Il fact-checking del dibattito sullo ius scholae

Che cosa c’è di vero, e cosa no, nelle posizioni dei favorevoli e contrari alla riforma della legge sulla cittadinanza
ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO
ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO
Il 29 giugno è iniziata alla Camera dei deputati la discussione della proposta di legge sul cosiddetto “ius scholae” (dal latino, “diritto di scuola”), un testo che chiede di riformare i requisiti per ottenere la cittadinanza italiana. L’obiettivo dei promotori – tra cui ci sono il Partito democratico e il Movimento 5 stelle – è quello di concedere la cittadinanza ai minori stranieri che hanno frequentato un ciclo scolastico nel nostro Paese per almeno cinque anni, senza dover necessariamente attendere il compimento dei 18 anni di età. Secondo i contrari, come Lega e Fratelli d’Italia, questa proposta è sbagliata per una serie di motivi.

Per fare chiarezza su un tema così divisivo all’interno del Parlamento, abbiamo verificato, numeri e leggi alla mano, sette argomentazioni usate dai favorevoli e contrari allo ius scholae a sostegno delle loro posizioni.

È vero che l’Italia è uno dei Paesi che dà più cittadinanze agli stranieri?

La risposta è sì. Secondo i dati Eurostat più aggiornati, nel 2020 l’Italia ha concesso la cittadinanza a quasi 132 mila persone, il dato più alto dell’Unione europea, davanti a Spagna (circa 126.300) e Germania (circa 111.200). Nel 2019 e 2018 il nostro Paese era secondo, e primo nel 2017, 2016 e 2015.

Questo, però, non significa necessariamente che l’attuale legge italiana sulla cittadinanza, in vigore da oltre trent’anni, sia la più generosa di tutte quelle europee, come lasciano intendere i contrari allo ius scholae. Secondo il Migrant integration policy index, un indicatore realizzato da alcuni ricercatori europei per confrontare le politiche migratorie di 56 Paesi nel mondo, i requisiti della legge italiana sulla cittadinanza non sono i più generosi dell’Ue, ma nemmeno i più severi: 13 Stati membri hanno condizioni meno rigide di quelle italiane, 13 più severe. 

Inoltre, va sottolineato che la maggioranza delle cittadinanze italiane concesse va a cittadini arrivati dagli anni Novanta in poi soprattutto dall’Albania e dal Marocco, che viste le tempistiche previste dalla legge hanno maturato negli ultimi anni i requisiti per vedersi concessa la cittadinanza.

È vero che lo ius scholae riguarda un milione di stranieri?

La risposta è nì. Questo dato – spesso citato dai favorevoli allo ius scholae per sottolineare l’importanza della proposta di legge – fa molto probabilmente riferimento a una statistica del Ministero dell’Istruzione, secondo cui nell’anno scolastico 2019/2020 gli alunni con cittadinanza non italiana sono stati circa 877 mila.

Non tutti però potrebbero beneficiare immediatamente dello ius scholae. In base alla proposta di legge, la cittadinanza italiana può essere concessa a un minore straniero che rispetta una serie di requisiti. Tra le altre cose, il minore deve essere nato in Italia o deve avervi fatto ingresso entro i 12 anni di età, e deve aver frequentato regolarmente almeno cinque anni di scuola nel territorio nazionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi la scuola elementare, per vedersi concedere la cittadinanza italiana il minore straniero deve aver concluso il corso con la promozione. Un dossier del Parlamento spiega comunque che alle scuole elementari non ci sono grosse differenze tra il numero di studenti italiani promossi e quelli stranieri.

Al momento non sono disponibili statistiche su chi rispetta i requisiti  dello ius scholae all’interno della popolazione studentesca straniera in Italia. Secondo una stima pubblicata da lavoce.info ad aprile scorso, i potenziali beneficiari immediati dello ius scholae potrebbero essere al massimo 330 mila studenti.

È vero che i minori stranieri non hanno gli stessi diritti fondamentali di quelli italiani?

La risposta è sostanzialmente no. A tutela del minore opera la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, redatta dall’Assemblea generale delle Nazioni unite nel 1989 e ratificata dall’Italia nel 1991. In base a questa convenzione e alla Costituzione, lo Stato italiano garantisce ai minori stranieri diritti fondamentali, come l’accesso all’istruzione di ogni ordine e grado e alle cure sanitarie.

