Negli ultimi giorni sta facendo molto discutere la raccolta firme per il referendum sulla depenalizzazione della coltivazione della cannabis e di altre sostanze stupefacenti. Grazie alla sottoscrizione con il Sistema pubblico di identità digitale (Spid), in tre giorni i promotori del referendum sono riusciti a raccogliere oltre 330 mila firme, avvicinandosi in poco tempo alla soglia delle 500 mila firme necessarie per chiedere un referendum abrogativo. Nelle ultime ore i promotori del referendum sull’eutanasia legale hanno invece annunciato di aver raggiunto più di 900 mila firme, di cui oltre 300 mila online.

Secondo alcuni, la nuova modalità di sottoscrizione digitale – concessa solo di recente, con il decreto “Semplificazioni” di luglio – renderebbe troppo facile il raggiungimento delle 500 mila firme, aprendo la strada in futuro a un numero eccessivo di richieste referendarie (come vedremo, una preoccupazione che esiste almeno da vent’anni). Il 14 settembre il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick ha per esempio detto a La Repubblica che «probabilmente» sarebbe giusto alzare la soglia delle firme perché è stata fissata «nel 1947 quando la popolazione italiana era largamente inferiore a quella attuale».

Come abbiamo spiegato di recente, in base alle leggi in vigore, per i prossimi due anni – 2022 e 2023 – non si potranno raccogliere firme per i referendum, a meno che l’attuale legislatura non termini prima della sua scadenza naturale nel 2023. Per l’immediato futuro sembra dunque essere scongiurata la possibilità che, grazie allo Spid, si verifichi un forte aumento delle proposte referendarie.

Ma da dove viene la soglia delle 500 mila firme? E in passato ci sono state proposte per modificarla? Per rispondere a queste domande dobbiamo fare un salto indietro nel tempo di quasi 70 anni.

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Come è nata la soglia delle 500 mila firme

In base all’articolo 75 della Costituzione si può indire un referendum «per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge» se la richiesta arriva da 500 mila elettori o da cinque consigli regionali. Questa formulazione poggia le sue radici in un dibattito nato alla fine della seconda guerra mondiale.

A inizio settembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione della Costituzione – una commissione speciale composta da 75 membri dell’Assemblea costituente – iniziò a discutere sull’organizzazione costituzionale dello Stato italiano, partendo da una relazione specifica, redatta dal deputato Costantino Mortati della Democrazia cristiana.

Tra le altre cose, nella sua relazione Mortati parlava della necessità di discutere sulla «funzione da attribuire al popolo come organo del potere legislativo», attraverso i referendum. Secondo il democristiano, questo strumento – «più intensamente usato in Svizzera e negli Stati Uniti» – aveva il vantaggio di «influire sui partiti, di costringerli a un maggiore contatto con il popolo per problemi concreti», ma anche lo svantaggio di «introdurre un elemento di disarmonia nell’unità dell’indirizzo politico». Servivano dunque degli accorgimenti per equilibrare questi due aspetti.

Nel dicembre del 1946 la seconda Sottocommissione incaricò così Mortati di formulare un progetto per introdurre nella Costituzione lo strumento del referendum. Il 17 gennaio dell’anno successivo iniziò poi il dibattito su questo progetto, che, tra le altre cose, fissava a un «ventesimo degli elettori» la soglia di firme da raggiungere per indire un referendum. Stiamo parlando di oltre un milione e 400 mila elettori dell’epoca, visto che alle elezioni dell’Assemblea costituente – tenutesi il 2 giugno 1946 – gli aventi diritti al voto in Italia erano poco più di 28 milioni.

Sulla soglia del «ventesimo degli elettori» ci furono già nella Costituente posizioni assai lontane tra loro. Secondo Umberto Nobile, iscritto al gruppo parlamentare Comunista, la soglia proposta da Mortati era «troppo esigua», mentre secondo il repubblicano Tomaso Perassi era «sufficientemente elevata, perché il referendum possa avere una base seria». Altri, come il democristiano Pietro Bulloni, sostennero che con la soglia di Mortati «l’istituto del referendum si renderebbe praticamente non sperimentabile» e che il numero andasse «notevolmente ridotto», a 500 mila elettori.

Il 18 gennaio 1947 si votò su quale soglia effettivamente introdurre in Costituzione. In quell’occasione Mortati avanzò la proposta, poi confermato dai membri della Sottocommissione, di fissare la soglia di firme richieste per indire un referendum a 500 mila, stesso limite stabilito in quei giorni all’articolo 138 della Costituzione per un altro tipo di referendum, quello di richiesta referendaria nel procedimento di revisione della stessa Costituzione (ci torneremo più avanti).

