Tutti ne parlano, ma sulla violenza contro le donne mancano ancora troppi dati

Per inquadrare e affrontare questo fenomeno servono numeri aggiornati, completi e chiari. Ma nel nostro Paese le carenze sono ancora molte
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
In Italia, capire la reale dimensione della violenza contro le donne è ancora un problema aperto. I dati disponibili sono spesso vecchi, incompleti o presentati in modo poco utile per un’analisi approfondita. Molti episodi di violenza non vengono denunciati: troppe donne scelgono di non rivolgersi alle forze dell’ordine, per paura, vergogna o mancanza di fiducia. Eppure, nonostante l’assenza di numeri chiari, la violenza di genere resta al centro del dibattito pubblico e politico.

Nelle scorse settimane, alcune dichiarazioni di esponenti politici hanno riacceso le polemiche, suggerendo un legame tra l’aumento delle violenze sessuali e l’immigrazione irregolare. Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni hanno sostenuto questa tesi, senza però avere a supporto dati solidi. 

Di fronte a un fenomeno così complesso come la violenza contro le donne, una delle sfide principali è misurarlo: come si può combattere un problema che ancora sfugge ai numeri, ostacolando così la definizione di interventi concreti ed efficaci?

La fonte più autorevole

La principale fonte istituzionale in Italia sulla violenza contro le donne è l’ISTAT, che dedica una sezione del suo sito al tema. Qui si trovano approfondimenti sui vari aspetti del fenomeno, inclusi speciali sulle violenze legate alla pandemia di COVID-19 e analisi su prevenzione, contesto sociale ed esperienze internazionali. Tuttavia, si tratta principalmente di testi informativi che spesso non includono dati aggiornati.

L’ISTAT pubblica report periodici, come quello annuale a ridosso dell’occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che si celebra il 25 novembre. L’ultimo rapporto, pubblicato il 20 novembre, include un focus sulle vittime donne di omicidio e le relazioni con il loro assassino. Altri report affrontano temi specifici, come il ruolo dei centri antiviolenza o l’impatto dei social network.

Un’indagine più ampia, focalizzata sui tipi di violenza e sulle caratteristiche delle vittime, risale al 2006 e al 2014. Da allora non è stata più aggiornata. «Non sono state pubblicate altre indagini perché ci sono stati rallentamenti a causa di questioni burocratiche, ma adesso stiamo lavorando a una nuova edizione che dovrebbe uscire a luglio 2025», ha spiegato a Pagella Politica Maria Giuseppina Muratore, dirigente e responsabile del team di ricerca sulla violenza contro le donne dell’ISTAT. «Con questa rilevazione abbiamo un quadro abbastanza completo perché è stata progettata in modo da far emergere anche i casi che di solito restano sommersi. Certo, può sempre sfuggire qualche episodio ma il questionario è strutturato descrivendo comportamenti ed episodi: non si parla di violenza ma si descrivono atti, per le donne così è più facile esporsi».

L’ISTAT fornisce anche una banca dati divisa in sezioni, dal fenomeno della violenza contro le donne alla fuoriuscita, passando per il percorso giudiziario. La versione più completa è quella meno recente, che include statistiche su aspetti demografici delle vittime, stereotipi di genere, autori dei reati e percorsi giudiziari. I dati non sono sempre aggiornati: per esempio, le informazioni sui responsabili dei reati si fermano al 2014, mentre quelle sul numero antiviolenza 1522 coprono il periodo 2013-2022 (sul sito di ISTAT sono comunque disponibili dati relativi al 2024). Nonostante queste lacune, la banca dati rimane uno strumento fondamentale per comprendere il fenomeno.

Alcuni dati provengono da indagini dirette condotte da ISTAT con tecniche diverse, come CATI (interviste telefoniche) e CAPI (interviste di persona, soprattutto con cittadine straniere per superare barriere linguistiche). Altri dati, come quelli relativi agli omicidi, derivano dalla banca dati “Sistema di indagine” (SDI) del Ministero dell’Interno e sono sottoposti a validazione per verificarne la completezza e la coerenza con altre fonti, come i dati delle procure.

