Il presidenzialismo non significa per forza maggiore stabilità

Il centrodestra propone l’introduzione dell’elezione diretta del presidente della Repubblica, Azione e Italia viva il “sindaco d’Italia”: ecco che cosa insegnano gli esempi dall’Europa e dal mondo
ANSA/GIUSEPPE LAMI
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In questa campagna elettorale la coalizione di centrodestra ha rilanciato la proposta di modificare la Costituzione per introdurre in Italia il presidenzialismo, ossia l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Nel suo programma elettorale, l’alleanza tra Azione e Italia viva ha invece proposto l’elezione diretta del presidente del Consiglio (il cosiddetto “sindaco d’Italia”), sul modello di quanto già avviene per i sindaci delle grandi città. 

In generale, chi difende queste proposte sostiene che siano un modo efficace per garantire stabilità al governo dell’Italia. Ma è davvero così? Gli esempi degli altri Paesi europei, e non solo, mostrano che il presidenzialismo non necessariamente aumenta la stabilità istituzionale. Anche i precedenti sull’elezione diretta del presidente del Consiglio sembrano poco incoraggianti.

La situazione in Europa

Innanzitutto va sottolineato che nessun Paese europeo adotta il presidenzialismo come forma di governo, con l’eccezione di Cipro. La stragrande maggioranza degli Stati europei è una repubblica parlamentare o una monarchia parlamentare, dove i reali sono figure cerimoniali senza poteri significativi. Ci sono solo quattro Stati membri dell’Unione europea che ricorrono al cosiddetto “semipresidenzialismo”: Francia, Portogallo, Lituania e Romania.

Il semipresidenzialismo è una forma di governo in cui c’è un presidente eletto alle elezioni e un primo ministro che risponde al Parlamento. In una repubblica parlamentare, come l’Italia o la Germania, il capo di Stato è perlopiù una figura cerimoniale, mentre in un sistema presidenziale come gli Stati Uniti il presidente è anche capo del governo e non ha bisogno della fiducia del Parlamento. 

La Francia è in Europa il più importante esempio di repubblica semipresidenziale: il presidente è eletto direttamente dagli elettori con un sistema a due turni e nomina il primo ministro e il governo. L’esecutivo non ha bisogno di ottenere la fiducia dell’Assemblea nazionale (la camera principale del Parlamento) in quanto si assume come presunta, ma può essere sfiduciato dai parlamentari. Inoltre, il presidente può sciogliere l’Assemblea nazionale, seppur con alcuni limiti temporali.

Gli altri Stati europei ricorrono invece a sistemi parlamentari monocamerali (come Svezia, Finlandia, le repubbliche baltiche o la Slovacchia) o con due camere, a volte con una elettiva e l’altra no (come Germania, Belgio e Islanda) o entrambe elettive (come Italia, Polonia e Repubblica Ceca).

Presidenzialismo = stabilità?

Come abbiamo visto, in Europa sono pochi i Paesi che ricorrono al sistema semipresidenziale. Le elezioni parlamentari che si sono tenute in Francia la scorsa primavera hanno mostrato che neppure l’attuale sistema francese può garantire una stabilità sicura. All’Assemblea nazionale, infatti, la coalizione che sosteneva il presidente Emmanuel Macron ha ottenuto 245 seggi contro i 289 necessari per avere la maggioranza. Al momento, il governo francese guidato dalla prima ministra Élisabeth Borne non ha la fiducia dell’Assemblea nazionale. Questo richiederà al presidente Macron di dialogare con le opposizioni ogni volta che vorrà far passare una legge. 

Anche i sistemi parlamentari in cui il capo del governo è espressione del voto del Parlamento, e non di quello diretto dei cittadini, possono assicurare stabilità. L’esempio principale nell’Ue è quello della Germania, che ha cambiato quattro cancellieri negli ultimi trent’anni. Anche la Spagna è relativamente stabile, con cinque presidenti del governo dal 1992 al 2022. 

Sia la Germania sia la Spagna hanno due sistemi elettorali di tipo proporzionale. Entrambi i Paesi, per rafforzare l’esecutivo, hanno introdotto la sfiducia costruttiva che permette al Parlamento di sfiduciare il governo solo se c’è già la maggioranza per un altro esecutivo. In Germania è stata usata due volte e ha avuto successo solo nel 1982, determinando il passaggio da Helmut Schmidt a Helmut Kohl, mentre in Spagna ci sono stati cinque tentativi, ma solo quello del 2018 ha avuto successo portando alla caduta di Mariano Rajoy e all’arrivo al governo di Pedro Sánchez.

L’instabilità dei governi italiani non è dunque frutto esclusivamente del sistema istituzionale o della legge elettorale, che è cambiata diverse volte negli ultimi anni. Un esempio è la legislatura nata dalle elezioni del 2013 in cui si sono alternati tre presidenti del Consiglio del Partito democratico (Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni), non perché un partito ha lasciato la maggioranza, ma per decisione dei leader del Pd in quegli anni.

L’elezione diretta del primo ministro

Tra i principali Paesi del mondo, l’unico che di recente ha introdotto l’elezione diretta del primo ministro è stato Israele. Qui, nel 1992, si decise che quattro anni più tardi si sarebbe tenuto un voto per la Knesset, il Parlamento monocamerale israeliano, e uno per il primo ministro. L’idea era quella di stabilizzare il sistema istituzionale, visto che con il sistema elettorale in vigore era impossibile che qualcuno ottenesse la maggioranza alla Knesset.  Alla prova dei fatti, il sistema fu fallimentare portando a tre elezioni in cinque anni e continue crisi politiche: nel 2001 la Knesset decise di tornare al sistema in vigore fino al 1996, seppur con qualche piccola modifica. 

L’accademico Emanuele Ottolenghi, in uno studio pubblicato nel 2002 sulla rivista Israel Studies Forum, ha evidenziato che «non c’è dubbio che il sistema abbia agito come un’aggravante e abbia contribuito all’instabilità cronica di quel periodo». Il premier, anche se eletto direttamente dai cittadini, non aveva comunque una stabile maggioranza in Parlamento.

Uno studio pubblicato nel 2006 dal professore dell’Università di Dublino Eoin O’Malley ha evidenziato come sia improbabile che l’elezione diretta del primo ministro possa aiutare la governabilità o aumentare la forza politica di un capo del governo.

In conclusione

L’adozione di un sistema semipresidenziale non garantisce da solo una maggiore stabilità, in particolar modo in presenza di un sistema politico frammentato. In Francia, il Paese europeo più importante a utilizzare il presidenzialismo, attualmente il partito di Emmanuel Macron non ha per esempio la maggioranza in Parlamento.

Classici sistemi parlamentari con leggi elettorali di tipo proporzionale possono comunque garantire stabilità nei governi, come mostrato negli ultimi trent’anni da Spagna e Germania. L’instabilità italiana non è frutto solo del sistema istituzionale, come evidenzia quanto accaduto tra 2013 e 2018.

L’unico tra i principali Paesi che ha provato a introdurre l’elezione diretta del primo ministro, Israele, ha poi dovuto fare marcia indietro nel giro di pochi anni.

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