I “pieni poteri” nella politica italiana: un viaggio da Mussolini a Star Wars

Pagella Politica
Il nuovo coronavirus ha fatto tornare di moda nella politica italiana l’espressione “pieni poteri”, che aveva fatto la sua comparsa, di recente, durante la crisi di governo dell’estate scorsa, prima della nascita del governo Conte II. «Chiedo agli italiani, se ne hanno la voglia, di darmi pieni poteri», aveva infatti detto il 9 agosto 2019 l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, a margine di un comizio a Pescara.

L’espressione “pieni poteri” è ora ritornata nel dibattito, da quando alcuni esponenti politici hanno criticato il continuo ricorso di Giuseppe Conte ai decreti del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) – che non necessitano del vaglio parlamentare – per gestire l’emergenza coronavirus.

Per esempio, il 30 aprile il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha detto in Senato che «i pieni poteri non li abbiamo negati [a Salvini] per darli ad altri», facendo riferimento a Conte. Lo stesso giorno la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha accusato il presidente del Consiglio di chiedere al Parlamento «pieni poteri», senza aver «mai pensato alle elezioni» o «di farsi votare da nessuno».

Ma qual è la storia dell’espressione “pieni poteri” in Italia? In quali fasi storiche del nostro Paese è stata utilizzata e da chi?

L’uso di un’espressione gergale

Uno dei cardini delle democrazie costituzionali – come quella italiana – è la cosiddetta “separazione dei poteri”, che assegna le tre funzioni fondamentali dello Stato a tre poteri specifici: quello esecutivo (in mano al governo), quello legislativo (in mano al Parlamento) e quello giudiziario (in mano alla magistratura).

Il principio di fondo è che questi tre poteri devono restare sempre distinti tra loro e avere una loro indipendenza, sebbene cerchino di esercitare a vicenda una continua influenza reciproca.

«Quando si parla di “pieni poteri” bisogna innanzitutto chiedersi “pieni poteri” rispetto a quali poteri, come li si riempiono questi poteri e soprattutto in quali momenti istituzionali e costituzionali», ha spiegato a Pagella Politica Marco Cuzzi, professore di Storia contemporanea all’Università Statale di Milano e studioso dei movimenti fascisti e neofascisti.

Con il termine “pieni poteri” storicamente si fa riferimento all’attribuzione delle funzioni legislative a chi ha già in mano quelle esecutive, ma con diverse sfumature nel corso dello scorso secolo.

«Il termine “pieni poteri” è un termine che viene utilizzato in diversi momenti della storia dell’Italia, anche se è difficile stabilire chi sia stato il primo a utilizzarla dal momento che stiamo parlando di un’espressione abbastanza gergale, che non ha nulla di tecnico», sottolinea Cuzzi.

Proviamo dunque a individuare quali sono state le fasi storiche più significative legate all’espressione “pieni poteri”.

I “pieni poteri” prima del fascismo

Crispi e il 1894

Durante l’età liberale, ci fu un anno in particolare durante il quale il dibattito politico si concentrò sull’espressione “pieni poteri”: il 1894.

«Il programma finanziario del ministero: i pieni poteri?», titolava la Gazzetta Piemontese – che poi cambierà il nome nella Stampa –in un articolo sulla prima pagina del 14 gennaio 1894. «Qualche giornale ha accennato all’idea che il Ministero, alla riapertura del Parlamento, chiederebbe alle Camere pieni poteri per dare assetto definitivo al bilancio».

All’epoca il presidente del Consiglio dei ministri era Francesco Crispi, mentre il re del Regno d’Italia era Umberto I di Savoia.

Il 26 febbraio 1894 Il Corriere della Sera riportò in prima pagina il testo integrale del «progetto di legge sui pieni poteri», in cui si chiedeva al Parlamento di dare fino alla fine di quell’anno «pieni poteri al re, sotto la responsabilità dei suoi ministri», «per riordinare gli uffici dello Stato e semplificarne le funzioni» (Figura 1).
Figura 1. Il progetto di legge per i pieni poteri – Fonte: Il Corriere della Sera
Figura 1. Il progetto di legge per i pieni poteri – Fonte: Il Corriere della Sera
Il Corriere della Sera aveva sottolineato che il progetto di legge aveva dato luogo «ai più vivi commenti a Montecitorio». «Generalmente – scriveva il quotidiano – si dice che non si poteva immaginare cosa più strana dal punto di vista storico e da quello pubblico». Veniva riportato anche il commento del quotidiano L’Opinione, secondo il quale «il Ministero vuole una vera dittatura per otto mesi».

