Quando il Consiglio dei ministri lascia il lavoro a metà

Spesso nei comunicati stampa del governo i provvedimenti annunciati sono accompagnati dalle espressioni “salvo intese” e “in esame preliminare”. In concreto che cosa vogliono dire?
Ansa
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Da quando è in carica il governo Meloni ha approvato vari provvedimenti annunciandoli con formule particolari, come approvato “salvo intese” o “in esame preliminare”. Per esempio a marzo il comunicato stampa con cui il Consiglio dei ministri annunciava il via libera del decreto-legge per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina specificava che il provvedimento era stato approvato «salvo intese». Lo stesso mese il governo ha approvato «in via preliminare» un disegno di legge della ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati per cancellare una serie di norme approvate tra il 1861 e il 1870, prima della nascita della Repubblica, e ancora in vigore. Di recente la stessa cosa è avvenuta con il nuovo disegno di legge sulla sicurezza stradale, presentato dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, approvato «in esame preliminare» dal Consiglio dei ministri lo scorso 27 giugno. 

Le regole che disciplinano l’attività del Consiglio dei ministri e le sue riunioni sono contenute in due norme: la legge n. 400 del 23 agosto 1988, approvata durante il governo di Ciriaco De Mita, e il regolamento approvato nel 1993 con un decreto dell’allora presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi. Entrambi questi atti non menzionano la possibilità di approvare provvedimenti “salvo intese” o “in esame preliminare”. Queste formule, che non hanno una definizione ufficiale, sono state utilizzate anche da governi precedenti e in alcuni casi hanno creato problemi.

Approvato “salvo intese”

La formula più generica e dall’interpretazione più difficile è “salvo intese”. «Da un punto di vista linguistico, “salvo intese” è una formula tipica del linguaggio burocratico, uno stratagemma utilizzato quando si approva un provvedimento su cui non c’è un accordo unanime all’interno dell’organo che ne ha dato il via libera, e che quindi potrebbe essere soggetto a ulteriori modifiche e perfezionamenti», ha spiegato a Pagella Politica Michele Cortelazzo, professore emerito di Linguistica all’Università di Padova. 

Un’interpretazione simile è stata data nel 2018 dall’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà. «Ciò che è scritto nel verbale del Consiglio dei ministri è successo. Ciò che non è scritto non è successo», ha spiegato Catricalà in un convegno organizzato dall’Università Luiss “Guido Carli” dal titolo La Presidenza del Consiglio dei Ministri a trent’anni dalla legge n. 400 del 1988. «Se in Consiglio dei ministri entra un certo disegno di legge che è circolato per i ministeri e poi in Gazzetta Ufficiale leggiamo un altro testo, vuol dire che nel verbale del Consiglio dobbiamo trovare che qualcuno ha proposto una modifica e che questa modifica è stata approvata. Questo però non succede quasi mai». In questo caso il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che ha il compito di scrivere il verbale delle riunioni, deve «dichiarare che il testo è stato approvato “salvo intese successive”». Nello stesso convegno l’ex capo dell’Ufficio di Segreteria del Consiglio dei ministri Cristiano Ceresani ha definito l’approvazione “salvo intese” «una formula magica». Questa formula, spiegava Ceresani «fa sì che, terminato il Consiglio dei ministri, il testo venga di fatto portato in una sorta di “post-Consiglio”, una sede informale che non trova disciplina alcuna, in cui la Presidenza gioca un ruolo fondamentale di coordinamento ai fini della stesura finale del testo e spesso di mediazione dei dissidi emersi tra le amministrazioni». 

Detto altrimenti, con la formula “salvo intese” il governo approva un provvedimento superando eventuali disaccordi e riservandosi allo stesso tempo la possibilità di modificarne o perfezionarne il testo prima di presentarlo in Parlamento, sia nel caso di un disegno di legge che di un decreto-legge. Come abbiamo spiegato in un altro approfondimento, a questo fenomeno si affianca quello altrettanto frequente della pubblicazione sui giornali di bozze di provvedimenti non approvati e ancora in fase di esame.

