L’8 febbraio è iniziata a Genova la demolizione del Ponte Morandi, il cui crollo del 14 agosto 2018 aveva provocato 43 morti e oltre 600 sfollati: dopo alcuni interventi propedeutici iniziati il 15 dicembre scorso, è iniziata la calata a terra della prima delle travi tampone che sorreggeva il viadotto sopra il torrente Polcevera.

I lavori di ricostruzione dovrebbero invece iniziare il prossimo 31 marzo, mentre il nuovo ponte – progettato dell’architetto genovese Renzo Piano – sarà percorribile dal 15 aprile 2019, come previsto dal contratto per la realizzazione dell’infrastruttura firmato il 19 gennaio.

«Questa è la dimostrazione che si rispettano i tempi e le promesse e che Genova può guardare al futuro con ottimismo», ha detto il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti durante lo smantellamento della prima parte del ponte.

Ma le promesse fatte nei mesi scorsi sulla ricostruzione del viadotto sono state mantenute? A che punto sono gli altri impegni presi dal governo e dai politici locali? Ne abbiamo verificati cinque.

La revoca delle concessioni ad Autostrade per l’Italia

A nemmeno 24 ore dal crollo del Ponte Morandi, diversi esponenti del governo avevano annunciato che sarebbero state revocate le concessioni autostradali ad Autostrade per l’Italia, la società responsabile della gestione del tratto di strada in cui si trovava il viadotto.

In Italia, le autostrade sono di proprietà dello Stato, ma vengono affidate in concessione a privati (come Autostrade) o a società a partecipazione pubblica (come Anas). Circa 3 mila chilometri della rete autostradale italiana sono gestiti da Autostrade per l’Italia, controllata dal gruppo Atlantia.

Il 15 agosto 2018, il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli aveva scritto su Facebook che erano state avviate le pratiche per la revoca, un provvedimento subito promesso anche dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte («Avvieremo la procedura per la revoca della concessione a società Autostrade», 15 agosto 2018), dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio («Chi non vuole la revoca delle concessioni di Autostrade per l’Italia deve passare sul mio cadavere», 20 agosto 2018), e da quello dell’Interno Matteo Salvini («La revoca delle concessioni è il minimo che ci si possa aspettare», 15 agosto 2018).

Nei mesi successivi, questa promessa è stata ripetuta altre volte, tanto che il 14 gennaio 2019 lo stesso Di Maio, nel corso di una diretta Facebook, ha detto di non aver dimenticato l’impegno preso con le vittime del Ponte Morandi, e che il governo vuole «togliere le concessioni ad Autostrade».

Ad oggi, però, questa promessa non è stata mantenuta. E che la revoca fosse un procedimento difficile da realizzare era chiaro sin da subito.

Da un lato, secondo alcuni, il governo potrebbe togliere le concessioni ad Autostrade per l’Italia con un semplice decreto-legge. Ma questo potrebbe avere un costo che si aggirerebbe tra i 15 e i 20 miliardi di euro in indennizzi alla società.

Dall’altro lato, le concessioni potrebbero essere revocate se fosse dimostrato che Autostrade per l’Italia ha commesso gravi inadempimenti nella gestione del tratto di strada crollato. Ma in questo caso, bisogna aspettare le decisioni dei giudici e i risultati delle inchieste in corso – nonostante il governo avesse dichiarato, pochi giorni dopo il crollo, di «non poter attendere i tempi della giustizia penale» nel prendere provvedimenti verso Autostrade per l’Italia.

I tempi per la demolizione

Sin dal giorno del crollo, molti politici hanno presentato stime diverse sulle tempistiche per la demolizione e la ricostruzione del ponte. Negli ultimi sei mesi, il quotidiano di Genova Il Secolo XIX ha raccolto quasi 60 promesse fatte da rappresentanti delle istituzioni a questo proposito.

Già a fine agosto, il sottosegretario alle Infrastrutture Edoardo Rixi aveva dichiarato che la demolizione del Ponte Morandi – quella in realtà avviata oggi – sarebbe iniziata entro la prima settimana di settembre («Per i primi di settembre, direi entro la prima settimana, potremmo iniziare la demolizione di ponte Morandi», 25 agosto 2018). Pochi giorni dopo, il governatore Toti aveva invece spostato la previsione a ottobre («La demolizione potrebbe concludersi a fine ottobre», 31 agosto 2018).