Dopo mesi di trattative, alla fine la legge sui pieni poteri non venne approvata, fatto che venne ricordato nel 1922 anche dal deputato socialista Giacomo Matteotti nella sua relazione di minoranza all’altra – ben più celebre – legge sui pieni poteri, ovvero quella approvata con Mussolini al governo nel dicembre 1922.

La prima guerra mondiale

Un’altro periodo storico dove il termine “pieni poteri” torna nel dibattito politico italiano è con lo scoppio della Prima guerra mondiale.

«Pieni poteri al governo al Governo per la guerra», titolava infatti il 21 maggio 1915 Il Corriere della Sera in prima pagina (Figura 2).
Figura 2. La prima pagina del Corriere della Sera del 21 maggio 1915
Figura 2. La prima pagina del Corriere della Sera del 21 maggio 1915
«Il Senato vota unanime i pieni poteri per la guerra», dichiarava invece in prima pagina il giorno dopo La Stampa (Figura 3).
Figura 3. La prima pagina della Stampa del 22 maggio 1915
Figura 3. La prima pagina della Stampa del 22 maggio 1915
Come si legge nella Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia del 22 maggio 1915, infatti, il decreto approvato dal Senato e dalla Camera aveva un unico articolo, che diceva tra le altre cose: «Il Governo del Re ha facoltà, in caso di guerra e durante la guerra medesima, di emanare disposizioni aventi valore di legge per quanto sia richiesto dalla difesa dello Stato, dalla tutela dell’ordine pubblico e da urgenti o straordinari bisogni della economia nazionale».

Il 24 maggio di quell’anno il nostro Paese entrò ufficialmente in guerra contro l’Austria.

Un ruolo di primo piano in quel periodo lo ebbe Luigi Cadorna, nominato capo di Stato maggiore a luglio 1914 e destituito dopo la sconfitta di Caporetto, del novembre 1917, che non si occupò solo di decisioni militari ma anche delle vicende politiche del Paese.

«Ci sono stati storici che hanno definito la fase 1915-1917 come la “dittatura Cadorna”», spiega il professore Cuzzi a Pagella Politica. «La conseguenza di questo periodo è stata l’affermazione di una cultura politica volta all’autoritarismo, dove si sono sviluppate tendenze al controllo della società tipicamente militare da parte di una politica che si era affidata agli Stati maggiori. Questa prassi non è altro che è un modello che poi verrà seguito dai vari totalitarismi, tanto quelli nazifascisti che quello sovietico».

La dittatura fascista di Benito Mussolini

Arriviamo così al periodo storico del fascismo, a cui ad agosto 2019 era stato accostato da diversi quotidiani Matteo Salvini per la sua richiesta di “pieni poteri”.

Vediamo che cosa successe di preciso con Mussolini al potere.

Il 29 ottobre 1922 Benito Mussolini ricevette dal re Vittorio Emanuele III, dopo la Marcia su Roma, l’incarico di formare il governo, che sarebbe stato composto da una coalizione di varie forze, tra cui i Popolari, i Liberali e i Democratico-sociali.

Il 16 novembre, Mussolini presentò alla Camera i membri del suo governo, in un celebre intervento che passò alla storia come il “Discorso del bivacco”.

«Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli», disse Mussolini, sotto gli applausi di molti parlamentari, come testimonia il resoconto stenografico dell’epoca. «Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto».

Ed è proprio nel “Discorso del bivacco” che compare l’espressione “pieni poteri”, usata da Mussolini verso la fine del suo intervento. «Chiediamo i “pieni poteri” perché vogliamo assumere le piene responsabilità», disse il futuro duce. «Senza i “pieni poteri” voi sapete benissimo che non si farebbe una lira, dico una lira, di economia». Mussolini ottenne nei giorni seguenti il sostegno del Parlamento.

«Il governo di Mussolini ha i pieni poteri», titolava in prima pagina La Stampa il 26 novembre 1922, commentando il voto favorevole alla Camera.
Figura 4. La prima pagina della Stampa del 26 novembre 1922.
Figura 4. La prima pagina della Stampa del 26 novembre 1922.
Una prima pagina simile era stata pubblicata lo stesso giorno anche dal Corriere della Sera.
Figura 5. La prima pagina del Corriere della Sera del 26 novembre 1922.
Figura 5. La prima pagina del Corriere della Sera del 26 novembre 1922.
Il 3 dicembre 1922 fu pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge n. 1601, intitolata: “Delegazione di pieni poteri al Governo del Re per il riordinamento del sistema tributario e della pubblica amministrazione”.

