Per il referendum sulla cittadinanza il tempo stringe

Il quesito di Più Europa vuole facilitare l’accesso alla cittadinanza italiana, ma per tenersi il prossimo anno servono quasi mezzo milione di firme in meno due settimane
Ansa
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Il 4 settembre il segretario di Più Europa Riccardo Magi ha depositato alla Corte di Cassazione un nuovo referendum abrogativo che propone di modificare la legge che regola la concessione della cittadinanza italiana ai cittadini stranieri. La raccolta delle firme digitali sulla piattaforma del Ministero della Giustizia è iniziata due giorni dopo, ma in meno di due settimane sono state raccolte circa 27 mila firme: il 5 per cento delle 500 mila firme necessarie per avanzare la richiesta di referendum.

A queste firme vanno aggiunte quelle raccolte fisicamente dai promotori del referendum, ma il tempo stringe, visto che le 500 mila firme devono essere raccolte entro il prossimo 30 settembre. Oltre a Più Europa, altre associazioni stanno promuovendo il referendum, che chiede di cancellare parte dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992 sulla cittadinanza. Tra i partiti che sostengono l’iniziativa c’è anche il Partito Democratico, i cui vertici hanno dichiarato in una nota: «Non faremo mancare le nostre firme alla loro iniziativa». 

Vediamo che cosa propone il referendum e perché non sarà facile votare per questo quesito in tempi brevi.

Che cosa chiede il referendum sulla cittadinanza

Il referendum promosso da Più Europa e altre associazioni è un referendum abrogativo, ossia è una consultazione popolare in cui i proponenti chiedono di cancellare in tutto o in parte una legge. Nello specifico, il quesito depositato in Cassazione propone di intervenire su due lettere del primo comma dell’articolo 9 della legge sulla cittadinanza, quello che stabilisce le modalità di concessione della cittadinanza italiana agli stranieri. 

Nella versione attualmente in vigore, la lettera “b” del comma 1 dell’articolo 9 prevede che la cittadinanza possa essere concessa «allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione». La lettera “f” dello stesso comma consente invece di diventare cittadino «allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica». 

Detto altrimenti, oggi uno straniero maggiorenne adottato da italiani può diventare italiano dopo cinque anni di residenza, mentre per gli altri stranieri servono dieci anni di residenza. Il referendum propone di cancellare le parole «adottato da cittadino italiano» e «successivamente alla adozione» dal comma “b” e di cancellare tutto il comma “f”, portando quindi per tutti gli stranieri maggiorenni a cinque anni il periodo di residenza legale nel nostro Paese necessario a chiedere la cittadinanza italiana. 

«Per circa 130 anni la durata della residenza legale che doveva dimostrare uno straniero ai fini della concessione della cittadinanza è stata di cinque anni», ha spiegato a Pagella Politica Paolo Bonetti, professore di Diritto Costituzionale e pubblico dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, che ha partecipato alla formulazione del quesito. «La legge del 1992 ha deciso, invece, uno spezzettamento di questi termini, riducendoli a quattro anni per i cittadini dell’Unione europea e portandoli da cinque a dieci anni per i cittadini degli Stati extra-Ue».

Bonetti ha precisato inoltre che, nel caso in cui la modifica dovesse passare, «anche i figli minori conviventi otterrebbero la cittadinanza», conservando il diritto, una volta maggiorenni, di «rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza», come stabilisce l’articolo 14 della legge sulla cittadinanza. Dunque, un genitore straniero diventato italiano dopo cinque anni di residenza, potrebbe passare la cittadinanza al figlio. Con la norme in vigore attualmente, invece, il minore straniero che vuole ottenere la cittadinanza — se non può acquisirla tramite i genitori, che devono quindi attendere dieci anni — deve aspettare di compiere 18 anni e, al momento della domanda, deve dimostrare di aver sempre vissuto in Italia.

Che cosa cambierebbe

Se questo referendum dovesse essere approvato, sarebbe consentito a tutti gli stranieri maggiorenni di richiedere la cittadinanza italiana dopo cinque – e non dieci – anni di residenza ininterrotta nel Paese. Questo, comunque, a patto di soddisfare gli altri criteri. 

Non va dimenticato che per poter diventare cittadino italiano non basta dimostrare di aver vissuto stabilmente in Italia, ma bisogna anche conoscere la lingua, possedere adeguate risorse economiche e l’idoneità professionale, pagare le tasse in Italia e avere la fedina penale pulita. «La prima parte della legge sulla cittadinanza prevede lo ius sanguinis e lo ius soli con le limitazioni che oggi ci sono per i nati in Italia, che possono fare domande al diciottesimo anno e fino al compimento del diciannovesimo, ma soltanto se hanno il requisito dei dieci anni continuativi. Poi c’è la seconda parte, che riguarda il percorso di naturalizzazione», ha spiegato Magi a Pagella Politica. «Le due cose sono percorsi distinti. Noi interveniamo su questo, ma serve un intervento anche sulla prima parte».

Secondo gli esperti, ai tempi attualmente previsti dalla legge per ottenere la cittadinanza occorre sommare quelli della burocrazia. Secondo il professor Bonetti, si tratta di altri due o tre anni da aggiungere a quelli trascorsi per poter fare domanda, che allo stato attuale significa aspettare fino a 13 anni. «È un paradosso. Facciamo un esempio: se io riesco a presentare la domanda solo quando uno dei miei figli ha 14 anni e l’altro ne ha 18, sicuramente il diciottenne resterà straniero, mentre l’altro fratello, visto che il procedimento dura due o tre anni, sarebbe in grado di ottenere la cittadinanza. Quindi nella stessa famiglia il giorno in cui padre e figlio festeggiano la cittadinanza, c’è un figlio che rimane straniero», ha spiegato Bonetti. 

