Il 17 settembre, ospite a Porta a Porta su Rai1, l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato l’uscita dal Partito democratico e il nome del suo nuovo partito, che si chiamerà Italia Viva.
Abbiamo raccolto 12 dichiarazioni di Renzi per verificare se corrispondono al vero o meno.
L’abbassamento delle tasse
«Noi abbiamo utilizzato quel 41 per cento per abbassare l’Imu, per eliminare l’Irap costo del lavoro» (min. -1:28:52)
Con la percentuale del «41 per cento» Renzi fa riferimento ai voti presi dal Partito democratico nelle elezioni europee del 25 maggio 2014 (11.203.231 voti, il 40,81 per cento sul totale), quando da circa tre mesi l’ex segretario del Pd era diventato presidente del Consiglio.
Vediamo che cosa è successo a Imu e Irap durante il governo Renzi. Come riassume una cronologia sul sito del Ministero dell’economia e delle finanze, negli ultimi anni la disciplina normativa sull’Imu è stata modificata diverse volte. Alcune di queste modifiche sono state in effetti approvate dal governo Renzi. In particolare, l’esecutivo di Matteo Renzi ha introdotto alcuni abbassamenti, oltre ad aver sospeso gli aumenti dell’Imu da parte dei comuni per il 2016 e il 2017.
Per quanto riguarda i tagli, con la legge di Stabilità per il 2016 (approvata a fine dicembre 2015) è stata eliminata l’Imu sui terreni agricoli (per un valore, secondo il Mef, di 405 milioni di euro) e sui macchinari d’impresa cosiddetti “imbullonati” (per uno sgravio di 530 milioni di euro).
Con eliminazione dell’«Irap costo del lavoro» è probabile che Renzi faccia invece riferimento a una misura introdotta dal suo governo nel 2015. Come riporta infatti il sito della Camera dei deputati, con la legge di Stabilità 2015 è stata introdotta «l’integrale deducibilità dall’Irap del costo sostenuto per lavoro dipendente a tempo indeterminato, eccedente le vigenti deduzioni […] riferibili allo stesso costo».
In altre parole, dal 2015 le imprese non pagano l’Irap sulla parte di costi sostenuti per i dipendenti a tempo indeterminato. Prima di allora, i costi dell’azienda per questi lavoratori rientrava – al netto delle deduzioni fiscali godute – nel calcolo dell’imposta regionale sulla produzione.
Renzi ha dunque sostanzialmente ragione sull’abbassamento dell’Imu e l’eliminazione dell’«Irap costo del lavoro».
Mussolini, Hitler e i “pieni poteri”
«I “pieni poteri” è una parola che in Italia ha utilizzato Mussolini, che in Germania ha utilizzato Hitler» (min. -1:26:41)
L’8 agosto 2019, durante un comizio a Pescara, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva dichiarato: «Chiedo agli italiani, se ne hanno la voglia, di darmi pieni poteri».
Come dice Renzi – e come è stato fatto notare da altri prima di lui – è vero che questa espressione era già stata usata da Benito Mussolini nel celebre “Discorso del bivacco” tenuto in Parlamento il 16 novembre 1922.
«Chiediamo i pieni poteri perché vogliamo assumere le piene responsabilità. Senza i pieni poteri voi sapete benissimo che non si farebbe una lira – dico una lira – di economia», disse Mussolini, aggiungendo subito dopo: «Con ciò non intendiamo escludere la possibilità di volenterose collaborazioni che accetteremo cordialmente, partano esse da deputati, da senatori o da singoli cittadini competenti».
Da un punto di vista storico, è corretto anche collegare questa espressione ad Adolf Hitler. Come spiega la Treccani, il 23 marzo 1933 il Parlamento tedesco fu di fatto esautorato con l’approvazione dell’Ermächtigungsgesetz, termine tedesco di solito tradotto in italiano con l’espressione “Legge (o decreto) dei pieni poteri”. Da qui in poi Hitler «diede il via alla costruzione di un sistema totalitario».
Entrambi i riferimenti di Renzi sono quindi corretti.
L’andamento dello spread
«Io lo spread l’ho portato sotto 100. Lei me ne trovi uno che l’ha portato sotto i 100 quando faceva il premier e poi ragioniamo. Salvini l’ha portato a 300» (min. -1:26:09)
Durante il governo Renzi lo spread – generalmente inteso come la differenza tra il rendimento di un titolo di stato italiano e uno tedesco a 10 anni – è effettivamente calato sotto i 100 punti base.
Sebbene tale valore sia il migliore registrato negli ultimi cinque anni, su 731 giorni [1] di contrattazioni durante il governo Renzi lo spread si è attestato sotto quota 100 punti base solamente per 49 giorni [2] (pari al 6,7 per cento del totale).
