Chi si inventa i nomi dei decreti-legge

Tra i più famosi ci sono i decreti “Aiuti” e quelli “Sicurezza” ma non mancano riferimenti curiosi, ai minotauri e agli ippopotami. Quali sono le ragioni dietro a tutti questi appellativi?
I deputati della Lega espongono uno striscione alla Camera il giorno della votazione sul decreto “Sicurezza” – 9 dicembre 2020 – Fonte: Ansa
I deputati della Lega espongono uno striscione alla Camera il giorno della votazione sul decreto “Sicurezza” – 9 dicembre 2020 – Fonte: Ansa
Dai decreti “Aiuti” a quelli “Sicurezza”, dal decreto “Dignità” a quello “Bollette”, passando per i decreti “Milleproroghe”, i decreti omnibus, a quelli dai nomi ancora più strani, come i decreti minotauro e ippopotamo. Da anni, con i governi che ricorrono sempre di più allo strumento dei decreti-legge, buona parte dell’attività politica si concentra su provvedimenti dai nomi a volte curiosi, altre volte necessari per sintetizzarne il contenuto agli elettori. 

Ma chi decide, per esempio, che il decreto-legge approvato il 7 agosto dal governo Meloni, intitolato “Disposizioni urgenti a tutela degli utenti e in materia di attività economiche e investimenti strategici”, possa più semplicemente chiamarsi decreto “Asset e investimenti” e meritarsi l’appellativo di decreto omnibus? Qual è l’intento dietro questo sforzo di fantasia? È solo una semplificazione o c’è dietro una precisa strategia comunicativa?

Stampa e governo

Non esiste una risposta univoca a queste domande: il nome assegnato a un decreto-legge può venire sia dalla stampa sia dal governo.

Secondo Paola Ansuini, che ha ricoperto il ruolo di portavoce dell’ex presidente del Consiglio Mario Draghi durante il suo governo, «a volte dietro il nome dato a un decreto-legge c’è una precisa scelta di comunicazione, soprattutto se la materia di intervento è ben definita».

Per esempio un caso del genere riguarda il decreto “Aiuti”, approvato il 2 maggio 2022 dal governo Draghi con l’obiettivo, evidente già dal nome, di aiutare i cittadini e le imprese colpite dall’aumento dei costi energetici. Nella conferenza stampa in cui è stato presentato il provvedimento, Draghi non ha mai chiamato il provvedimento “decreto Aiuti”, ma il nome è comparso il giorno stesso sui vari media. Il 17 maggio 2022 il decreto è poi stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale proprio con la dicitura “decreto Aiuti” accanto al suo nome per esteso (“Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina”). 

Nei mesi successivi il nome deve essere sembrato efficace, dal momento che i successivi decreti-legge con le misure a sostegno delle categorie penalizzate dal rincaro dei costi energetici sono stati chiamati decreto “Aiuti bis”, “Aiuti ter” e “Aiuti quater”, seguendo una nomenclatura latina tipica di un certo linguaggio giuridico. 

«Nella gran parte dei casi è la stampa a connotare i provvedimenti in questo modo», ha detto Ansuini a Pagella Politica. «Spesso però anche l’ufficio del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, che produce i provvedimenti, contribuisce alla scelta dei nomi. Di solito questi nomi non sono comunque particolarmente originali: servono più che altro a non confondere l’opinione pubblica».

È sempre campagna elettorale

In altri casi il governo, o uno dei partiti al governo, può decidere di porre un’enfasi diversa nel nome di un provvedimento, per sottolineare l’importanza di alcune misure al suo interno più di quanto potrebbe fare la stampa. 

Negli ultimi anni un esempio tra i più famosi è il decreto “Dignità”, approvato nel 2018 dal primo governo Conte e pubblicato in Gazzetta Ufficiale con il titolo “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”. In questo caso a scegliere il nome al decreto era stato proprio il governo Conte, e più precisamente il Movimento 5 Stelle, per rimarcare l’intento della legge di «ridare dignità» a categorie che avevano «dato il sangue» in quegli anni, come aveva spiegato all’epoca l’allora ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio. Discorso analogo vale per i due decreti “Sicurezza”, approvati entrambi sempre durante il primo governo Conte, ma su spinta della Lega guidata da Matteo Salvini.