«Portare gli anni di residenza in Italia a cinque ci avvicina alle normative più avanzate delle democrazie europee. Si pensi che in Germania di recente è stata modificata la legge sulla cittadinanza (qui la legge attuale, ndr) portando da otto a cinque anni il periodo di legale soggiorno continuativo», ha dichiarato Magi. Il riferimento di Magi è alla riforma della legge sulla cittadinanza tedesca, approvata a fine giugno, che ha ridotto gli anni di residenza richiesti nel Paese per l’ottenimento della cittadinanza per gli stranieri. Come abbiamo spiegato in un nostro precedente approfondimento, le norme attuali sulla cittadinanza italiana non sono le più generose d’Europa, sebbene i numeri sulle cittadinanza concesse suggeriscano il contrario.

Il dibattito sulla cittadinanza

Sulla possibilità di modificare le regole per la concessione della cittadinanza si è dibattuto molto quest’estate, dopo che il leader di Forza Italia Antonio Tajani ha aperto alla possibilità di modificare la legge introducendo lo ius scholae, ossia il “diritto di scuola” che permetterebbe ai bambini stranieri che hanno concluso un percorso di studi nel nostro Paese di chiedere la cittadinanza italiana. 

Secondo Gianfranco Schiavone, consigliere dell’Associazione per gli Studi giuridici sull’Immigrazione (Asgi), la modifica della legge n. 91 del 1992 aiuterebbe a risolvere il dibattito, in quanto interverrebbe sul tema ancora più efficacemente dello ius scholae. «Ci troviamo in questa situazione perché sono i genitori a non riuscire mai a diventare cittadini, a causa di questo prolungamento abnorme dei tempi. Se questi fossero dimezzati, il tema dello ius scholae verrebbe parzialmente prosciugato e avremmo una situazione normale, in cui sono i genitori a trasmettere la cittadinanza e non il paradosso in cui i genitori sono bloccati e noi discutiamo se darla al bambino», ha dichiarato Schiavone. 

Tuttavia, bisogna chiarire che ius soli, ius scholae e referendum sulla cittadinanza sono tre tipi di intervento diversi tra loro. Lo ius soli riguarda chi nasce in Italia, mentre lo ius scholae chi completa un ciclo di studi nel nostro Paese. La proposta referendaria depositata da Più Europa alla Corte di Cassazione riguarda invece le persone che risiedono legalmente in Italia da almeno cinque anni e i rispettivi figli minori. 

«I requisiti per la cittadinanza sono oggi già gli stessi richiesti per il permesso di soggiorno Ue per i soggiornanti di lungo periodo (che prevede, a differenza della cittadinanza, un periodo di soggiorno in Italia di almeno cinque anni, ndr.). Quindi è anche facile calcolare quanti sarebbero i potenziali beneficiari. L’Istat nelle sue statistiche aggiornate al gennaio 2023 indica che esistono in Italia circa 2,3 milioni stranieri titolari di questo tipo di permesso di soggiorno», ha spiegato il professor Bonetti. Il numero è corretto: secondo l’istituto nazionale di statistica, infatti, i permessi di soggiorno di lungo periodo, quelli rilasciati ai cittadini non comunitari che risiedono in maniera stabile e continuativa in Italia da almeno cinque anni, sono il 60 per cento dei 3,7 milioni in corso di validità, ossia circa 2,3 milioni.

Quindi, poiché i criteri per ottenere il permesso di lungo soggiorno e la cittadinanza italiana sono gli stessi, a oggi ogni straniero che ottiene il primo potrebbe chiedere anche la seconda, a patto però di aspettare altri cinque anni. Se il referendum venisse approvato, invece, questi stranieri potrebbero diventare cittadini dopo i primi cinque anni. Per fare un confronto, secondo le stime di Pagella Politica, lo ius scholae riguarderebbe potenzialmente circa un milione di studenti nei prossimi anni, mentre con lo ius soli otterrebbero subito la cittadinanza italiana tutti i minori stranieri nati in Italia (circa 1,2 milioni), più i futuri nuovi nati (circa 50 mila all’anno).

Tempi stretti

In ogni caso, la strada per il referendum sulla legge sulla cittadinanza non è semplice.

Secondo la legge, i quesiti per i referendum abrogativi devono essere depositati alla Corte di Cassazione tra il 1° gennaio e il 30 settembre di ogni anno, e sempre entro il 30 settembre devono essere raccolte almeno 500 mila firme in tutta Italia. Al momento della pubblicazione di questo articolo – se si contano solo le firme digitali – il comitato promotore del referendum deve trovare altre 474 mila firme in poco più di due settimane di tempo, un obiettivo non facile.

Se sarà raggiunta la soglia minima delle 500 mila firme, quest’ultime passeranno al vaglio della Corte di Cassazione, che deve valutare che sia tutto conforme alla legge, stabilendo se la raccolta delle firme è avvenuta in modo legittimo o se il numero di firme è sufficiente. In seguito, il quesito sarà trasmesso alla Corte Costituzionale, che entro il 10 febbraio dovrà giudicare se la proposta è ammissibile o meno. A quel punto, in caso di giudizio positivo, il referendum potrà essere organizzato e sarà fissata una data tra il 15 aprile e il 15 giugno 2025.

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