Nelle ultime settimane si è tornato a discutere delle regole per l’ottenimento della cittadinanza italiana. In particolare, in varie interviste, il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia Antonio Tajani ha parlato della sua proposta di una riforma della legge che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri, introducendo il cosiddetto ius scholae (dal latino, “diritto di scuola”). Questo è il principio in base al quale si dovrebbe concedere la cittadinanza italiana ai bambini stranieri che hanno concluso un percorso di studi nel nostro Paese.
Tajani ha specificato che questo tema non è una «priorità», ma le sue parole hanno aperto un confronto all’interno della maggioranza di governo, che è formata sia da partiti favorevoli allo ius scholae, come appunto Forza Italia, sia da partiti contrari, come Fratelli d’Italia e Lega. La discussione sul tema della cittadinanza ha sollevato subito una serie di questioni identitarie. Che cosa significa essere cittadino italiano? Quali parametri dovremmo usare per definire chi dovrebbe ottenere la cittadinanza e chi no? La concessione della cittadinanza ai “nuovi italiani” rischia di minare la nostra identità nazionale?
Si è parlato meno, invece, degli effetti economici che queste politiche hanno sui conti dello Stato, dal momento che la naturalizzazione dei lavoratori migranti potrebbe avere per queste persone un impatto rilevante dal punto di vista lavorativo. Il perché è semplice: una persona con la cittadinanza italiana non deve far fronte a una serie di adempimenti burocratici che ostacolano l’accesso al mercato del lavoro, come per esempio le procedure necessarie per ottenere e rinnovare un visto. Insomma, lavorare in Italia da cittadino italiano è più semplice rispetto a farlo da straniero. Per quanto questo principio sia scontato e tutto sommato applicabile in qualsiasi posto del mondo, non è facile quantificare i vantaggi che un lavoratore italiano ha rispetto a uno straniero in Italia.
Lo scorso anno, la settima edizione del rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni redatto dal Centro Studi Luca d’Agliano, un centro di ricerca che si occupa di economia internazionale, dello sviluppo e delle migrazioni, ha provato a stimare le differenze dei risultati ottenuti sul mercato del lavoro da persone nate all’estero che hanno ottenuto o che non hanno ottenuto la cittadinanza del Paese in cui risiedono.
Tajani ha specificato che questo tema non è una «priorità», ma le sue parole hanno aperto un confronto all’interno della maggioranza di governo, che è formata sia da partiti favorevoli allo ius scholae, come appunto Forza Italia, sia da partiti contrari, come Fratelli d’Italia e Lega. La discussione sul tema della cittadinanza ha sollevato subito una serie di questioni identitarie. Che cosa significa essere cittadino italiano? Quali parametri dovremmo usare per definire chi dovrebbe ottenere la cittadinanza e chi no? La concessione della cittadinanza ai “nuovi italiani” rischia di minare la nostra identità nazionale?
Si è parlato meno, invece, degli effetti economici che queste politiche hanno sui conti dello Stato, dal momento che la naturalizzazione dei lavoratori migranti potrebbe avere per queste persone un impatto rilevante dal punto di vista lavorativo. Il perché è semplice: una persona con la cittadinanza italiana non deve far fronte a una serie di adempimenti burocratici che ostacolano l’accesso al mercato del lavoro, come per esempio le procedure necessarie per ottenere e rinnovare un visto. Insomma, lavorare in Italia da cittadino italiano è più semplice rispetto a farlo da straniero. Per quanto questo principio sia scontato e tutto sommato applicabile in qualsiasi posto del mondo, non è facile quantificare i vantaggi che un lavoratore italiano ha rispetto a uno straniero in Italia.
Lo scorso anno, la settima edizione del rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni redatto dal Centro Studi Luca d’Agliano, un centro di ricerca che si occupa di economia internazionale, dello sviluppo e delle migrazioni, ha provato a stimare le differenze dei risultati ottenuti sul mercato del lavoro da persone nate all’estero che hanno ottenuto o che non hanno ottenuto la cittadinanza del Paese in cui risiedono.