Beppe Grillo scalda i motori per le elezioni europee (che ha già annunciato di voler vincere) attaccando un trattato spesso citato ma forse poco compreso dai più.
Partiamo quindi dall’inizio: il cosiddetto “Fiscal Compact” è un tassello importante – insieme al “Six Pack” ed al “Two Pack” – della nuova governance fiscale che l’Unione europea (ed in particolare l’Eurozona) si è data negli scorsi anni. In realtà non è un trattato a sé stante bensì una sezione del “Trattato sulla Stabilità, sul Coordinamento e sulla Governance nell’Unione Economica e Monetaria“, sottoscritto nel marzo del 2012 da 25 Paesi membri (tutti tranne il Regno Unito, la Repubblica Ceca e la Croazia che non era ancora parte dell’Unione). All’articolo 4 ci imbattiamo nel tema a cui fa riferimento Beppe Grillo nella dichiarazione in analisi: “Quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore di riferimento del 60% […] tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di un ventesimo all’anno come parametro di riferimento”. Il concetto non appare chiarissimo nell’articolo del trattato, ma è spiegato bene in questo articolo dell’Osservatorio Economico dell’Università di Sciences Po (Parigi) in cui si legge che la riduzione è pari a un ventesimo della differenza tra il debito pubblico attuale e il valore corrispondente al 60% del Pil.
Torniamo alla dichiarazione: perché Grillo dice “nel 2015” se il trattato è già stato firmato? Come spiega questo articolo dell’European Council on Foreign Relations, la regola dell’1/20 (o del 5% che si voglia dire) diventa vincolante solo quattro anni dopo che un Paese è uscito dalla “sorveglianza speciale” dell’Ue all’interno della procedura di disavanzo eccessivo, ossia quando ha portato il proprio deficit sotto il livello del 3% del Pil. Secondo David Barnes dell’Ocse, gli anni che devono passare in realtà sono tre; in ogni caso, visto che l’Italia è uscita solo a giugno di quest’anno dalla procedura di disavanzo eccessivo (e chissà che non ci ricaschi), non dovrà rispettare la regola del 5% prima del 2016-17. Prima piccola imprecisione per il leader del M5S.
Passiamo ora ai numeri più “tosti”. E’ vero che dovremmo ridurre la spesa di 50 miliardi all’anno per 20 anni? Non proprio. Per provare a verificare quanto detto da Grillo, abbiamo usato le stime del Fondo Monetario Internazionale per proiettare al 2030 l’andamento del Pil nostrano a prezzi correnti e, allo stesso tempo, tagliare 50 miliardi all’anno dal valore stimato del debito pubblico nel 2015 (“Debito A” nel foglio di calcolo linkato qui di seguito).
I nostri conti sono aperti a tutti (e vi invitiamo a controllarli). E’ importante segnalare che Grillo commette due errori di partenza: in primis 1/20 della differenza tra il valore del debito pubblico nel 2015 e il valore di riferimento (ovvero il 60% del Pil 2015) sarebbe pari a circa 58,5 miliardi, non 50. In secundis tale riduzione avverrebbe solo nel primo anno: poiché è un valore relativo al debito pubblico, se quest’ultimo cala ogni anno, calerà anche il relativo 5%. Rimuovendo ogni anno dal 2015 il 5% richiesto dal debito pubblico, e presumendo una crescita annua per il periodo uguale alla media del periodo 2015-2018, arriveremmo sotto la soglia “magica” del 60% nel 2033, ossia in 18 anni (“Debito B”). Grillo avrebbe sostanzialmente ragione sulla durata dei tagli ma non sulla loro dimensione: il taglio medio nei 18 anni sarebbe di 27 miliardi, quasi la metà di quello da lui segnalato.
