Non è vero che nessun Paese Ue ha lo ius scholae

Il ministro Matteo Piantedosi non dice la verità: per esempio in Grecia e in Portogallo la cittadinanza può essere data sulla base del percorso scolastico  
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
Il 23 agosto, in un’intervista con Il Giornale, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha commentato il dibattito su una possibile riforma della legge che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri, in particolare ai bambini. Nei giorni precedenti il leader di Forza Italia Antonio Tajani ha detto infatti che il suo partito è disponibile a discutere in Parlamento dell’introduzione in Italia dello ius scholae (dal latino, “diritto di scuola”). In base a questo principio, la cittadinanza italiana sarebbe concessa agli stranieri che hanno frequentato le scuole o concluso uno o più cicli di studio nel nostro Paese (i requisiti precisi devono essere contenuti in una legge approvata dal Parlamento).

Piantedosi ha dichiarato che «ogni dibattito pubblico sul tema è pienamente legittimo», ma alla domanda dell’intervistatrice Hoara Borselli: «In Europa nessuno applica lo ius scholae o sbaglio?», il ministro dell’Interno ha risposto: «Non sbaglia». Il giorno successivo, in un’intervista con Libero, anche il sottosegretario al Ministero dell’Interno Nicola Molteni (Lega) ha ribadito lo stesso concetto, dicendo che «il modello dello ius scholae non esiste in nessun Paese europeo».

Per controllare se questa dichiarazione è supportata dai fatti oppure no, abbiamo analizzato le leggi che nei 27 Stati membri dell’Unione europea regolano la concessione della cittadinanza agli stranieri. Sia Piantedosi sia Molteni sbagliano: non è vero che nessun Paese Ue ha lo ius scholae.

I vari ius

Prima di analizzare quali Paesi hanno una qualche forma di ius scholae, è utile mettere un po’ d’ordine tra i termini usati più di frequente nel dibattito politico, il cui significato può non essere noto a tutti.

In Italia la concessione della cittadinanza è regolata dalla legge n. 91 del 1992, che in oltre trent’anni è stata modificata solo marginalmente. Questa legge stabilisce che chi ha almeno un genitore italiano acquisisce alla nascita la cittadinanza italiana. Questo è il principio dello ius sanguinis (dal latino, “diritto di sangue”), che si contrappone allo ius soli (dal latino, “diritto di suolo”): in base a questo secondo principio, chiunque nasce nel territorio di uno Stato diventa cittadino di quello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Lo ius soli è diffuso soprattutto in Paesi del Nord e Sud America, come gli Stati Uniti e l’Argentina, mentre nell’Ue esistono forme di ius soli con vincoli aggiuntivi. Per esempio un bambino nato in Francia da genitori stranieri ottiene alla nascita la cittadinanza francese se almeno uno dei genitori è nato in Francia (questo principio è chiamato “doppio ius soli”). 

La legge n. 91 del 1992 stabilisce poi altri modi con cui gli stranieri possono ottenere la cittadinanza italiana. Per esempio uno straniero maggiorenne può ricevere la cittadinanza dopo aver vissuto legalmente per dieci anni in Italia, mentre un bambino straniero nato nel nostro Paese può ottenerla solo una volta compiuti 18 anni, se fino a quell’età ha risieduto legalmente in Italia senza interruzioni. 

Negli ultimi anni il dibattito politico si è concentrato su quest’ultimo requisito, in particolare sulla possibilità di concedere la cittadinanza italiana sulla base di un altro ius, chiamato ius culturae (dal latino, “diritto di cultura”) o ius scholae (dal latino, “diritto di scuola”). Come suggeriscono i due nomi, sia lo ius culturae sia lo ius scholae legano la concessione della cittadinanza all’aver frequentato le scuole in Italia.

Di ius culturae si è parlato soprattutto a proposito della proposta di legge approvata nel 2015 dalla Camera, poi bloccata al Senato. Tra le altre cose, questa riforma proponeva che i bambini stranieri arrivati in italia prima dei 12 anni di età potessero ottenere la cittadinanza italiana dopo aver frequentato cinque anni di scuola nel nostro Paese. Questa è una delle possibili forme che potrebbe prendere lo ius culturae (o scholae). Nel 2014 la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni si era espressa a favore dello ius culturae, ma inteso in un senso più restrittivo. All’epoca, secondo l’attuale presidente del Consiglio, la cittadinanza italiana andava data ai minori stranieri che avessero finito la scuola dell’obbligo in Italia, che va dai sei ai 16 anni di età.
Di ius scholae si è parlato con più insistenza nella scorsa legislatura, quando è stata discussa alla Camera – senza essere approvata – una proposta di legge che chiedeva di concedere la cittadinanza italiana ai minori stranieri che avessero concluso un ciclo di studi in Italia (per esempio, dopo aver finito le scuole elementari o le scuole medie). 