Come registra poi un articolo del Financial Times del dicembre 2018, prima della crisi finanziaria globale del 2008 lo spread italiano faceva registrare di norma valori ben al di sotto dei 100 punti base.
Le risorse per bloccare l’aumento dell’Iva
«[Sul blocco dell’aumento dell’Iva] Il governo tecnico deve trovare 12 miliardi, nel caso dell’Iva erano 23, 12+11» (min. -1:24:35)
Qui Renzi fa forse confusione con le cifre. Il riferimento al “governo tecnico” è in risposta a un commento di Bruno Vespa, secondo cui un esecutivo alternativo a quello Pd-M5s sarebbe stato comunque in grado di evitare l’aumento dell’Iva.
È vero che con la legge di Bilancio per il 2019 Lega e M5s hanno introdotto “clausole di salvaguardia” per un valore di quasi 23 miliardi di euro per il 2020, ma quel «12+11» non trova riscontro nei dati ufficiali.
Per il 2020, è infatti previsto un aumento dell’Iva agevolata dal 10 al 13 per cento, garantendo un gettito annuale di circa 8,6 miliardi di euro. L’Iva ordinaria dovrebbe invece passare dal 22 al 25,2 per cento, con il gettito aumentato di quasi 14 miliardi di euro.
Se il riferimento è agli aumenti delle due diverse aliquote Iva, la somma corretta è dunque “8,6 + 14”, e non “12+11”.
L’Iva e le elezioni anticipate
«Perché per colpa di Salvini se si andava a votare l’Iva […] sarebbe aumentata» (min. -1:19:15)
Come abbiamo spiegato in un precedente fact-checking, se si fosse votato tra fine ottobre e inizio novembre, la legge di Bilancio sarebbe stata scritta da un nuovo governo, che insediandosi a dicembre inoltrato molto difficilmente avrebbe avuto abbastanza tempo per bloccare l’aumento dell’Iva.
Il rincaro dell’Iva sarebbe potuto scattare comunque dal 1° gennaio 2020, per poi essere eventualmente annullato con una legge successiva.
In ogni caso, anche se ci fossero state elezioni anticipate, sarebbe rimasto in carica per il “disbrigo degli affari correnti” il governo Conte I, che con un decreto-legge avrebbe potuto fermare prima della fine dell’anno l’aumento dell’Iva.
Ma in questo caso si sarebbe dovuto fare i conti con la Commissione europea: le clausole di salvaguardia sono state infatti pensate proprio come rassicurazione all’Ue che l’Italia avrebbe rispettato gli impegni di bilancio.
L’esito suggerito da Renzi non era dunque scontato, durante la crisi di governo, anche se molto probabile.
Machiavelli e il “fine giustifica i mezzi”
«Studino Machiavelli, che non è quello del “Fine giustifica i mezzi”, frase che tra l’altro lui non ha mai detto» (min. -1:07:05)
Renzi ha ragione. Come spiega la Treccani, la frase “Il fine giustifica i mezzi” non è mai stata scritta da Machiavelli, sebbene con queste parole si è soliti rappresentare «l’atteggiamento pratico caratteristico del machiavellismo e del gesuitismo».
Nel Principe di Machiavelli si legge comunque un’espressione simile, al Capitolo 18: «Nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ Principi […] si guarda al fine […]. I mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lodati».
La pressione fiscale con Renzi
«Abbiamo abbassato le tasse» (min. -1:04:03)
Come abbiamo verificato in passato, con il governo Renzi in Italia è in effetti scesa la pressione fiscale, ossia il rapporto tra il Pil e le tasse raccolte dallo Stato e dagli enti pubblici locali.
Tra il 2014 e il 2016, con l’ex segretario del Pd alla presidenza del Consiglio, secondo i dati della Banca d’Italia si è registrato un passaggio della pressione fiscale dal 43,6 per cento al 42,4 per cento (che scende al 42 per cento, se si considera nel conteggio anche il “bonus degli 80 euro” introdotto nel 2014): meno 1,2 per cento in tre anni oppure, stando larghi e includendo gli 80 euro, meno 1,6 per cento.
I “miliardi” per le periferie e la povertà
«Ci sono stati miliardi messi sulle periferie che prima non c’erano, 2,7 miliardi messi sulla povertà, prima c’erano 20 milioni» (min. -44:31)
Come abbiamo spiegato in un precedente fact-checking, è vero che il governo Renzi aveva introdotto il cosiddetto “Piano periferie”, poi portato avanti anche dal governo Gentiloni.
Il programma aveva come obiettivo la riqualificazione di aree urbane degradate, attraverso il finanziamento di 120 progetti per un costo complessivo per lo Stato di 2,06 miliardi di euro, suddivisi in tre tranche: la prima, da 500 milioni, con la legge di Bilancio per il 2016; la seconda, da 800 milioni, con il decreto del Presidente del Consiglio del 29 maggio 2017; la terza, da 761 milioni, con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) del 7 agosto 2017.