Ma occorre fare un’ulteriore precisazione: il Fiscal Compact parla di riduzione del rapporto tra debito e Pil, non del solo debito rispetto al Pil di anno in anno. Come ha fatto notare di recente il governatore di Banca d’Italia Vincenzo Visco, basterebbe una crescita (nominale) del 3% per non richiedere alcuna azione correttiva di lungo termine sul debito. Ricordiamo che per crescita nominale si intende la crescita inclusiva dell’inflazione, che in questo caso sarebbe una cosa positiva perché riduce il peso dell’eventuale correzione da effettuare. Come si può vedere nel scenario “Debito C” del nostro foglio di calcolo, se il debito pubblico rimanesse invariato dal 2015 in avanti, grazie alla sola crescita del Pil nominale (stimata dal FMI nel link di cui sopra a +2,8%) rispetteremmo i vincoli del Fiscal Compact tutti gli anni tranne il primo, in cui sarebbe richiesta una correzione di circa 9 miliardi. In questa ipotesi arriveremmo sotto all’agognato 60% nel lontano 2043.
Con l’Europa a apparente rischio deflazione, però, è realistico immaginare una crescita del Pil nominale così alta? Forse no, quindi abbiamo proiettato l’andamento del debito anche con una crescita nominale di un punto più bassa, ovvero pari al 1,8%. In questo caso ci sarebbe effettivamente bisogno di tagliare il debito, ma comunque di molto meno di quanto detto da Grillo. I primi anni sarebbero richiesti tagli tra i 10 e i 20 miliardi di euro*, che vanno via via diminuendo fino a non essere più necessari nel 2031. Come si può vedere il taglio medio sarebbe pari a circa 5 miliardi, e la soglia del debito pubblico sotto il 60% sarebbe quasi un miraggio, visto che la raggiungeremmo solo nel 2056.
Entrambi questi scenari non considerano il costo di rientrare dal deficit, che nel 2015 è previsto essere del -2,2%, ovvero 35 mld circa (per tenere fermo il debito bisognerà infatti riportare a 0 il nostro disavanzo); questo è un costo “one-off”, non da effettuare ogni anno e anche questo dipendente in gran parte dalla salute della nostra economia. Riassumiamo sotto le considerazioni di ciascun scenario e l’andamento dei tagli richiesti.
Ci teniamo a sottolineare che i nostri calcoli sono relativamente grossolani. Ci sono altre variabili da tenere in considerazione come i tassi d’interesse e l’avanzo primario. Un modello interattivo di Reuters permette ai più curiosi/masochisti di esplorare i vari scenari cambiando le variabili principali.
Concludiamo con un’ultima annotazione al commento di Grillo: il Fiscal Compact richiede una riduzione del debito non tanto della spesa pubblica; la spesa pubblica potrebbe rimanere invariata o addirittura aumentare se le tasse (e le conseguenti entrate) dovessero aumentare.
Grillo fa una previsione allarmistica e semplicistica. Il taglio richiesto dal Fiscal Compact (qualora venisse implementato in maniera stringente) riguarda il rapporto debito/Pil e non il solo debito. A seconda della forza della crescita del Pil nei prossimi anni il taglio potrebbe non essere necessario, o rivelarsi molto minore a quello stimato da Grillo. Questa dichiarazione si risparmia la “Panzana Pazzesca” poiché il Fiscal Compact effettivamente determinerà in ogni caso – se verrà rispettato – un lungo periodo di dure decisioni di politica fiscale per tenere sotto controllo il nostro debito pubblico. Ma il “Pinocchio andante” è più che meritato.
Per maggiori informazioni sul Fiscal Compact suggeriamo questo articolo della Bce e questa completa rassegna di articoli curata dal think tank Bruegel.
*Aprendo il foglio di calcolo si vedrà che gli anni in cui è necessario un taglio per raggiungere un calo del rapporto debito/Pil sono sempre seguiti da anni in cui il rapporto è più che rispettato (causa crescita del Pil). Siccome il Fiscal Compact parla di “calo medio” anche noi ci siamo attenuti al calo tendenziale piuttosto che collegare a ciascun anno il calo effettivo visto nei nostri calcoli.
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Nota: Il 18 aprile 2014 questo articolo è stato aggiornato con l’aggiunta dei calcoli relativi ai diversi scenari di crescita ed il riferimento ai conti fatti da Reuters. Anche alla luce di questi il nostro verdetto è stato abbassato da “Nì” a “Pinocchio andante”