È bene sottolineare che quando in questi giorni si parla di ius scholae o culturae, non necessariamente si fa riferimento alle proposte di legge del passato o a una precisa proposta di legge presentata in Parlamento dopo le elezioni del 2022. Fino a oggi, in questa legislatura sono state presentate varie proposte per cambiare la legge sulla cittadinanza italiana, con lo ius scholae declinato in modi diversi. Proprio in modi diversi questo principio è adottato in alcuni Paesi europei, sebbene siano una minoranza.

Dove c’è lo ius scholae

Come detto, per verificare le dichiarazioni del ministro Piantedosi e del sottosegretario Molteni abbiamo analizzato le norme sulla cittadinanza nei 27 Paesi Ue. Partiamo dagli altri tre grandi Paesi, ossia dalla Germania, dalla Francia e dalla Spagna. Di recente, abbiamo spiegato in un altro articolo che la legge italiana per la concessione della cittadinanza ai bambini stranieri ha i requisiti più stringenti tra i quattro grandi Paesi Ue. Detto altrimenti, in Germania, Francia e Spagna i minori stranieri possono ottenere più facilmente la cittadinanza tedesca, francese o spagnola. 

Germania, Francia e Spagna non legano però la concessione della loro cittadinanza al sistema scolastico, come vorrebbero i sostenitori dello ius scholae, anche se ci sono un paio di eccezioni. In Francia un minore straniero che ha vissuto nel Paese dall’età di sei anni può ottenere la cittadinanza da maggiorenne se ha concluso la scuola dell’obbligo in Francia e se ha un fratello o una sorella che possiede già la cittadinanza francese. In Germania i tempi per ottenere la cittadinanza tedesca possono essere ridotti se si dimostra «un livello eccezionale di integrazione», per esempio con il raggiungimento di «risultati eccellenti a scuola». 

Il principio dello ius scholae è comunque presente in una qualche forma in altri quattro Paesi Ue. L’esempio più vicino alle proposte di legge fatte negli scorsi anni in Italia è la Grecia. Qui l’articolo 1 della legge che regola la concessione della cittadinanza è molto simile a quello della legge italiana: chi ha almeno un genitore greco ottiene alla nascita la cittadinanza greca. Ci sono poi due norme che permettono a un minore straniero di ottenere la cittadinanza greca sulla base della sua frequentazione del sistema scolastico greco. Se un bambino straniero nasce in Grecia da almeno un genitore che ha vissuto regolarmente nel Paese nei cinque anni precedenti, può chiedere (art. 1a) la cittadinanza greca quando dimostra di essersi iscritto al primo anno delle scuole elementari. Un bambino straniero non nato in Grecia, invece, può ottenere (art. 1b) la cittadinanza greca dopo aver completato con successo nove classi di istruzione primaria e secondaria o sei classi di istruzione secondaria. Come è evidente, questo è a tutti gli effetti un caso di legge sulla cittadinanza che contiene lo ius scholae.

In Portogallo un minore straniero può ricevere (art. 6) la cittadinanza portoghese, una volta raggiunti i 16 anni di età, se ha frequentato almeno un anno di istruzione prescolare o di istruzione di base, secondaria o professionale. Anche in questo caso la richiesta della cittadinanza è legata all’aver frequentato le scuole portoghesi.

In altri due Paesi la concessione della cittadinanza può essere concessa agli adulti stranieri sulla base del loro percorso di studi. In Lussemburgo un adulto straniero può chiedere (art. 27) la cittadinanza lussemburghese se vive almeno da un anno nel Paese e se ha completato almeno sette anni di scuola pubblica o privata nel Lussemburgo. La legge sulla cittadinanza in Slovenia consente (art. 12) di diventare sloveno agli stranieri che hanno frequentato e completato con successo almeno un programma di istruzione superiore nel Paese, a patto che abbiano vissuto in Slovenia per almeno sette anni, di cui almeno ininterrottamente un anno prima della presentazione della richiesta di cittadinanza. 

Ricapitolando: non è vero come dicono il ministro Piantedosi e il sottosegretario Molteni che il principio dello ius scholae non è presente in nessun Paese europeo. Questo principio può essere declinato in vari modi e, in una qualche forma, è presente in Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Slovenia.

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