leggi che incidono sulla finanza pubblica. Secondo la Corte, all’epoca la legge “Fornero” era collegata direttamente con la legge di Bilancio per il 2012, all’epoca chiamata ancora “Legge di Stabilità”. In particolare, come sottolinea la sentenza, la legge “Fornero” ha modificato l’articolo 5 della legge di Stabilità per il 2012, che riguardava proprio il tema delle pensioni. In pratica, se la legge “Fornero” fosse stata abrogata tramite il referendum, si sarebbe tornati alla legislazione precedente, quella fissata dalla legge di Stabilità per il 2012, con effetti quindi sulla finanza pubblica. Al di là del caso del referendum sulla legge “Fornero”, l’inammissibilità dei referendum nel caso di collegamento con la legge di Bilancio o altre leggi tributarie è stato ribadito dalla Corte Costituzionale in altre due sentenze, rispettivamente nel 1994 e nel 1995.

Riguardo il quesito sull’autonomia differenziata la questione è aperta. Nel Documento di economia e finanza (Def) per il 2023, approvato ad aprile dello scorso anno, il governo ha inserito la nuova legge sull’autonomia differenziata tra i provvedimenti collegati alla legge di Bilancio per il 2024. Quando un provvedimento è collegato alla legge di Bilancio vuol dire che è collegato agli obiettivi previsti all’interno di quella legge. «Per questo motivo, la Corte potrebbe quindi ritenere plausibile l’inammissibilità del referendum sull’autonomia. Allo stesso tempo, però, la Corte potrebbe rilevare che la legge sull’autonomia differenziata prevede espressamente una clausola di invarianza finanziaria. E che dunque il legame con la legge di Bilancio è solo formale, e che l’abrogazione della legge stessa attraverso il referendum non comporterebbe ricadute economiche per lo Stato», ha aggiunto Fontana. 

L’articolo 9 della legge sull’autonomia differenziata prevede infatti una clausola di invarianza finanziaria, che stabilisce come «dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa [con le regioni, ndr] non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». In altre parole, secondo la nuova legge approvata dal Parlamento, l’attuazione dell’autonomia differenziata non può generare nuove spese e costi per lo Stato e anche la determinazione dei LEP deve avvenire rispettando gli equilibri di bilancio. 
Immagine 2. Protesta contro la legge sull'autonomia differenziata a Roma - fonte: Ansa
Immagine 2. Protesta contro la legge sull'autonomia differenziata a Roma - fonte: Ansa

Una legge costituzionalmente necessaria?

La terza argomentazione portata da Calderoli, che secondo lui renderebbe inammissibile il referendum, riguarda il legame tra la legge sull’autonomia differenziata e la Costituzione. Il ministro ha dichiarato che la legge sull’autonomia non potrebbe essere posta a referendum perché è «costituzionalmente necessaria». Prima di analizzare questa affermazione, occorre capire che cosa sia una legge costituzionalmente necessaria, la cui definizione è stata lungamente dibattuta dagli esperti. 

«La discussione sulle leggi costituzionalmente necessarie risale alla sentenza del 1978. All’epoca la Corte Costituzionale aveva fatto una distinzione tra “leggi costituzionalmente obbligatorie” e “leggi costituzionalmente necessarie”», ha spiegato Adamo. «Le prime erano leggi considerate imprescindibili per attuare la Costituzione, ossia l’unico modo per applicare il dettato costituzionale, e che non potevano per questo essere abrogabili. Le leggi necessarie invece erano leggi che pur attuando la Costituzione, la Corte considerava comunque abrogabili. La destinazione era insomma molto sottile e nel giro di trent’anni è svanita, e oggi la Corte considera generalmente come sinonimi le leggi obbligatorie e le leggi necessarie, considerandole entrambe non abrogabili».

Come ha spiegato la professoressa Calvano a Pagella Politica, un esempio di legge costituzionalmente necessaria è la legge elettorale: «Se venisse abrogata completamente la legge elettorale sarebbe messo a rischio il regolare funzionamento del Parlamento sancito dalla Costituzione e si creerebbe un vuoto normativo che implicherebbe l’impossibilità, anche per un breve periodo di tempo, di rinnovare la composizione delle due Camere. Per questo la Corte Costituzionale ha sempre dichiarato inammissibili i referendum abrogativi dell’intera legge elettorale, invitando i promotori a presentare referendum su singoli aspetti di queste leggi». 