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Le altre fonti

Il Ministero dell’Interno raccoglie dati sulla violenza contro le donne, che sono diffusi dal Dipartimento della Pubblica sicurezza e – come abbiamo accennato – vengono rielaborati da ISTAT in alcune indagini. 

Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza pubblica due report annuali dal titolo “Analisi criminologica della violenza di genere”, che analizzano i numeri delle violenze, degli omicidi di donne e dei reati introdotti con il “Codice rosso”, la legge del 2019 che ha velocizzato i processi, introdotto nuovi reati e inasprito le pene. Inoltre, ogni settimana viene diffuso un rapporto con il numero totale di omicidi, degli omicidi di donne e di quelli avvenuti in ambito familiare o affettivo.

Ai dati del Ministero dell’Interno e alle rielaborazioni di ISTAT si aggiunge il lavoro di alcuni movimenti e di associazioni come l’Osservatorio femminicidi lesbicidi transicidi di “Non una di meno” (NUDM), un movimento transfemminista che si batte contro la violenza di genere. Questo osservatorio aggiorna mensilmente i propri dati, fornendo una tabella dettagliata che include le generalità della vittima, la data dell’omicidio e informazioni sul presunto colpevole, come la relazione con la vittima, eventuali denunce precedenti o richieste di aiuto a centri antiviolenza, e casi di suicidio del presunto autore del crimine.

Dati che mancano e non aggiornati

I dati disponibili sulla violenza contro le donne si basano principalmente sulle denunce, ma molti episodi sfuggono alle statistiche poiché numerose vittime scelgono di non denunciare. Come ha sottolineato l’ISTAT già nell’indagine del 2006: «Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate; il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 96 per cento delle violenze da un non partner e il 93 per cento di quelle da partner. Per gli stupri si arriva al 91,6 per cento e per i tentati stupri al 94,2 per cento».

Nelle scorse settimane, le dichiarazioni di Valditara e Meloni sulla violenza di genere hanno evidenziato la mancanza di dati chiari per descrivere il fenomeno. Come abbiamo spiegato in altri fact-checking, è complesso reperire informazioni dal momento che le statistiche di ISTAT sugli stranieri denunciati o arrestati per violenza sessuale non distinguono tra stranieri regolari e irregolari. Se questi dati esistono, non sono facilmente accessibili a giornalisti, associazioni o ricercatori, rendendo difficile stabilire quante denunce riguardano gli immigrati irregolari.
Questi non sono gli unici dati mancanti. Per esempio, non esistono dati aggiornati sulle donne disabili vittime di violenza. L’ultima indagine ISTAT del 2014 ha rilevato che la probabilità di subire stupri o tentati stupri per le donne disabili è doppia rispetto a quella di tutte le altre donne. «Non c’è un’indagine specifica per donne disabili vittime di violenza. Nella prossima indagine però ci sarà un approfondimento dedicato», ha dichiarato Muratore. Inoltre, i dati attuali non considerano le donne sorde. «L’indagine sulla violenza contro le donne in Italia è telefonica. È previsto un faccia a faccia solo con donne straniere», ha aggiunto la ricercatrice. «È ovvio quindi che una donna sorda non può prendere parte alla rilevazione».

Un ulteriore dato mancante riguarda i figli rimasti orfani a seguito di un femminicidio. Nell’ultimo report del Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno (16 dicembre 2024) si legge che «relativamente al periodo 1 gennaio – 15 dicembre 2024, sono stati registrati 293 omicidi, con 106 vittime donne, di cui 92 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 56 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner». Ma non si fanno riferimenti a eventuali figli. In un articolo pubblicato da L’Essenziale ad agosto 2023, la giornalista Donata Columbro ha spiegato che gli unici dati sugli orfani di femminicidio provengono da progetti dal basso, come l’Osservatorio di “Non una di meno”. «Il problema dell’individuare chi è orfano di femminicidio, anche per sostenerlo, è legato al determinare che la donna è stata vittima di questo reato», aveva scritto Columbro (sul conteggio dei femminicidi torneremo più avanti). 

