Dieci anni di leggi contro la violenza sulle donne

Dal 2013 in poi sono stati approvati decreti-legge, disegni di legge, piani antiviolenza e commissioni d’inchiesta per contrastare questo fenomeno
Pagella Politica
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Dal 2013 governi e Parlamento hanno approvato in media quasi un provvedimento all’anno per contrastare la violenza sulle donne. In base alle verifiche di Pagella Politica, negli ultimi dieci anni sono stati adottati piani di prevenzione, convertiti decreti in legge e istituite commissioni d’inchiesta.

In questi giorni il tema della violenza di genere è tornato al centro del dibattito politico dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin, per cui è stato arrestato l’ex fidanzato Filippo Turetta. «Ogni singola donna uccisa perché “colpevole” di essere libera è una aberrazione che non può essere tollerata e che mi spinge a proseguire nella strada intrapresa per fermare questa barbarie», ha scritto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni su Facebook.

Ma qual è esattamente la «strada intrapresa» dalla politica italiana per contrastare il problema della violenza sulle donne? L’abbiamo ripercorsa attraverso i provvedimenti principali introdotti nell’ultimo decennio. Proprio in questi giorni è atteso l’arrivo nell’aula del Senato di un nuovo disegno di legge, già approvato a fine ottobre alla Camera e presentato dal governo Meloni, con misure per «il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica». Su questo testo torneremo più avanti: prima facciamo un passo indietro.

La “legge sul femminicidio”

Nel 2013 il Parlamento italiano ha ratificato la Convenzione di Istanbul, redatta nel 2011 dal Consiglio d’Europa, un’organizzazione che raggruppa 46 Paesi, tra cui i 27 Stati membri dell’Unione europea. La ratifica di questo documento ha impegnato l’Italia nella prevenzione e nella lotta alla violenza contro le donne.

Ad agosto 2013, a pochi mesi dalla ratifica della Convenzione di Istanbul, il governo Letta ha approvato un decreto-legge, ribattezzato “legge sul femminicidio”, modificando le norme sui maltrattamenti contro i familiari e introducendo nuove aggravanti per i reati commessi dai coniugi o ex coniugi. La nuova legge ha previsto l’inasprimento di alcune pene e ha stabilito che i governi debbano periodicamente approvare piani di azione contro la violenza sessuale e di genere. Il primo piano di questo tipo è stato approvato nel 2015, durante il governo Renzi. 

Il “Codice rosso”

Tre anni dopo, alla fine del 2018, il primo governo guidato da Giuseppe Conte – quello sostenuto da Movimento 5 Stelle e Lega – ha presentato in Parlamento un disegno di legge (ribattezzato il “Codice rosso”) per modificare il codice di procedura penale, aumentando le tutele per le vittime di violenza di genere. 

Il “Codice rosso” ha introdotto una procedura velocizzata per le denunce e le indagini sui casi di violenza di genere, secondo un sistema mutuato dal triage del pronto soccorso ospedaliero. In concreto, quando la polizia riceve la notizia di un reato di violenza sulle donne, deve riferire direttamente al pubblico ministero, che a sua volta entro tre giorni dalla notifica deve ascoltare in forma preliminare la vittima del reato o chi ha sporto denuncia. Questo meccanismo ha l’obiettivo di velocizzare la presa in carico da parte delle autorità delle situazioni a rischio e di tutelare maggiormente le vittime di violenza. 

Con questo provvedimento, diventato legge a luglio 2019, è stato accelerato anche l’avvio del procedimento penale per una serie di reati, dallo stalking alla violenza sessuale, portando da sei mesi a un anno il tempo entro cui una vittima di violenza sessuale può presentare la denuncia. Con il “Codice rosso” sono stati poi introdotti quattro nuovi reati: la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso della persona rappresentata (il cosiddetto revenge porn); la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti; la costrizione o induzione al matrimonio; e la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare.

Le indagini statistiche

A gennaio 2021, durante il secondo governo Conte, il Parlamento ha ratificato la convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) sulla violenza e le molestie nel mondo del lavoro. Questa convenzione, che rimane un documento non vincolante, impegna gli Stati ad adottare misure e iniziative per prevenire e contrastare le violenze sul posto di lavoro, con nuove leggi e strumenti di analisi del fenomeno sul territorio nazionale. 

