Perché si sta tornando a parlare del presidenzialismo

L’elezione diretta del capo dello Stato è una proposta che ritorna da ormai quarant’anni, rilanciata di recente dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. I tratti dell’iniziativa sono però ancora vaghi
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Negli ultimi giorni è tornata al centro del dibattito politico la proposta di modificare la Costituzione per introdurre in Italia l’elezione diretta del presidente della Repubblica. L’idea è stata ripresentata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo scorso 29 dicembre, durante la tradizionale conferenza stampa di fine anno organizzata dall’Ordine dei giornalisti. 

«Credo che si possa solo fare del bene all’Italia con una riforma delle sue istituzioni che consenta di avere stabilità e governi che siano frutto delle indicazioni popolari, chiare», ha detto Meloni, definendo l’elezione diretta del capo dello Stato «una priorità» del suo governo. Tre giorni dopo, il 2 gennaio, in una lettera al quotidiano Il Messaggero, la ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati (Forza Italia) ha rilanciato la proposta, aprendo anche alla possibilità di un’elezione diretta del presidente del Consiglio. 

Al momento, l’idea del governo è ancora vaga e, al di là dell’elezione diretta del capo dello Stato, non è chiaro se e come cambierebbero i poteri di quest’ultimo, se ad esempio sul modello del presidenzialismo o del semipresidenzialismo. L’idea di introdurre l’elezione diretta del capo dello Stato non è comunque una novità: se ne parla da ormai quarant’anni, senza risultati concreti.

Di che cosa stiamo parlando

A differenza della repubblica parlamentare (la forma di governo in vigore in Italia), nelle repubbliche presidenziali o semipresidenziali il capo dello Stato è eletto direttamente dai cittadini e detiene il potere esecutivo. 

Tra repubbliche presidenziali e semipresidenziali ci sono comunque delle differenze. Nella forma di governo presidenziale non c’è nessun rapporto di fiducia tra il governo, presieduto dal capo dello Stato, e il Parlamento, che detiene il potere legislativo. È possibile quindi che capo dello Stato e Parlamento rappresentino forze politiche diverse. Questo avviene per esempio negli Stati Uniti, dove il presidente viene eletto ogni quattro anni a suffragio universale. 

Il semipresidenzialismo prevede invece una separazione meno rigida tra potere esecutivo e legislativo. In Francia, dove l’elezione diretta del capo dello Stato avviene ogni cinque anni, il potere esecutivo è detenuto dal presidente della Repubblica, che deve però nominare un primo ministro e un governo. A loro volta, il primo ministro e il governo devono avere la fiducia del Parlamento. A differenza del presidenzialismo, nel semipresidenzialismo il capo dello Stato ha anche il potere di sciogliere il Parlamento.

Tante proposte, zero risultati

Negli anni Ottanta, durante la cosiddetta “prima Repubblica”, l’idea di introdurre l’elezione diretta del Capo dello Stato era stata presentata dapprima dal Movimento sociale italiano (Msi), il partito fondato nel 1946 da alcuni reduci della Repubblica sociale italiana e di cui Fratelli d’Italia, il partito guidato da Meloni, è oggi considerato l’erede storico. 

Nel 1983, intervistato dal giornalista Enzo Biagi nella trasmissione Repubblica Atto II, su Rete 4, l’allora leader del Movimento sociale italiano Giorgio Almirante aveva auspicato la trasformazione dell’Italia in una «repubblica presidenziale moderna», per assicurare «stabilità al governo» e in cui «il presidente della Repubblica non sia servo della partitocrazia, ma eletto direttamente dal popolo».

Come abbiamo spiegato in un altro approfondimento, negli anni Ottanta alcune proposte simili arrivarono anche da esponenti del centrosinistra, come l’ex presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato, all’epoca esponente del Partito socialista italiano (Psi) e l’ex presidente del Consiglio Bettino Craxi, che del Psi fu segretario. 

