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Referendum abrogativo

«Vota sì per dire no», «vota no per dire sì». La caratteristica dei referendum abrogativi di puntare a eliminare, del tutto o in parte, una serie di leggi attualmente in vigore ha sempre causato una certa confusione negli elettori. In breve, in un referendum abrogativo, chi vota “sì” è favorevole alla cancellazione, totale o parziale, delle norme oggetto dei quesiti, mentre chi vota “no” è contrario alle modifiche proposte, e vuole quindi che le leggi oggetto di referendum non vengano cambiate.

Negli anni, per questa sua caratteristica, il referendum abrogativo ha generato una curiosa serie di slogan e campagne promozionali sui temi oggetto delle votazioni, alcuni di grande successo, altri meno.

La Costituzione italiana prevede che un referendum abrogativo per poter essere valido deve raggiungere il cosiddetto “quorum”: deve cioè votare almeno il 50 per cento più uno degli aventi diritto. Stiamo parlando di circa 26 milioni di votanti, su un totale di circa 51 milioni di elettori. Il primo referendum abrogativo in Italia si è tenuto nel 1974 e ha riguardato il divorzio: votò l’88 per cento degli elettori e i contrari all’abolizione del divorzio – dunque per mantenerlo: capito la complicazione? – vinsero con il 59 per cento dei voti.

Nel complesso, in 48 anni in Italia gli elettori sono stati chiamati a esprimersi su 68 quesiti referendari abrogativi. In 29 casi, il 42 per cento del totale, non si è raggiunto il quorum, mentre in 39 casi, il 58 per cento, sì. 

L’affluenza media è stata pari al 52 per cento, che sale al 68 per cento in media quando il quorum è stato raggiunto e si ferma al 31 per cento quando invece il quorum è stato mancato. La maggiore affluenza si è registrata proprio con il referendum sul divorzio, mentre quella minore si è registrata negli ultimi referendum sulla giustizia di giugno 2022, dove ha votato solo il 20,9 per cento degli elettori.
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