Aggiornamento mercoledì 29 settembre, ore 14: il Consiglio dei ministri ha approvato la proroga di un mese per il referendum sulla cannabis, spostando la scadenza per il deposito delle firme in Cassazione dal 30 settembre al 31 ottobre e uniformando così le tempistiche consentite per questa consultazione con quelle degli altri referendum su eutanasia e giustizia.

* * *


Secondo quanto annunciato il 25 settembre dal tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, il comitato promotore del referendum sulla cannabis – di cui l’Associazione Luca Coscioni fa parte – ha diffidato 1.400 comuni italiani inadempienti nella certificazione delle firme. Il giorno precedente, Cappato aveva parlato di «rischio sabotaggio» del referendum e aveva invitato il governo ad intervenire per evitare la cancellazione della consultazione «a causa di illegalità».

Ma che cosa significa che i comuni sono inadempienti? E che conseguenze potrebbero esserci sul referendum? Andiamo a vedere i dettagli.

Leggi anche: Non solo cannabis, ma anche oppio e coca: cosa propone davvero il referendum

In che senso i comuni non adempiono?

Per prima cosa chiariamo in che cosa consista l’inadempienza dei 1.400 comuni italiani diffidati dai promotori del referendum.

Il comitato promotore, come abbiamo spiegato in una nostra recente analisi, si è avvalso della possibilità di raccogliere le firme tramite il Sistema pubblico di identità digitale (Spid), una novità introdotta in Italia con il “decreto semplificazioni” di luglio 2021.

A questa novità il legislatore ha associato anche la previsione che in futuro venga creata una piattaforma che consenta di acquisire tutti i dati necessari del firmatario ma, al momento, questa piattaforma ancora non esiste. Ci troviamo quindi in una situazione di regime transitorio, in cui è sì possibile raccogliere le firme tramite Spid, ma perché queste si possano depositare in Cassazione è necessario che ad ognuna di esse venga associato il certificato elettorale del firmatario per controllare, ad esempio, che abbia in effetti il diritto di voto. Questi certificati sono in possesso dei comuni che, dopo aver ricevuto una mail di posta certificata dal comitato promotore con la prova dell’avvenuta firma tramite Spid, devono inviarli al comitato promotore entro le 48 ore successive.

Il 21 settembre il comitato promotore ha inviato oltre mezzo milione di Pec ai comuni ma, ci ha comunicato una portavoce, alla sera del 26 settembre avevano ricevuto dai comuni appena 180 mila certificati circa. Considerato che per il referendum sulla cannabis la scadenza del termine è prevista per il 30 settembre, c’è il concreto rischio che non sia possibile depositare le firme in tempo.

Prima di vedere che conseguenze potrebbero esserci in questo caso vediamo però il perché di questa mancata risposta da parte dei comuni.

Perché i comuni non adempiono?

La risposta che ci è stata fornita dal comitato promotore è che non c’è nessuna diabolica macchinazione, o ragione politica, per cui i comuni non inviano i certificati. Semplicemente la mole di lavoro da fare è enorme e materialmente molti comuni si sono trovati nell’impossibilità di adempiere.

Ogni email di posta certificata che ricevono contiene 20 firme e per ognuna di queste va associato il certificato elettorale relativo. La procedura è quindi lunga e laboriosa, e i tempi concessi per questo referendum – ci torneremo tra poco – potrebbero non essere sufficienti.

Che cosa potrebbe succedere dunque?

Le soluzioni possibili

Se i comuni riusciranno a smaltire tutti gli arretrati in tempo, non ci sarà alcun problema. Ma se così non fosse, e come abbiamo detto il rischio è concreto, si aprirebbero diverse possibilità.

Nello scenario peggiore per i promotori del referendum, alla scadenza del periodo concesso per depositare le firme (cioè il 30 settembre) la Cassazione dichiarerà che questo non è avvenuto, perché al mezzo milione abbondante di firme raccolte con lo Spid non è stato associato il numero necessario di certificati che i comuni avrebbero dovuto fornire.

In questo caso è facile prevedere strascichi giudiziari, con il comitato promotore che farebbe rilevare come la responsabilità del mancato deposito sia dello Stato e dunque non sia giusto che il referendum non venga indetto.

Un’altra possibilità è che intervenga il governo, garantendo al referendum sulla cannabis l’estensione per il deposito delle firme in Cassazione a una data successiva, come ad esempio il 31 ottobre. Questa soluzione è quella stabilita dal “decreto semplificazioni” di luglio – in considerazione della situazione particolare dovuta alla pandemia – per tutti i referendum depositati prima del 15 giugno (ad esempio eutanasia e giustizia). Il referendum sulla cannabis è stato depositato dopo, il 7 settembre, e dunque non beneficia di questo allungamento dei tempi. I promotori del referendum hanno inviato una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sollevando la questione e chiedendo un suo intervento.

Se questa estensione non venisse concessa dal governo, è possibile che intervenga la magistratura per dare un’interpretazione della normativa stabilita dal “decreto semplificazioni” che estenda anche al referendum sulla cannabis l’allungamento dei tempi per il deposito delle firme a fine ottobre.

Al momento comunque è pressoché impossibile sapere con certezza quello che succederà. È però possibile e forse anche probabile, considerato che la lentezza dei comuni non dipende da mancanza di volontà ma da mancanza di risorse, che la scadenza del 30 settembre arrivi senza che ci siano 500 mila firme certificate da depositare in Cassazione.

Per mettere pressione sulla politica i promotori, oltre ad aver scritto a Mattarella, hanno quindi annunciato anche uno sciopero della fame e diverse iniziative di mobilitazione.

In conclusione

Il referendum sulla cannabis corre il rischio di andare a sbattere contro un ostacolo di natura burocratica. Nel regime transitorio in vigore al momento, le firme raccolte tramite lo Spid non possono essere presentate in Cassazione se i comuni non inviano i certificati elettorali dei firmatari. Più di mille comuni sarebbero al momento inadempienti (il carico di lavoro necessario per adempiere alle previsioni del regime transitorio sarebbe eccessivo per il tempo a disposizione) e i certificati ottenuti al 26 settembre sera – quattro giorni prima della scadenza prevista per il deposito – sarebbero 180 mila, circa un terzo del totale necessario.

Per risolvere il problema, se i comuni non riusciranno a smaltire gli arretrati in tempi utili, è possibile che venga estesa al referendum sulla cannabis il regime previsto per gli altri referendum, le cui richieste sono state presentate prima del 15 giugno, che porta la scadenza per il deposito al 31 ottobre. Ma al momento non è possibile avere certezze in proposito e non si può escludere il rischio di strascichi giudiziari della vicenda.