A giugno 2022 il Parlamento ha poi approvato un disegno di legge sottoscritto da più gruppi parlamentari, dal Partito Democratico a Fratelli d’Italia, che impegna una serie di istituzioni – tra cui l’Istituto nazionale di statistica (Istat), il Sistema sanitario nazionale, il Ministero dell’Interno e il Ministero della Giustizia – a realizzare periodicamente indagini statistiche interamente dedicate alla violenza contro le donne. L’obiettivo è stimare con maggiore precisione la «parte sommersa dei diversi tipi di violenza» e «progettare adeguate politiche di prevenzione e contrasto e di assicurare un effettivo monitoraggio del fenomeno». 

Un altro provvedimento che ha esteso alcune tutele nei confronti delle vittime di violenza domestica è stata la riforma del processo penale, avviata dal secondo governo Conte e proseguita dal governo Draghi. Con la riforma, le tutele previste dal “Codice rosso” sono state applicate anche ai reati in forma “tentata” (come il tentato omicidio o la tentata violenza sessuale) ed è stato esteso l’obbligo di arresto in flagranza per chi viola il divieto di avvicinamento alla persona offesa. 

Le commissioni d’inchiesta

Oltre a singoli provvedimenti, negli ultimi dieci anni il Parlamento ha approvato più volte l’istituzione di commissioni d’inchiesta per indagare sulla violenza di genere. Le commissioni parlamentari d’inchiesta sono organi interni della Camera e del Senato che si occupano di approfondire questioni di pubblico interesse, indagando con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria, fatta eccezione per quello di disporre misure cautelari e stabilire condanne contro le persone, che spetta unicamente ai tribunali. 

La commissione d’inchiesta sui femminicidi è stata creata per la prima volta nella diciassettesima legislatura, tra il 2013 e il 2018, ed è stata creata nuovamente in quella successiva, tra il 2018 e il 2022. In entrambi i casi si è trattato però di una commissione monocamerale al Senato. Nella relazione finale, pubblicata a settembre 2022, si legge che la violenza di genere è «un fenomeno sociale di carattere strutturale, con radici culturali profonde che ancora oggi permeano le relazioni tra uomini e donne, alimentato e determinato dalla disparità nei rapporti di forza tra i due sessi», e che per questo motivo ha bisogno di «una risposta forte e chiara dalla politica».

In questa legislatura è stata creata la prima commissione d’inchiesta sui femminicidi di tipo bicamerale, ossia composta da parlamentari di entrambe le camere, e dunque con un peso politico maggiore. La nuova commissione bicamerale ha però iniziato i suoi lavori a rilento. La proposta di legge per istituire la commissione è stata approvata definitivamente il 1° febbraio 2023, ma l’organo è entrato in funzione a tutti gli effetti il 26 luglio, quasi sei mesi dopo. Ad agosto la presidente della Commissione sui femminicidi, la deputata di Noi Moderati Martina Semenzato, aveva ammesso a Pagella Politica che dietro a questo ritardo c’era stata la scelta dei componenti della commissione, che doveva tenere conto degli equilibri politici tra i partiti. In questi giorni Semenzato è stata a stretto contatto con la famiglia di Giulia Cecchettin e il padre della ragazza ha annunciato una collaborazione con la parlamentare. 

Oltre alle commissioni, dal 2015 il Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri ha attivato tre piani strategici nazionali sulla violenza maschile contro le donne, noti come “piani antiviolenza”, per sostenere l’azione del governo nella lotta alla violenza di genere. I piani sono coordinati da una cabina di regia e da un comitato tecnico, di cui fanno parte, oltre alle amministrazioni centrali e agli enti locali, le associazioni più rappresentative in materia di contrasto alla violenza sulle donne.

I piani antiviolenza sono strutturati, come nel caso della Convenzione di Istanbul, in quattro ambiti definiti “quattro P”: prevenzione, protezione e sostegno, perseguire e punire, assistenza e promozione. Ognuna di queste aree tematiche prevede una serie di interventi, finanziati con fondi stabiliti in legge di Bilancio. 

I prossimi passaggi

In queste settimane il Parlamento sta esaminando un nuovo disegno di legge per il contrasto alla violenza di genere, presentato dal governo Meloni. Il testo è già stato approvato alla Camera e nella settimana tra il 20 e il 24 è in programma l’inizio dell’esame nell’aula del Senato. Il provvedimento contiene una serie di misure per migliorare le indagini e i processi riguardanti i casi di violenza sulle donne e domestica, aumentando le misure di prevenzione. Per esempio il testo prevede l’estensione dell’uso del braccialetto elettronico nei confronti di persone imputate di violenza e misure più restrittive sul divieto di avvicinamento alle vittime. 

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