Il 1° luglio diversi politici del Partito democratico, da Emanuele Fiano a Brando Benifei, passando per Alessia Morani e Pina Picierno, hanno accusato di «incoerenza» la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, scrivendo sui social che un tempo era favorevole al cosiddetto “ius scholae”, mentre oggi si oppone a questa riforma della legge sulla cittadinanza. L’accusa degli esponenti del Pd è però fuorviante, come ha correttamente sottolineato Meloni su Facebook.
L’oggetto del contendere è un messaggio pubblicato da Meloni su Twitter a ottobre 2014, in cui si legge: «No all’automatismo dello ius soli. Sì allo ius culturae per chi è fieramente di cultura italiana dopo aver finito la scuola dell’obbligo». Già all’epoca infatti si discuteva di riformare la legge sulla cittadinanza italiana, in vigore dal 1992. La leader di Fratelli d’Italia era contraria alla possibilità di concedere la cittadinanza automaticamente a chi nasceva da genitori stranieri su territorio italiano (il sistema del cosiddetto “ius soli”), ma favorevole allo ius culturae, e più precisamente alla possibilità di concedere la cittadinanza italiana ai minori stranieri che avevano «finito la scuola dell’obbligo». In Italia, l’istruzione obbligatoria è impartita per almeno 10 anni e riguarda la fascia di età tra i 6 e 16 anni.
A differenza di quanto scritto da alcuni politici del Pd, questa è una posizione diversa rispetto allo ius scholae, che è al centro di una proposta di legge attualmente all’esame della Camera. Il testo, sostenuto oltre che dal Pd anche dal Movimento 5 stelle, prevede che la cittadinanza italiana possa essere concessa – su richiesta – a un minore straniero nato in Italia, o che abbia fatto ingresso nel Paese entro i 12 anni di età, e che abbia frequentato regolarmente almeno cinque anni di scuola nel territorio nazionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi la scuola elementare, per vedersi concedere la cittadinanza italiana il minore straniero deve aver concluso il corso con la promozione.
Dunque, la proposta dello ius scholae è più generosa rispetto a quella dello ius culturae, difesa da Meloni otto anni fa. A fine marzo scorso, durante l’esame della proposta in Commissione Affari costituzionali della Camera, Fratelli d’Italia aveva presentato un emendamento, a firma proprio di Meloni, con cui si chiedeva di introdurre come requisito per ottenere la cittadinanza italiana il compimento di due cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione. «Per Fratelli d’Italia la cittadinanza deve essere il punto di arrivo di un percorso e non il punto di partenza», aveva dichiarato all’epoca il deputato di Fdi Emanuele Prisco, capogruppo del partito in commissione.
L’oggetto del contendere è un messaggio pubblicato da Meloni su Twitter a ottobre 2014, in cui si legge: «No all’automatismo dello ius soli. Sì allo ius culturae per chi è fieramente di cultura italiana dopo aver finito la scuola dell’obbligo». Già all’epoca infatti si discuteva di riformare la legge sulla cittadinanza italiana, in vigore dal 1992. La leader di Fratelli d’Italia era contraria alla possibilità di concedere la cittadinanza automaticamente a chi nasceva da genitori stranieri su territorio italiano (il sistema del cosiddetto “ius soli”), ma favorevole allo ius culturae, e più precisamente alla possibilità di concedere la cittadinanza italiana ai minori stranieri che avevano «finito la scuola dell’obbligo». In Italia, l’istruzione obbligatoria è impartita per almeno 10 anni e riguarda la fascia di età tra i 6 e 16 anni.
A differenza di quanto scritto da alcuni politici del Pd, questa è una posizione diversa rispetto allo ius scholae, che è al centro di una proposta di legge attualmente all’esame della Camera. Il testo, sostenuto oltre che dal Pd anche dal Movimento 5 stelle, prevede che la cittadinanza italiana possa essere concessa – su richiesta – a un minore straniero nato in Italia, o che abbia fatto ingresso nel Paese entro i 12 anni di età, e che abbia frequentato regolarmente almeno cinque anni di scuola nel territorio nazionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi la scuola elementare, per vedersi concedere la cittadinanza italiana il minore straniero deve aver concluso il corso con la promozione.
Dunque, la proposta dello ius scholae è più generosa rispetto a quella dello ius culturae, difesa da Meloni otto anni fa. A fine marzo scorso, durante l’esame della proposta in Commissione Affari costituzionali della Camera, Fratelli d’Italia aveva presentato un emendamento, a firma proprio di Meloni, con cui si chiedeva di introdurre come requisito per ottenere la cittadinanza italiana il compimento di due cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione. «Per Fratelli d’Italia la cittadinanza deve essere il punto di arrivo di un percorso e non il punto di partenza», aveva dichiarato all’epoca il deputato di Fdi Emanuele Prisco, capogruppo del partito in commissione.