All’articolo 1 del nuovo provvedimento si legge: «Per riordinare il sistema tributario allo scopo di semplificarlo, di adeguarlo alle necessità del bilancio e di meglio distribuire il carico delle imposte; per ridurre le funzioni dello Stato, riorganizzare i pubblici uffici ed istituti, renderne più agili le funzioni e diminuire le spese, il Governo del Re ha, fino al 31 dicembre 1923, facoltà di emanare disposizioni aventi vigore di legge».

Insomma, con la “legge dei pieni poteri” si dava per un anno al governo la capacità di esercitare anche il potere legislativo – normalmente assegnato al Parlamento – oltre a quello esecutivo, eliminando così la tradizionale separazione dei poteri.

Come abbiamo visto in precedenza, dell’opposizione parlamentare faceva parte il socialista Giacomo Matteotti – assassinato nel 1924 per aver denunciato le violenze fasciste durante le elezioni di quell’anno – che tenne una relazione di minoranza contro la legge approvata sui “pieni poteri”.

«Quanto ai pieni poteri tributari noi non conosciamo alcun parlamento che in regime costituzionale li abbia concessi, poiché essi formano la prima e fondamentale prerogativa senza la quale un parlamento non esiste», disse tra le altre cose Matteotti.

Dunque, nel 1923 Mussolini ottiene “pieni poteri” in due ambiti specifici: per riordinare il sistema tributario e rendere più agili le funzioni dello Stato. Ma è a partire da quell’anno, spiega Cuzzi, che «Mussolini compie una serie di interventi chirurgici all’interno dell’impianto costituzionale italiano, di fatto dello Statuto albertino, che viene ampiamente emendato con nuove disposizioni attraverso un voto parlamentare».

Ma il “pieni poteri” – così come vengono intesi oggi e collegati al periodo della dittatura – saranno poi davvero realizzati tra il 1924 e il 1926, grazie anche alla riforma elettorale Acerbo e attraverso le celebri “leggi fascistissime”.

Da Amato a Berlusconi: anni Novanta e “pieni poteri”

Nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale e alla nascita della Repubblica italiana, l’espressione “pieni poteri” è comparsa periodicamente sui quotidiani del nostro Paese, soprattutto per riportare conferimenti di poteri straordinari a leader sul piano politico internazionale: per esempio, nella Francia del presidente Charles De Gaulle in Francia nel maggio 1967, oppure nel Regno Unito del primo ministro Harold Wilson nel novembre 1965.

Ma ci sono state occasioni in cui il termine è stato utilizzato in riferimento al dibattito politico italiano vero e proprio.

Per esempio, il 10 settembre 1992 Il Corriere della Sera titolava in prima pagina: «Economia, Amato chiede i pieni poteri», in un articolo secondo cui l’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato – chiamato ad approvare forti interventi in ambito economico e di bilancio – avrebbe voluto «una delega in bianco dal Parlamento per intervenire quando la situazione economica precipita» (Figura 6).
Figura 6. La prima pagina del Corriere della Sera del 10 settembre 1992.
Figura 6. La prima pagina del Corriere della Sera del 10 settembre 1992.
Una prima pagina simile era stata pubblicata lo stesso giorno anche dalla Stampa (Figura 7).
Figura 6. La prima pagina del Corriere della Sera del 10 settembre 1992.
Figura 6. La prima pagina del Corriere della Sera del 10 settembre 1992.
Anche Silvio Berlusconi utilizzò l’espressione “pieni poteri” negli anni Novanta, per criticare l’avversario del centrosinistra Romano Prodi.

Come ha riportato La Repubblica in un articolo del 14 novembre 1996, Berlusconi – all’epoca all’opposizione – aveva criticato l’allora presidente del Consiglio Prodi, accusato di mettere «sotto i piedi ogni regola, comportandosi in Parlamento come si è comportato soltanto Mussolini quando chiese i pieni poteri». «Sappiamo tutti che andò a finire con una dittatura durata vent’anni», aggiunse Berlusconi.

Lo stesso giorno un’accusa simile era riportata anche dalla Stampa, per voce di Pierferdinando Casini e Rocco Buttiglione, all’epoca segretari del Centro cristiano democratico e dei Cristiani democratici uniti (Cdu) (Figura 8).
Figura 8. L’articolo pubblicato dalla Stampa il 14 novembre 1996.
Figura 8. L’articolo pubblicato dalla Stampa il 14 novembre 1996.

Parlamento, i “pieni poteri” e Star Wars

In tutta la storia dello scorso secolo, c’è un elemento in comune che collega la prese dei “pieni poteri” nei vari totalitarismi e nei singoli Paesi durante la seconda guerra mondiale: il voto parlamentare.

Prendiamo l’esempio della Germania nazista.