Nella “seconda Repubblica”, ossia dal 1992 in poi, uno dei principali disegni di riforma costituzionale di tipo semipresidenziale fu quello preparato dalla cosiddetta Commissione bicamerale del 1997, o meglio la “Commissione per le riforme istituzionali”, composta da 70 tra senatori e deputati, nominati dai presidenti della Camera e del Senato. All’epoca, l’Italia era guidata dal primo governo di Romano Prodi e Massimo D’Alema, leader del Partito democratio della sinistra (Pds), era stato eletto presidente della Commissione bicamerale anche grazie ai voti di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi. Il testo di riforma preparato dalla Commissione bicamerale fu esaminato senza nessun risultato per più di un anno dal Parlamento e, a giugno del 1998, naufragò a causa di divergenze politiche tra centrodestra e centrosinistra.

La proposta di riforma della Costituzione varata dal secondo governo Berlusconi nel 2005, e poi bocciata dagli italiani nel referendum costituzionale del giugno 2006, era invece diversa dalle precedenti. In base al testo della riforma, il presidente della Repubblica sarebbe stato eletto sempre dai parlamentari, ma il suo ruolo sarebbe stato depotenziato a favore di quello del presidente del Consiglio. Quest’ultimo, per esempio, avrebbe avuto anche il compito di proporre al capo dello Stato lo scioglimento delle camere, un ruolo che attualmente spetta esclusivamente al presidente della Repubblica.
Immagine 1. Il titolo de L'Unità sulla vittoria del No al referendum costituzionale del 25-26 giugno 2006. Fonte: Archivio storico L'Unità
Immagine 1. Il titolo de L'Unità sulla vittoria del No al referendum costituzionale del 25-26 giugno 2006. Fonte: Archivio storico L'Unità

A che punto è la proposta del governo?

Tornando al presente, la coalizione di centrodestra, formata da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati, aveva inserito la proposta di introdurre l’elezione diretta del capo dello Stato nel proprio programma elettorale per le elezioni dello scorso 25 settembre. I contorni di questa proposta erano piuttosto vaghi, dato che non veniva chiarito il tipo di riforma costituzionale da adottare, se di tipo presidenziale o semipresidenziale, e come sarebbero i cambiati i poteri del capo dello Stato.

Durante la precedente legislatura, tra il 2018 e il 2022, Fratelli d’Italia aveva già presentato una proposta di riforma della Costituzione in senso semipresidenziale, sul modello della Francia. Questo progetto di riforma prevedeva anche l’attribuzione di maggiori poteri al presidente della Repubblica, che avrebbe assunto l’incarico di guidare il governo. La proposta di Fratelli d’Italia è stata però bocciata dal Parlamento il 15 marzo dello scorso anno.

Al momento, non è chiaro se la nuova proposta rilanciata da Meloni negli scorsi giorni ricalcherà i tratti di quel progetto e, per ora, non è stata depositata nessuna nuova proposta di questo genere nemmeno in Parlamento. Durante la conferenza stampa di fine anno, la presidente del Consiglio ha comunque precisato che il punto di partenza per la discussione sarà il semipresidenzialismo, «perché è quello su cui storicamente c’è stata la maggiore convergenza» tra tutti i partiti, sia del centrodestra che del centrosinistra. Per quanto riguarda le tempistiche, Meloni ha spiegato che la ministra per le Riforme istituzionali Casellati ha già avviato la discussione con gli altri partiti del centrodestra ed entro gennaio parlerà con quelli di centrosinistra disponibili al dialogo. 

Al di là delle scelte politiche, è bene tenere presente che riformare la Costituzione non è semplice e i tempi potrebbero essere lunghi. Le proposte che arriveranno in Parlamento dovranno prima essere esaminate dalle commissioni parlamentari per poi essere approvate due volte da entrambe le camere. Tra le doppie approvazioni di Camera e Senato devono inoltre passare almeno tre mesi di tempo, con la possibilità che una volta approvato, il testo venga sottoposto a referendum, con un esito tutt’altro che scontato.

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