Un altro dei principali problemi dei dati sulla violenza contro le donne è la loro mancanza di aggiornamento. L’indagine più completa sul tema, pubblicata per la prima volta nel 2006 e aggiornata nel 2014, rispecchia una realtà ormai superata, con dati risalenti a dieci anni fa. L’ISTAT, come accennato, sta cercando di colmare questa lacuna: come ha dichiarato a Pagella Politica Maria Giuseppina Muratore, una nuova edizione della ricerca è prevista per il prossimo anno.

Dati difficili da elaborare

I dati ufficiali sulla violenza di genere non sono sempre facilmente rielaborabili. I documenti pubblicati dal Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno sono disponibili in formato PDF e CSV (sono file di testo esportabili e utilizzabili). I CSV sono stati resi disponibili solo da poco più di un anno, grazie alle sollecitazioni dell’associazione onData, che promuove l’apertura dei dati pubblici. «Abbiamo fatto delle segnalazioni al Difensore Civico per il Digitale [che si occupa dei diritti digitali di cittadini e imprese, ndr] e interloquito in modo diretto con gli uffici responsabili, proprio per chiedere di pubblicare questi dati in modalità più adeguate all’analisi degli stessi», ha spiegato onData.

Nonostante la diffusione dei dati in formato CSV, secondo onData ci sono ancora problemi significativi. I file, infatti, presentano «colonne senza nome, righe vuote e colonne vuote, nome colonna con data errata». Inoltre, «nei report in PDF ci sono molte più informazioni, che andrebbero parimenti rese disponibili in formato CSV». Il Dipartimento della Pubblica sicurezza pubblica un nuovo report settimanale, ma cancella contestualmente quello precedente. «Quello che manca è un report storico. Oltre ai report settimanali, il Dipartimento pubblica un rapporto sulla violenza contro le donne, ma ogni anno è diverso e quindi difficilmente confrontabile con gli anni precedenti e al suo interno spesso ci sono tabelle non scaricabili e molto difficili da leggere. Solo chi lavora abitualmente con quei dati riesce a capirli», ha spiegato a Pagella Politica Columbro, autrice della newsletter Ti spiego il dato, che spesso tratta il tema della violenza di genere. Per il resto del pubblico, che si tratti di utenti comuni, politici o giornalisti, queste informazioni risultano poco accessibili, penalizzando la qualità del dibattito pubblico sulla violenza di genere.

Il problema del formato dei dati riguarda anche i report di ISTAT. Ogni documento PDF dell’istituto nazionale di statistica è accompagnato da tavole di dati scaricabili, e i dati sono disponibili anche in vari formati tramite il database ISTAT. Ma «anche in questo caso il formato delle tavole non è immediatamente lavorabile», ha aggiunto Columbro. «Il motivo per cui quasi nessuno ha risposto con dati alle affermazioni di Valditara e Meloni non è solo perché quei dati non sono facilmente recuperabili, ma perché per le redazioni che non sono abituate a lavorare su quei report è difficile analizzarli».

In definitiva, i report richiedono un lavoro preliminare di organizzazione dei dati prima di poter essere analizzati. «La sistematizzazione dei dati non può spettare a giornalisti e attivisti. A volte poi per avere i dati necessari bisogna chiamare direttamente le istituzioni, e questo non è degno di una democrazia che vuole raccontare con trasparenza il fenomeno della violenza contro le donne», ha concluso Columbro.

Contare i femminicidi

Per comprendere i dati mancanti sui femminicidi, è necessario chiarire prima che cosa si intende per femminicidio e come viene conteggiato questo fenomeno. Il codice penale italiano non prevede il reato di femminicidio, e l’uccisione di una donna – indipendentemente dal motivo – rientra tra gli omicidi volontari. A marzo 2022, la Commissione statistica delle Nazioni Unite ha fornito una definizione di femminicidio, condivisa dall’Italia, secondo cui un femminicidio è l’«uccisione di una donna in quanto donna». Più nello specifico, per determinare se si tratta di un femminicidio o di un omicidio generico, è necessario considerare diverse variabili riguardanti la vittima, l’autore e il contesto della violenza.