«Anche quando sono al governo, i partiti difficilmente smettono di fare campagna elettorale: il modo in cui comunicano le proprie azioni politiche all’elettorato è fondamentale per non perdere consensi», ha commentato a Pagella Politica Davide Ghiglione, bureau chief della Bbc in Italia e in passato corrispondente italiano per il Financial Times.

Secondo Ghiglione quello di dare un nome riassuntivo alle leggi è una pratica diffusa anche tra la stampa estera quando si parla di politica italiana: «Generalmente si ha la tendenza a semplificare il contenuto di una legge, specie se poi deve essere comunicata ai lettori stranieri. Per esempio i provvedimenti per l’Emilia-Romagna, colpita dalle alluvioni, potevano essere chiamati semplicemente aid package (pacchetto di aiuti, ndr) o relief package (pacchetto di ristori, ndr)». Questa «brandizzazione» è piuttosto recente e ha un chiaro intento comunicativo, su cui ogni governo ha il proprio stile. «Il governo Draghi aveva un approccio più sintetico e lineare, quasi anglosassone, nella scelta dei nomi dei decreti, mentre altri governi, come quello attuale, puntano a una comunicazione più d’impatto con l’elettorato», ha aggiunto Ghiglione.

I decreti ricorrenti

Non tutti i decreti-legge sono uguali. Intendiamoci: ogni decreto dovrebbe contenere misure in qualche modo legate tra loro ed essere approvato dal governo solo in casi di necessità e urgenza, per poi essere convertito in legge entro due mesi dal Parlamento. Con gli anni lo strumento dei decreti-legge ha però assunto forme diverse, accompagnate anche da nomi specifici.

Per esempio ci sono i decreti che sono ormai diventati una sorta di ricorrenza, visto che sono approvati almeno una volta all’anno. Tra questi c’è l’ormai famoso decreto “Milleproroghe”, con cui i governi, verso la fine dell’anno, prorogano le scadenze di alcune norme tra le più disparate (il nome ufficiale del primo decreto “Milleproroghe” approvato dal governo Meloni è “Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi”). Il nome “Milleproroghe” è comparso sulla stampa almeno trent’anni fa, come testimonia un articolo di settembre 1993 de La Stampa che parlava di un nuovo decreto-legge, «soprannominato “milleproroghe”». 

Discorso analogo vale per il decreto “Flussi”, che il governo Meloni ha approvato di recente e che fissa le quote dei lavoratori stranieri che possono fare ingresso legalmente in Italia per lavorare. Anche in questo caso il decreto-legge è stato molto probabilmente soprannominato in questo modo dalla stampa per sintetizzare la sua applicazione ai flussi migratori in entrata, e successivamente il nome è stato adottato dai governi nella loro comunicazione ufficiale. 

Lo zoo dei decreti

Altre etichette sono assegnate ai decreti-legge sulla base delle loro caratteristiche, non per il loro contenuto. Prendiamo l’esempio dei cosiddetti “decreti omnibus”: come suggerisce il nome, si fa riferimento a provvedimenti, come quelli approvati di recente dal governo Meloni, che contengono misure in settori molto distanti tra loro (e per questo motivo in passato sono stati criticati anche dalla Corte Costituzionale). 

Esistono poi i cosiddetti decreti minotauro: sono quelli che durante l’esame parlamentare finiscono per confluire in altri decreti, visto l’approssimarsi della scadenza della loro conversione in legge. Una pratica che ricorda la figura mitologica, con il corpo da uomo e la testa da toro. Oppure ci sono i decreti “ippopotamo”, ossia quelli a cui deputati e senatori aggiungono decine di nuovi articoli e commi nel corso dell’esame in Parlamento, che spesso finiscono per snaturare il contenuto originario del decreto. Secondo un aneddoto riportato di recente da la Repubblica, questo soprannome si deve a Silvio Berlusconi, che quando era presidente del Consiglio sosteneva che il suo governo producesse «leggi belle come “focosi destrieri purosangue”, che però finivano nella morsa del bicameralismo e venivano snaturate a forza di modifiche fino a diventare goffi “ippopotami”».

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