Cinquecentomila firme per un referendum sono troppo poche?

Se ne torna a parlare dopo il risultato raggiunto da chi chiede di cambiare la legge sulla concessione della cittadinanza
Pagella Politica
Martedì 24 settembre il referendum abrogativo che propone di cambiare la legge sulla concessione della cittadinanza italiana ha raggiunto la soglia delle 500 mila firme digitali sulla piattaforma del Ministero della Giustizia. Questo risultato ottenuto nel giro di pochi giorni (il 16 settembre le firme erano meno di 30 mila), ha riportato d’attualità un vecchio dibattito, di cui si è già parlato più di recente nel 2021, a proposito del referendum sulla depenalizzazione della coltivazione della cannabis e di altre sostanze stupefacenti. 

Secondo alcuni, tra cui il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli (Lega), la soglia di 500 mila firme per richiedere un referendum abrogativo è troppo bassa e andrebbe alzata. «Forse andrebbero ripensate anche le soglie minime delle adesioni per avviare referendum o proposte di legge di iniziativa popolare», ha dichiarato Calderoli lo scorso agosto in un’intervista con Il Sole 24 Ore. Quest’estate avevano già superato la soglia minima altre campagne referendarie: quella contro il Jobs Act e contro la nuova legge sull’autonomia differenziata.

Un primo dibattito sulla soglia delle 500 mila firme è avvenuto quasi 80 anni fa, durante la scrittura della Costituzione, quando però ancora le firme digitali non esistevano.

Da dove vengono le 500 mila firme

L’articolo 75 della Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, stabilisce che si può organizzare un referendum per abrogare una legge, in tutto o in parte, solo se si raccolgono 500 mila firme degli elettori, oppure se la proposta viene avanzata da almeno cinque consigli regionali. Il progetto di introdurre i referendum in Costituzione fu assegnato nel dicembre 1946 al deputato della Democrazia Cristiana Costantino Mortati. Secondo Mortati, lo strumento del referendum, «più intensamente usato in Svizzera e negli Stati Uniti», aveva il vantaggio di «influire sui partiti» e di «costringerli a un maggiore contatto con il popolo per problemi concreti», ma anche lo svantaggio di «introdurre un elemento di disarmonia nell’unità dell’indirizzo politico». Per riequilibrare questi due aspetti bisognava introdurre qualche accorgimento.

A gennaio 1947, all’interno della seconda Sottocommissione dell’Assemblea costituente che aveva il compito di scrivere la Costituzione, fu fissata inizialmente la soglia di firme pari a un «ventesimo degli elettori» per organizzare un referendum. All’epoca gli aventi diritto di voto in Italia erano poco più di 28 milioni, quindi la soglia minima di firme su cui si discuteva era pari a oltre un milione e 400 mila elettori. 

Sulla proposta di Mortati e sul «ventesimo degli elettori» le posizioni degli altri membri della seconda Sottocommissione dell’Assemblea costituente erano discordanti. Per esempio, secondo il democristiano Pietro Bulloni, con la soglia di Mortati lo strumento del referendum sarebbe stato reso «praticamente non sperimentabile»: la soglia minima sarebbe dovuta essere «notevolmente ridotta» e portata a 500 mila elettori. Secondo Umberto Nobile, iscritto al gruppo parlamentare Socialista, la soglia delle firme pari a un «ventesimo degli elettori» era «troppo esigua», mentre il repubblicano Tomaso Perassi sosteneva che fosse «sufficientemente elevata» perché il referendum potesse avere «una base seria».

Il 18 gennaio 1947 la seconda Sottocommissione votò sul numero minimo di firme da raggiungere per organizzare un referendum. Alla fine Mortati propose di introdurre in Costituzione la soglia delle 500 mila firme, ancora oggi in vigore. Lo stesso limite fu introdotto in quei giorni anche nell’articolo 138 della Costituzione, quello che regola la richiesta di referendum per confermare o meno una legge di riforma costituzionale. 