Le controindicazioni

Proprio per la sua vaghezza, in passato l’espressione “salvo intese” ha creato qualche problema. Per esempio a luglio 2011 il quarto governo Berlusconi ha approvato un disegno di legge di riforma della Costituzione che puntava a ridurre il numero di parlamentari da 945 a 500. Il 23 luglio, giorno del via libera al disegno di legge in Consiglio dei ministri, Berlusconi ha detto in conferenza stampa che il testo era stato «approvato salvo intese». Questo, ha spiegato Berlusconi, voleva dire «che entro il 4 settembre ci sarà tempo per gli uffici tecnici di portare osservazioni ed eventuali modifiche». 

Come raccontato all’epoca dal quotidiano l’Unità, nel comunicato stampa che presentava il testo della riforma la formula «salvo intese» però non compariva. Ciò scatenò un’accesa discussione su chi fosse stato il responsabile di questa omissione, tra lo stesso Berlusconi e gli alleati di governo della Lega Nord, favorevoli a un percorso più rapido per l’esame della riforma. Questa non fu comunque mai approvata dal Parlamento a causa della caduta anticipata del governo. 

La formula “approvato salvo intese” creò qualche problema anche al governo successivo, quello guidato da Mario Monti. Il 24 marzo 2012 il governo Monti approvò «salvo intese» la propria riforma del mercato del lavoro e ne scaturì un dibattito su che cosa avesse voluto intendere il governo con quella espressione. Il giorno successivo Monti spiegò che la formula “salvo intese” era stata usata per approvare il testo della riforma in attesa di eventuali richieste di correzione dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano prima della presentazione del provvedimento in Parlamento.
Immagine 1. Il titolo del quotidiano l’Unità del 25 marzo 2012 – Fonte: Archivio storico l’Unità
Immagine 1. Il titolo del quotidiano l’Unità del 25 marzo 2012 – Fonte: Archivio storico l’Unità

Approvato “in via preliminare”

L’espressione “approvato in via preliminare” è invece più chiara. «Il Consiglio dei ministri può esaminare un provvedimento in più fasi, per questo dopo un primo esame può decidere di approvare il testo in via preliminare, riservandosi di esaminarlo una seconda volta, dandone in questo caso il via libera definitivo», ha spiegato a Pagella Politica il costituzionalista Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia. 

Un esempio recente è il disegno di legge firmato dalla ministra per le Riforme istituzionali Casellati per abrogare alcune migliaia di norme pre-repubblicane. Il 16 marzo il testo è stato approvato in esame preliminare dal Consiglio dei ministri. Due mesi dopo, il 4 maggio, è stato approvato in esame definitivo, ricevendo a tutti gli effetti il via libera del governo, e il 19 maggio è stato depositato ufficialmente alla Camera, dove al momento è all’esame della Commissione Affari costituzionali. Lo stesso è avvenuto nel caso del disegno di legge sull’autonomia differenziata presentato dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli. Il testo è stato approvato una prima volta il 2 febbraio, mentre il via libera in esame definitivo è arrivato un mese dopo, il 16 marzo. Allo stesso modo, dunque, dopo la sua approvazione in esame preliminare avvenuta il 27 giugno scorso, il disegno di legge sulla sicurezza stradale proposto da Salvini dovrà essere approvato in esame definitivo dal governo, che poi lo presenterà al Parlamento. 

«Le formule “approvato in esame preliminare” e “approvato in esame definitivo” possono essere considerate un tentativo di descrivere con maggiore dettaglio e precisione il lavoro di un organo, il Consiglio dei ministri, che è inevitabilmente complesso e articolato», ha spiegato Cortelazzo. Al contrario, secondo il linguista, «l’uso della formula “salvo intese” rischia di trasmettere per la sua eccessiva vaghezza un senso di scarsa trasparenza agli occhi del cittadino e allo stesso tempo un segnale di debolezza e indecisione da parte di chi ha approvato il testo scegliendo di usare questa terminologia». 

Secondo Cortelazzo, un’altra formula che andrebbe evitata – e che il Consiglio dei ministri usa spesso nei comunicati stampa che anticipano le sue riunioni – è “varie ed eventuali”. «Al pari di “salvo intese”, anche “varie ed eventuali” è una formula che comunica scarsa trasparenza nei confronti del cittadino, perché il messaggio implicito che si manda è: “Questo è l’ordine del giorno, ma potremmo inserire a nostro piacimento qualsiasi altro argomento”. In più è una formula linguisticamente sbagliata, perché l’espressione corretta sarebbe “varie eventuali”, dove “eventuali” è l’aggettivo che qualifica la parola “varie”».

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