Possono crearsi comunque situazioni in cui ci sia una disparità di trattamento tra un minore cittadino italiano e un minore straniero, ma queste non hanno a che fare con i diritti fondamentali. Si pensi, per esempio, a due compagni di classe entrambi nati in Italia, uno con passaporto italiano e uno con passaporto iracheno, che devono andare all’estero. La differenza di trattamento sarebbe, per la maggior parte delle mete, evidente.

È vero che lo ius scholae è uno ius soli “mascherato”?

La risposta è no. Lo ius soli (dal latino, “diritto del suolo”) fa riferimento alla possibilità per chi nasce in un determinato Paese di ottenerne immediatamente la cittadinanza. Leggi della cittadinanza basate sullo ius soli sono diffuse soprattutto in America, e meno in Europa, dove in alcuni Stati vige il cosiddetto “ius soli temperato”: una forma di ius soli, dove però la nascita nel Paese non basta per poter ottenere la cittadinanza. 

Tornando all’Italia, non è vero che lo ius scholae, indirettamente, introduce lo ius soli. Per fare un esempio concreto, se questo fosse vero, un bambino nato in Italia da genitori stranieri potrebbe ottenere la cittadinanza italiana proprio perché nato nel nostro Paese. Ma come abbiamo visto, lo ius scholae non prevede questa possibilità, anzi, prevede requisiti più stringenti dello ius soli, tra cui l’aver frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni.

È vero che con lo ius scholae basta solo un genitore per chiedere la cittadinanza?

La risposta è sì. Il testo originario della proposta di legge sullo ius scholae prevedeva che il minore straniero potesse ottenere la cittadinanza con una richiesta firmata «da entrambi i genitori legalmente residenti in Italia o da chi esercita la responsabilità genitoriale». Il 28 giugno, la Commissione Affari costituzionali ha modificato il testo, prevedendo che la richiesta di cittadinanza per il minore venga fatta da un solo genitore legalmente residente in Italia, e non più da entrambi.

«Abbiamo approvato questo emendamento per tutelare tutti i minori nati da genitori stranieri, perché spesso succede che alcuni abbiano uno solo dei genitori con la residenza legale nel nostro Paese», ha spiegato a Pagella Politica il deputato del Partito democratico Matteo Mauri. «Se il testo fosse rimasto alla versione precedente, i minori stranieri che hanno un solo genitore residente in Italia sarebbero stati esclusi dalla cittadinanza, perché il testo della legge prevedeva il requisito della residenza in Italia per entrambi i genitori».

I contrari allo ius scholae hanno criticato questa modifica, sostenendo che ​danneggi la parità genitoriale. ​«Il nostro ordinamento prevede la responsabilità di entrambi i genitori per la gran parte degli atti che riguardano un minore, dall’iscrizione all’anagrafe fino all’iscrizione a scuola», ha spiegato a Pagella Politica la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli. «Temo che questa modifica possa favorire gli uomini, soprattutto in alcune famiglie islamiche dove la donna è sottomessa al volere del marito. In quel caso, è molto probabile che la richiesta di cittadinanza per il figlio minorenne venga esercitata dall’uomo. Inoltre, non è stato previsto alcun tipo di coinvolgimento del minore, che non ha la possibilità di esprimersi in alcun modo riguardo la richiesta della cittadinanza».

È vero che lo ius scholae impone la cittadinanza per legge?

La risposta è no. Come abbiamo visto, il minore straniero può ottenere la cittadinanza italiana su richiesta del genitore, non in automatico. In più, l’interessato può rinunciare alla cittadinanza italiana acquisita entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, purché in possesso di altra cittadinanza.

È vero che lo ius scholae ostacola l’espulsione dei genitori stranieri?

La risposta è sì, ma in parte. Secondo i contrari allo ius scholae, la riforma della cittadinanza impedirebbe di espellere dall’Italia i genitori dei minori stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza italiana prima dei 18 anni di età. 

In effetti, l’articolo 19 del Testo unico sull’immigrazione stabilisce che non sia possibile espellere «gli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado, o con il coniuge, di nazionalità italiana». Ma possono esserci eccezioni. Il Ministero dell’Interno potrebbe comunque decidere di espellere un genitore convivente con il minore diventato cittadino italiano «per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato», come ha spiegato a Pagella Politica Livio Neri, avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).

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