Terminati i lavori in Sottocommissione, alla fine del 1947 non ci fu un particolare dibattito all’interno dell’Assemblea costituente per l’approvazione definitiva dell’articolo 75 della Costituzione. Si decise comunque di cambiare la soglia per il quorum: in base all’articolo uscito dalla seconda Sottocommissione, un referendum abrogativo sarebbe stato valido se avessero partecipato al voto i due quinti degli aventi diritto di voto. Nella votazione in Assemblea costituente questa soglia fu alzata: ancora oggi i referendum abrogativi sono validi se al voto partecipa la maggioranza degli aventi diritto di voto.

Per ora nessuna proposta

Al momento, in questa legislatura – iniziata a ottobre 2022 – non sono ancora state avanzate proposte di legge in Parlamento che chiedono di modificare l’articolo 75 della Costituzione e il numero di firme minimo per organizzare un referendum abrogativo. In passato, invece, sono state avanzate varie proposte di riforma costituzionale. 

Per esempio, durante la sedicesima legislatura (2008-2013) la senatrice del Partito Democratico Vittoria Franco aveva proposto di alzare il numero di firme a un milione. Secondo Franco, questo aumento era motivato dal fatto che il numero degli elettori in Italia era aumentato rispetto al 1947. Nella quindicesima legislatura (2006-2008) il deputato dei Comunisti italiani Severino Galante aveva proposto di trasformare il requisito delle 500 mila firme in una soglia percentuale, e consentire l’organizzazione di un referendum abrogativo dopo che fossero state raccolte le firme del «2 per cento dei cittadini aventi diritto al voto». Durante la stessa legislatura il senatore di Forza Italia Cosimo Izzo aveva suggerito una soglia ancora più alta, pari a 2 milioni di firme. Andando ancora più indietro nel tempo, nel 2005 alcuni parlamentari sostenevano che il numero più giusto sarebbe stato 750 mila elettori, e nel 2003 un milione o 700 mila.

La rivoluzione delle firme digitali

A differenza del passato, quando le firme per organizzare un referendum andavano raccolte tutte fisicamente, per esempio allestendo banchetti, negli ultimi anni la possibilità di raccogliere le firme digitali ha permesso di raggiungere in pochi giorni la soglia delle 500 mila firme.

Come già accennato, a settembre 2021 la campagna referendaria per la depenalizzazione della cannabis aveva raccolto 500 mila firme in una settimana dal lancio. In quell’occasione i promotori del referendum avevano organizzato – a spese loro – una piattaforma online che consentiva la raccolta delle firme digitali usando il Sistema pubblico di identità digitale, noto con la sigla “Spid”. Con l’avvicinarsi della scadenza del 30 settembre – data entro cui bisogna depositare le firme – si erano creati dei problemi: all’epoca molti comuni avevano avuto difficoltà a inviare i certificati elettorali di chi aveva sottoscritto online il referendum. Il problema era stato poi risolto con il rinvio della scadenza al 31 ottobre 2021.

Lo scorso luglio è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) che attesta l’operatività della piattaforma del Ministero della Giustizia per presentare proposte di referendum e di leggi di iniziativa popolare, e raccogliere firme. La realizzazione di questa piattaforma è stata prevista dalla legge di Bilancio per il 2021, approvata alla fine del 2020 durante il secondo governo Conte. Questo ha reso ancora più facile la presentazione di referendum abrogativi e il meccanismo della raccolta delle firme. 

Al momento della pubblicazione di questo articolo sulla piattaforma del Ministero della Giustizia sono presenti 12 richieste di referendum abrogativo, di cui solo due hanno raggiunto la soglia delle 500 mila firme: il referendum che chiede di abrogare la legge sull’autonomia differenziata approvata a giugno dal Parlamento e il referendum che chiede di modificare la legge sulla concessione della cittadinanza italiana. Quest’ultimo propone di modificare in due parti l’articolo 9 della legge n. 91 del 1992 e consentire così ai cittadini stranieri che vivono in Italia di ottenere la cittadinanza italiana dopo cinque anni di residenza nel nostro Paese, e non dopo dieci anni come previsto ora dalla legge.

Ricordiamo che dopo il 30 settembre la Corte di Cassazione deve controllare se le firme sono state raccolte in modo corretto e, in caso di risposta positiva, i quesiti referendari sono sottoposti al giudizio di ammissibilità della Corte Costituzionale entro il 10 febbraio 2025. Nel 2022 la Corte Costituzionale bocciò il referendum abrogativo sulla cannabis che quindi non si potè tenere. 

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