In precedenza, come ha ricostruito un articolo del marzo 2017 del Sole 24 Ore, c’era stato il “Piano città” del governo Monti, che nel 2012 aveva stanziato oltre 300 milioni di euro.
Per quanto riguarda i «2,7 miliardi sulla povertà», rispetto ai «20 milioni» che «c’erano prima», Renzi è impreciso.
Prima dell’insediamento del governo Letta, in Italia si spendevano circa 50 milioni di euro in via sperimentale per il contrasto alla povertà, attraverso il cosiddetto Sostegno di inclusione attiva (Sia). Letta ha poi aumentato i fondi con 250 milioni per il solo 2014 e 120 milioni da spalmare nel triennio 2014-2016.
Il governo Renzi ha a sua volta stanziato ulteriori risorse nel contrasto alla povertà, con oltre 730 milioni di euro nel 2016.
I 2,7 miliardi di euro di cui parla Renzi fanno riferimento allo stanziamento (2,75 miliardi di euro, a essere precisi) previsto per il 2020 dal successivo governo Gentiloni per finanziare il Reddito di inclusione (Rei), introdotto nel 2018 con risorse per circa 2 miliardi di euro.
Ma quei soldi erano le risorse promesse per il futuro. Il cambio di governo ha portato, naturalmente, a una parziale modifica. Con il governo Conte I, infatti, il Rei è stato sostituito nel marzo 2019 dal reddito di cittadinanza.
La fatturazione elettronica contro l’evasione fiscale
«Con la fatturazione elettronica noi siamo arrivati a far pagare le tasse a chi prima non le pagava» (min. -44:04)
La fatturazione elettronica è un sistema digitale di emissione e trasmissione delle fatture, ideato, tra le altre cose, per contrastare l’evasione fiscale.
Come ha sottolineato la Commissione europea in una raccomandazione all’Italia del 2017, l’utilizzo di questo strumento permette una maggiore tracciabilità dei pagamenti. In un Paese come l’Italia, dove pagamenti elettronici ed evasione dell’Iva sono rispettivamente minori e maggiori rispetto alla media Ue, questo significa un minore incentivo a evadere.
La legge di bilancio per il 2018, approvata a dicembre 2017 dall’allora governo Gentiloni (Pd), ha introdotto l’obbligo dal 1° gennaio 2019 di emettere soltanto fatture elettroniche, con poche eccezioni.
Come abbiamo spiegato in un precedente fact-checking, è vero che nei primi sei mesi del 2019 le entrate per l’Iva sono aumentate di circa 2 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Con ogni probabilità, questo è stato merito anche di una misura come la fatturazione elettronica, come è stato notato anche dalla stampa.
Pontida e la presunta bambina di Bibbiano
«[A Pontida Salvini] ha preso una bambina, dopo aver parlato di Bibbiano, facendo credere che era una bambina di Bibbiano, e lo ha fatto attribuendo al Partito democratico la responsabilità sulla cosa più squallida che ci possa essere, gli abusi sui bambini» (min. -30:45)
Il 15 settembre, si è tenuto a Pontida l’annuale raduno della Lega. Qui Renzi fa riferimento a una vicenda che nelle ore successive alla manifestazione ha generato confusione e numerose politiche.
Riassumendo: a fine comizio, Salvini ha fatto salire sul palco alcuni bambini, tra cui una di nome Greta, una «splendida ragazza dai capelli rossi – citando le parole dell’ex ministro dell’Interno – che dopo un anno è stata restituita alla mamma».
Come lascia intendere lo stesso Renzi, in molti hanno associato la storia di questa bambina con i fatti di Bibbiano, un comune della provincia di Reggio Emilia diventato famoso negli ultimi mesi per un’inchiesta su presunti illeciti nella gestione degli affidi di minori ad alcune famiglie.
In realtà, come abbiamo spiegato in una nostra ricostruzione dei fatti, al termine del suo comizio Salvini non ha mai citato Bibbiano, anche se nel presentare Greta ha comunque mostrato un paio di scarpette bianche, simbolo usato da alcuni genitori coinvolti nella vicenda degli affidi.
Inoltre, è anche vero che durante tutta Pontida diversi politici hanno fatto riferimento a Bibbiano e che persino i profili social ufficiali della Lega hanno ripreso articoli di quotidiani che avevano associato la presenza di Greta sul palco con Bibbiano.
Salvini votò a favore delle concessioni ad Autostrade?