Il 23 marzo 1933 il Parlamento tedesco – dove Adolf Hitler non aveva la maggioranza – fu di fatto esautorato con l’approvazione dell’Ermächtigungsgesetz, termine tedesco di solito tradotto in italiano con l’espressione “legge dei pieni poteri” (dal tedesco Gesetz, “legge”, ed Ermächtigung, l’equivalente in tedesco dell’inglese empowerment). È da qui in poi che Hitler diede vita alla costruzione di un sistema totalitario.

«Hitler assume i “pieni poteri” attraverso un voto parlamentare e i deputati applicano i principi della Costituzione di Weimar che prevedono i “pieni poteri” in caso di emergenza», spiega Cuzzi. «Questi poteri non saranno “pieni” al 100 per cento fino al 1934, anno della morte del presidente Hindenburg che venne succeduto da Hitler, con la doppia carica di cancelliere e presidente del Reich».

Come nel caso di Mussolini, dunque, anche con l’ascesa del nazionalsocialismo il Parlamento ha giocato un ruolo fondamentale.

«Alla fine, che lo si voglia o meno, salvo i pochi casi di colpi di Stato – come Francisco Franco in Spagna – in un modo o nell’altro l’uomo che vuole i “pieni poteri” non è che li chieda al popolo, come farebbe un Masaniello in mezzo alla piazza, ma si rivolge a uno strumento costituzionale presente: il Parlamento», sottolinea Cuzzi.

È un po’ come quello che è successo a fine marzo scorso in Ungheria, dove – con tutti i distinguo del caso rispetto a quanto visto finora – il primo ministro Viktor Orbán si è fatto dare “pieni poteri” dal Parlamento (che controlla per oltre due terzi) per gestire l’emergenza coronavirus.

«Quello che va sottolineato è che anziché scandalizzarsi del fatto che uno chieda i “pieni poteri”, la vera questione è stabilire quale cultura politica domina il Parlamento: nel momento in cui qui domina una cultura favorevole ai “pieni poteri”, lì sì che i “pieni poteri” vengono attribuiti», precisa però Cuzzi.

Ed è qui che il professore della Statale suggerisce un parallelo cinematografico, con una scena contenuta nel film Star Wars: Episodio II – L’attacco dei cloni. Per contrastare un esercito di droidi, il Senato della Repubblica galattica assegna “pieni poteri” al cancelliere supremo Sheev Palpatine – che poi si rivelerà essere Darth Sidious, il capo dei Sith – dando vita all’Impero galattico, «per una società più salda e più sicura», secondo Palpatine.

«È così che muore la libertà, sotto scroscianti applausi», commenta nel film la senatrice Padme Amidala, ex regina del pianeta Naboo, mentre i parlamentari esultano alle parole del nuovo Imperatore.

E questa è una lezione che non va dimenticata: salvo poche eccezioni, nel corso dello scorso secolo i casi di assegnazione di “pieni poteri” – tolti al legislativo per essere dati nelle mani dell’esecutivo – sono avvenuti con il voto parlamentare. E, come abbiamo visto, diverse volte non concessi proprio grazie all’intervento del Parlamento.

In conclusione

Nelle ultime settimane, l’emergenza coronavirus ha portato alla ribalta il termine “pieni poteri”, espressione usata ad agosto 2019 dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, mentre avviava la crisi di governo che ha portato alla formazione dell’esecutivo Conte II.

In questi giorni, leader politici come Matteo Renzi e Giorgia Meloni, tra gli altri, accusano il presidente del Consiglio Giuseppe Conte di chiedere lui “pieni poteri” per la gestione della crisi nel nostro Paese, dando poco spazio al ruolo del Parlamento.

Abbiamo ricostruito la storia del termine “pieni poteri” nel nostro Paese. Dal punto di vista pratico, solo nel fascismo di Benito Mussolini c’è stata una vera e propria concentrazione di poteri nelle mani di un solo uomo. Ma l’espressione è assai ricorrente nel dibattito pubblico italiano: era stata utilizzata anche prima della dittatura (per esempio, nel 1894 durante il governo Crispi e sotto la prima guerra mondiale) e poi via via nei decenni successivi, fino agli anni Novanta (con i casi di Amato e Berlusconi).

In ogni caso, ampliando lo sguardo ad altri casi di “pieni poteri” – come quelli ottenuti da Hitler in Germania – deve balzare all’attenzione un fatto significativo: che i “pieni poteri”, salvo poche eccezioni con i colpi di Stato, chi li ha ottenuti, non se li è presi, ma se li è fatti dare da parlamenti nazionali, legittimamente eletti, dove dominava una cultura che ha reso possibile lo stravolgimento della democrazia.

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