Come spiega un dossier del Senato, terminati i lavori in Sottocommissione, a fine 1947 nell’Assemblea costituente non ci fu particolare dibattito sulla questione delle 500 mila firme, mentre si decise di modificare il quorum per rendere valido il referendum. In base alla proposta della seconda Sottocommissione, la partecipazione sarebbe dovuta essere pari ai due quinti (40 per cento) degli aventi diritto. L’Assemblea decise di alzare il quorum alla maggioranza degli aventi diritto.

Le proposte per modificare l’articolo 75

Negli anni non sono mancate le proposte per modificare l’articolo 75 della Costituzione che regola il referendum abrogativo. Vediamo quali sono i disegni di legge proposti in questa diciottesima legislatura, per poi andare indietro nel tempo grazie alla banca dati del Senato.

Da marzo 2018 ad oggi sono stati presentati almeno nove progetti di legge in Parlamento per cambiare l’articolo 75 della Costituzione, ma nessuno tocca la questione delle 500 mila firme. C’è chi ha proposto di eliminare il quorum per l’approvazione del risultato finale di un referendum, come il leghista Roberto Calderoli, e chi tra il Movimento 5 stelle vorrebbe che si potessero fare referendum abrogativi anche sui trattati internazionali (possibilità attualmente vietata dalla Costituzione).

Proposte in questa direzione sono state fatte anche nella precedente legislatura (2013-2018), mentre nella sedicesima legislatura (2008-2013) la senatrice del Partito democratico Vittoria Franco aveva proposto di alzare la soglia della raccolta firme da 500 mila a un milione. Secondo Franco, l’aumento era motivato dal fatto che, rispetto al 1947, il numero degli elettori in Italia era aumentato.

Tornando ai giorni d’oggi, le 500 mila firme del 1947 corrispondevano a circa l’1,8 per cento dei 28 milioni di elettori dell’epoca. Nel 2021 gli aventi diritto di voto sono quasi 51 milioni. In proporzione, una soglia equivalente a quella pensata quasi 70 anni fa sarebbe di circa 920 mila firme.

Nella quindicesima legislatura il deputato dei Comunisti italiani Severino Galante propose con alcuni colleghi di cambiare il requisito delle 500 mila firme e di trasformarlo in una soglia percentuale: il «2 per cento dei cittadini aventi diritto al voto», ossia oggi circa un milione di elettori (un dato vicino a quello che abbiamo calcolato poco sopra). Durante la stessa legislatura il senatore di Forza Italia Cosimo Izzo ha avanzato il progetto di legge per aumentare la raccolta firme a 2 milioni. Nel 2005 c’è chi sosteneva che il numero più equo sarebbe stato 750 mila elettori, nel 2003 un milione o 700 mila, nel 2001 ancora un milione, e così via.

Ricapitolando: il dibattito sulla necessità di alzare il numero di firme necessario per indire un referendum abrogativo non è nulla di nuovo. Da più di vent’anni in Parlamento sono state avanzate proposte per aumentare questa soglia, fissando valori assoluti o percentuali, sulla base del numero degli aventi diritto.

Ricordiamo che le leggi per modificare la Costituzione (articolo 138) devono essere adottate sia dalla Camera che dal Senato con due successive deliberazioni, a distanza non minore di tre mesi, e devono essere approvate a maggioranza assoluta dei parlamentari nella seconda votazione. Come abbiamo già scritto sopra, queste leggi possono essere sottoposte a referendum se entro tre mesi dalla loro pubblicazione ne facciano richiesta 500 mila elettori, cinque Consigli regionali o un quinto dei membri di una camera. Il referendum non è concesso se la legge viene approvata in seconda votazione da ciascuna delle due camere con la maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

In conclusione

Negli ultimi giorni sta facendo molto discutere la rapidità con cui i promotori del referendum sulla cannabis legale si stanno avvicinando alla soglia delle 500 mila firme, necessarie per chiedere un referendum abrogativo, grazie alle firme digitali.

Questo numero è stato stabilito da un gruppo di membri dell’Assemblea costituente, che tra il 1946 e il 1947 aveva dovuto dibattere sulla necessità di introdurre i referendum nella nascente Costituzione e con quali limiti. All’inizio la proposta era quella di fissare una soglia su un ventesimo degli aventi diritto di voto, ma poi si era optato per il compromesso di 500 mila firme.

Almeno negli ultimi vent’anni ci sono state parecchie proposte per modificare questa soglia. Per esempio c’è stato chi ha proposto di innalzare la soglia tra le 700 mila e le 2 milioni di firme. Altri hanno proposto di introdurre una soglia percentuale, per esempio il 2 per cento degli aventi diritto di voto.

Ad oggi però tutte queste iniziative hanno trovato scarso successo. Per il momento la soglia delle 500 mila firme è rimasta quella fissata ormai 70 anni fa.