«La concessione [ad Autostrade] del 2008 l’ha data il governo Berlusconi con Salvini presente in aula come membro della Commissione Trasporti a votare a favore. Io non ero neanche sindaco. Il Pd di allora aveva votato contro» (min. -28:36)
Dopo il crollo del Ponte Morandi di Genova, avvenuto il 14 agosto 2018, uno degli obiettivi dichiarati del precedente governo è stato quello di revocare le concessioni ad Autostrade per l’Italia, la società responsabile della gestione del tratto di strada in cui si trovava il viadotto.
In Italia, infatti, le autostrade sono di proprietà dello Stato, ma vengono affidate in concessione a privati (come Autostrade) o a società a partecipazione pubblica (come Anas). Circa 3 mila chilometri della rete autostradale italiana sono gestiti da Autostrade per l’Italia, controllata dal gruppo Atlantia.
Il Programma di governo tra Pd e M5s non parla più di «revoca», ma di «revisione» delle concessioni autostradali. Ma è vero che nel 2008 Salvini aveva votato in Parlamento a favore delle concessioni ad Autostrade? Sì, e le cose andate così.
Il 29 maggio 2008 – Renzi divenne sindaco di Firenze oltre un anno dopo, mentre allora ne era presidente di provincia – l’allora neo-governo Berlusconi approvò in via definitiva la conversione in legge del decreto n. 59 dell’8 aprile 2008, votato dal precedente governo Prodi.
Si trattava di un decreto che riguardava il rispetto di alcuni obblighi europei e l’esecuzione di alcune sentenze della Corte giustizia della Comunità Europea.
Rispetto al testo approvato dall’esecutivo Prodi, il governo Berlusconi aveva inserito un emendamento (l’articolo 8-duodecies) che è stato definito “Salva Benetton”. Come ha ricostruito Openpolis, la novità nel testo prevedeva l’approvazione delle concessioni, tra gli altri, ad Autostrade per l’Italia a condizioni di favore.
Nel momento del voto finale alla Camera, Matteo Salvini – membro della Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni – votò a favore, mentre 195 deputati del Pd si espressero con voto contrario.
Ad agosto 2018, ospite ad Agorà su Rai3, il leader della Lega ha rivendicato la sua scelta fatta in aula nel 2008, aggiungendo che «da parte di chi ha governato per anni e anni e ha firmato e verificato le concessioni, un buon silenzio sarebbe opportuno».
Il costo di “quota 100”
«Quota 100 ci costerà decine di miliardi nei prossimi anni» (min. -27:40)
Con la cosiddetta “quota 100” si fa riferimento alla possibilità – grazie a un provvedimento sperimentale (dal 2019 al 2021) dello scorso governo – di andare in pensione prima, rispetto alla normativa generale, se si ha un’anzianità anagrafica di 62 anni e un’anzianità contributiva di almeno 38 anni.
Chi va in pensione anticipata prenderà sì una pensione più bassa (perché avrà versato meno anni di contributi rispetto all’età di pensionamento prevista), ma percepirà una pensione per più anni, pesando così maggiormente sulle casse dello Stato.
Secondo un dossier del Servizio studi del Senato di febbraio 2019, le pensioni anticipate costeranno circa 46 miliardi di euro in dieci anni. Un comunicato pubblicato il 6 settembre 2019 dal Ministero dell’Economia ha ricordato però che, tenendo conto delle minori adesioni a “quota 100” rispetto a quanto previsto, i costi complessivi di questa misura saranno minori.
In conclusione
Abbiamo verificato 12 dichiarazioni di Renzi, ospite a Porta a Porta, e l’ex presidente del Consiglio se l’è cavata nel complesso bene, commettendo però alcune imprecisioni.
Per esempio, Renzi fa un po’ di confusione sui singoli aumenti dell’Iva ordinaria e di quella agevolata e sulle accuse contro Salvini e la presunta bambina di Bibbiano sul palco di Pontida.
L’ex presidente del Consiglio, poi, cita un paio di cifre non del tutto corrette sulle risorse stanziate dal suo governo nella lotta contro la povertà.
Per il resto, è vero che Salvini ha votato nel 2008 per il rinnovo delle concessioni ad Autostrade per l’Italia, che la pressione fiscale sotto l’esecutivo Renzi è calata e che “quota 100” costerà allo Stato decine di miliardi di euro nei prossimi anni.
[1] Pari a 1024 giorni di governo al netto dei sabati e delle domeniche (quando i mercati non effettuano transazioni).
[2] Dal 2 al 17 marzo 2015 (15 giorni)
Dal 22 al 27 ottobre 2015 (7 giorni)
Dal 23 novembre all’11 dicembre 2015 (18 giorni)
Dal 29 dicembre 2015 al 6 gennaio 2016 (9 giorni)
Economia
Il fact-checking di Giorgia Meloni ad Atreju