Secondo la Commissione, esistono tre tipi di femminicidio: omicidi di donne da parte del partner, da parte di un altro parente e da parte di un’altra persona. In quest’ultimo caso, l’omicidio deve essere collegato al genere, per esempio se la vittima ha subito precedenti violenze da parte dell’autore, era una sex worker, o se il corpo è stato mutilato o abbandonato in un luogo pubblico. In Italia, sottolinea l’ISTAT, «tutte queste informazioni non sono disponibili e solo in futuro si potranno rilevare grazie alla collaborazione inter-istituzionale con il Ministero dell’Interno». Attualmente, le uniche informazioni istituzionali disponibili riguardano il rapporto tra vittima e autore, il movente e l’ambito dell’omicidio.
Di conseguenza, in Italia non esiste un registro istituzionale dei femminicidi, il che rende difficile stimare quanti siano gli orfani di femminicidio. Per ottenere dati sui femminicidi, spiega Columbro, ci si può riferire agli aggiornamenti di “Non una di meno”, di SKY nella campagna “Basta” o di “FemminicidioItalia”. «Queste iniziative considerano non solo il genere ma anche altri parametri, come i rapporti di potere, le sex worker uccise e il trattamento del corpo della vittima. Escludere queste variabili rischia di lasciare alcune donne fuori dal conteggio. Inoltre, studiare queste caratteristiche è fondamentale per la prevenzione», ha aggiunto Columbro.

I passi in avanti

Nel 2022 il Parlamento ha approvato la legge sulle “Disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere”, che ha dotato l’Italia di un sistema di raccolta dati sulla violenza di genere. Questo coinvolge i centri antiviolenza, il sistema sanitario, il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Interno. «Questa legge fa un quadro di quello che ci serve per misurare la violenza contro le donne. Per esempio, stabilisce che ogni tre anni l’Istituto nazionale di statistica e il Sistema statistico nazionale realizzino un’indagine completa sulla violenza contro le donne e coinvolge le strutture sanitarie pubbliche obbligandole a monitorare gli accessi al pronto soccorso delle donne vittime di violenza», ha spiegato Muratore. «Man mano poi stiamo ampliando le nostre ricerche: adesso ISTAT sta progettando un’indagine per le donne che entrano in una casa rifugio protetta».

Nonostante questa legge rappresenti un passo avanti, al momento della sua approvazione non sono mancate critiche. Ad aprile 2022, Giulia Sudano, presidente del think tank “Period”, un’organizzazione che promuove la parità di genere attraverso la trasparenza dei dati, aveva sottolineato a Pagella Politica che la legge «non prevede l’elaborazione di dati disaggregati, ossia specifici sugli atti di violenza contro persone con diversi orientamenti sessuali e identità di genere».

Secondo Columbro, ci sono stati comunque miglioramenti: «Abbiamo tanti dati che prima non avevamo, come il monitoraggio sui centri antiviolenza. Con la riorganizzazione del sito dell’ISTAT poi ci sono stati miglioramenti. È un po’ più semplice trovare i dati nonostante possa capitare che sul database alcuni dataset girino a vuoto, e a volte è difficile capire se quei dati esistono».

Perché servono i dati

Ricapitolando: negli ultimi anni sono stati fatti progressi, ma resta ancora molto da fare per colmare le lacune sui dati mancanti sulla violenza contro le donne e migliorare il formato con cui vengono diffusi. Disporre di dati completi e aggiornati è essenziale perché, come sottolinea onData, i dati aperti sulle violenze contro le donne non eliminano il problema, ma consentono di «avere una visione più chiara, aiutando nella formulazione di politiche e interventi mirati per prevenirlo e affrontarlo in modo più efficace». 

I dati non devono essere accessibili solo agli esperti, dal momento che la loro diffusione offre vari vantaggi: «Aumenta la responsabilità delle istituzioni e degli organi responsabili dell’applicazione della legge, sensibilizza e coinvolge l’opinione pubblica, consente di fare monitoraggio, aiuta a individuare lacune nei servizi di supporto per le vittime, può rendere le persone più in grado di proteggersi».

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