Secondo Calvano, la legge sull’autonomia differenziata non rientra comunque tra le leggi costituzionalmente necessarie e quindi l’argomentazione di Calderoli non è plausibile. «L’articolo 116 della Costituzione non dice che l’autonomia differenziata debba essere attuata per forza con una legge, tant’è vero che in passato già i precedenti governi avevano cercato di attuare l’autonomia attraverso singole intese con le regioni», ha spiegato la professoressa. Il riferimento di Calvano è agli accordi preliminari siglati a febbraio del 2018, poco prima delle elezioni politiche del 4 marzo, dal governo di Paolo Gentiloni (Partito Democratico). All’epoca il governo Gentiloni aveva siglato accordi preliminari con Lombardia e Veneto, amministrate dal centrodestra, ed Emilia-Romagna, amministrata dal centrosinistra, per concedere loro maggiore autonomia su alcune materie. La richiesta di maggiore autonomia da parte di Lombardia e Veneto era stata supportata anche da due referendum consultivi, tenutisi a ottobre 2017. I referendum consultivi sono referendum non vincolanti, che possono essere indetti anche da singole regioni o enti locali, e in cui i cittadini sono chiamati a esprimere un parere su una determinata questione. Essendo non vincolante, il risultato del referendum consultivo può comunque non essere considerato dal Parlamento. 

«Sebbene gli accordi preliminari firmati dal governo Gentiloni non abbiano avuto seguito, essi sono la dimostrazione che l’autonomia si può attuare anche in altri modi rispetto alla legge voluta dal governo Meloni. Questa legge è infatti una legge di procedura, che si limita a spiegare un percorso possibile per le regioni, ma non è un passaggio espressamente richiesto dalla Costituzione», ha aggiunto Adamo. Il fatto che la legge sull’autonomia differenziata sia o no una legge costituzionalmente necessaria si lega all’ultima argomentazione portata da Calderoli, ossia che la legge risponda a una serie di previsioni costituzionali non ancora applicate. 

In particolare, il ministro ha fatto riferimento al terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, quello che prevede per l’appunto la possibilità di dare maggiore autonomia alle regioni a statuto ordinario, che effettivamente non ha mai trovato applicazione; al primo comma dell’articolo 117, che prevede che lo Stato definisca i LEP, anche questi mai definiti nel corso degli anni; e all’articolo 119, che sancisce il principio del “federalismo fiscale”, ossia l’attribuzione agli enti locali, come regioni e comuni, di maggiore autonomia finanziaria, in particolare nella possibilità di stabilire entrate e spese proprie. 

Come ha spiegato Fontana a Pagella Politica, anche il principio del federalismo fiscale non è mai stato attuato nel nostro ordinamento. «Il principale tentativo di attuazione del federalismo fiscale era stato fatto nel 2009, con la legge numero 42 approvata durante il quarto governo Berlusconi. Si trattava di una legge delega che aveva l’obiettivo per l’appunto di attuare vari aspetti del federalismo fiscale ma poi, complice la caduta di quel governo e la crisi finanziaria, quelle disposizioni non sono mai state attuate», ha spiegato il professore. Una legge delega è una legge con cui il Parlamento affida al governo il compito di regolare una determinata materia attraverso l’approvazione di uno o più decreti legislativi. 

In ogni caso, secondo vari costituzionalisti il fatto che questi principi costituzionali, dall’autonomia al federalismo fiscale, non siano ancora stati attuati non implica che la nuova legge sull’autonomia differenziata sia necessaria e sia l’unico modo per attuare questi principi. 

Ricapitolando: il dibattito sulla ammissibilità o meno del referendum sull’autonomia differenziata è aperto. Secondo il ministro Calderoli ci sono alcuni motivi per cui la Corte Costituzionale potrebbe considerare il quesito delle opposizioni inammissibile. Come hanno spiegato vari esperti, questi motivi fanno riferimento a limiti che la stessa Corte Costituzionale ha individuato negli anni attraverso le sue sentenze su altri quesiti referendari. Ogni quesito referendario è però un caso a sé: solo la Corte Costituzionale potrà stabilire se le argomentazioni portate da Calderoli possano essere fondate e applicarsi al caso del referendum sull’autonomia differenziata.

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