A metà novembre, il sindaco di Genova Marco Bucci – attuale commissario straordinario del governo per l’opera – aveva indicato la data poi rivelatasi essere la più precisa: i primi lavori di demolizione sarebbero iniziati prima di Natale («La demolizione dei “monconi” del ponte Morandi incomincerà il 15 dicembre», 12 novembre 2018), anche se in realtà si è trattato di interventi propedeutici e non il vero e proprio spostamento delle travi del viadotto.

Quando arriverà il nuovo ponte

Un’incertezza analoga è durata per mesi anche sulle tempistiche della realizzazione del nuovo ponte. Tra agosto e metà dicembre, esponenti del governo, politici locali e Autostrade per l’Italia hanno fatto oltre 30 dichiarazioni sulle previsioni di inizio e fine lavori, con una durata media di 522 giorni.

La promessa più “ottimistica” era stata quella di Autostrade per l’Italia, che il giorno dopo il crollo diceva di poter ricostruire il ponte in cinque mesi. Ma già a ottobre, erano avanzate le previsioni più realistiche, che stimavano una ricostruzione lunga circa 18 mesi.

Come per l’inizio della demolizione, però, diverse date promesse si sono rivelate essere sbagliate. Il 18 gennaio 2019, è stato firmato il contratto per la realizzazione della nuova infrastruttura, che dovrebbe essere consegnata a fine 2019, per essere percorribile entro la data limite del 15 aprile 2020. Una previsione simile a quelle fatte da Bucci a ottobre e da Toti a novembre.

Gli indennizzi agli sfollati e la proroga del pagamento delle tasse

Un’altra questione ancora aperta riguarda i risarcimenti alle famiglie che hanno perso la casa per il crollo del ponte. Il 1° ottobre 2018, il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva promesso che entro dicembre il governo avrebbe restituito ai genovesi «ciò che qualcuno ha tolto, a partire dalle palanche».

Semplificando: oltre ai primi contributi versati in questi giorni agli sfollati da Autostrade per l’Italia, una parte delle risorse da stanziare doveva essere contenuta nel cosiddetto “decreto Genova” (dl 109/18, approvato il 28 settembre 2018 e diventato legge il 15 ottobre), che aveva però demandato il compito a diversi decreti attuativi, il cui scopo è regolare gli aspetti pratici e tecnici per l’implementazione di una legge.

Ad oggi, sono stabiliti i criteri per fare domanda di risarcimento dei danni, per esempio, per le imprese e i lavoratori, le cui tempistiche di pagamento però non sono ancora state stabilite.

Discorso diverso vale invece per la proroga del pagamento delle tasse per gli sfollati. Il governo aveva annunciato che un emendamento nel cosiddetto “decreto Semplificazioni” – approvato con la fiducia dalla Camera il 6 febbraio 2019 – avrebbe prorogato fino a dicembre 2019 la sospensione del pagamento delle tasse (come Iva, Irpef e contributi) per oltre 800 aziende e circa 570 persone fisiche, danneggiate dal crollo del Ponte Morandi. In realtà, questa proroga non è arrivata (ma secondo il ministro Toninelli, è stata solo rimandata al «prossimo provvedimento utile»).

La riduzione delle accise sulla benzina in Liguria

Il 28 ottobre 2018, il sottosegretario ai Trasporti Edoardo Rixi aveva promesso che nel 2019 non sarebbero aumentate le accise sulla benzina per i liguri, e che il prezzo del carburante sarebbe diminuito di 5 centesimi al litro.

«I liguri e i genovesi, in particolare, hanno già subito importanti disagi ed extracosti collegati al crollo del viadotto Morandi», aveva scritto il politico genovese su Facebook.

Questo impegno, però, non è stato mantenuto. Come risulta da un resoconto della commissione Bilancio della Camera dello scorso 2 dicembre, i relatori della legge di Bilancio avevano approvato un emendamento che stabiliva che «per il solo anno 2019 la Regione Liguria ha la facoltà di rideterminare in aumento l’aliquota dell’imposta regionale [sulla benzina, n.d.R.] (…) in misura non eccedente 5 centesimi al litro della misura massima consentita».

Si trattava però di una concessione che lo Stato lasciava alla Regione Liguria. Non era un nuovo, possibile aumento delle accise, ma una “conferma” di una norma già in vigore. Rinunciarvi avrebbe portato una riduzione delle entrate rispetto al livello degli ultimi anni. E infatti la Regione Liguria, il 3 dicembre 2018, aveva confermato che l’accisa di 5 centesimi sarebbe stata rinnovata.

A differenza di quanto promesso dal governo per bocca di Rixi, è vero che le accise non sono aumentate, ma è falso che il prezzo del carburante sia calato di 5 centesimi al litro.